La sposa bambina

La sposa bambina, di Khadija Al-Salami

C’è un detto in Yemen che recita “Le donne portano vergogna” e un altro che assicura “sposala a 8 anni e sarà grande felicità”.
Su questi due assiomi si basa la cultura yemenita e la vita di una donna non può che passare dall’uno all’altro. Ma se quell’angolo di mondo in fondo all’Arabia Saudita rimane spesso nascosto agli occhi occidentali, non lo è per Khadija Al Salami la regista di “La sposa bambina – Mi chiamo Nojoom, ho 10 anni e voglio il divorzio” nelle sale italiane dal 12 maggio.

Tratto da una storia vera, il film è uno sguardo su un mondo arcaico e tribale, le cui leggi derivano da una distorsione delle Sure del Corano e da codici non scritti che ogni tribù possiede. Le donne yemenite sono ombre a cui è negato il diritto di decidere per se stesse, impossibilitate ad afferrare la propria autodeterminazione e costrette a subire il volere degli uomini.
la sposa bambina Nojoom

Per Nojoom, la bambina protagonista del film, le cose non vanno diversamente. Nata in un villaggio rurale tra le colline pietrose dove si coltiva caffè e si pascolano pecore, Nojoom cresce serena fino all’età di dieci anni quando, costretta con la sua famiglia a lasciare il villaggio, si trasferisce nella capitale San’a. La città le offre novità e amiche, ma le toglie l’orizzonte e il cielo stellato. Quando il denaro finisce e il lavoro viene a mancare, suo padre decide di darla in sposa ad un uomo vent’anni più grande di lei, con la speranza di poter sfamare il resto della famiglia con la dote ricevuta. È una pratica diffusa, nessuno si oppone, nessuno si strappa i capelli per quel matrimonio tra una bambina di 10 anni e un uomo di 30.
Sottratta alla sua famiglia e condotta in un villaggio remoto, Nojoom si oppone con tutte le sue forze a quella pratica che le ha strappato l’infanzia e l’autodeterminazione. Non parla, si ribella, diventa una “vergogna” che la famiglia dello sposo non può affrontare. Riportata indietro come un oggetto rotto, come un frutto marcio, Nojoom fugge per raggiungere il tribunale e al giovane giudice dagli occhi compassionevoli racconta la sua storia e chiede il divorzio.

Il film è tratto dal libro “I am Nujood, age ten and divorced” di Nojoud Ali e della giornalista Delphine Minoui, pubblicato nel 2009 e tradotto in 17 lingue. A fare da base all’opera, però, c’è anche uno spesso strato autobiografico, dato che la stessa Al Salami è stata una sposa bambina, fuggita dal marito aguzzino all’età di 11 anni e divenuta, trent’anni dopo, la prima regista yemenita.

La pellicola, girata interamente in Yemen e con attori locali, ha avuto un percorso travagliato e AL Salami ha dovuto affrontare non pochi ostacoli economici e politici per la sua realizzazione.
Il film, vincitore di numerosi premi e riconoscimenti, è un appello accorato contro una pratica diffusa che nessuna legge vieta e che in tutto il mondo ha reso mogli 60 milioni di bambine, con 70 mila morti ogni anni dovute a violenze fisiche e psicologiche, parti prematuri e abusi di ogni genere.