Mafia

In guerra per amore, di Pierfrancesco Diliberto (Pif)

La Sicilia è come una bella donna: va curata, rispettata e le vanno fatti bei regali (In guerra per amore).

Nel 1943 il mondo è nel pieno della seconda guerra mondiale, mentre Arturo Giammarresi (Pierfrancesco Diliberto), un lavapiatti di origini siciliane residente a New York, vive la sua travagliata storia d’amore con Flora (Miriam Leone). I due si amano, ma lei è la promessa sposa a Carmelo (Lorenzo Patanè), figlio di un importante boss di New-York, braccio destro di Lucky Luciano. Per poterla sposare e scavalcare l’accordo preso dallo zio di Flora e dal compare mafioso, Arturo deve ottenere il sì del padre della sua amata che vive in un piccolo paesino siciliano a migliaia di chilometri di distanza dagli Stati Uniti. C’è un solo modo per raggiungere l’isola in questo momento di tensione storica: arruolarsi nell’esercito americano che sta preparando lo sbarco in Sicilia; la notte del 10 luglio del 1943, allora, tra i soldati statunitensi che arrivano sull’isola c’è anche Arturo. Mentre gli alleati sono lì per liberare l’isola dai nazifascisti, il suo unico obiettivo è trovare il padre della ragazza e ottenere il suo sì. Lo aiuterà nel suo intento il tenente Philip Catelli (Andrea Di Stefano), superiore affabile e cordiale, pesce fuor d’acqua in una realtà territoriale e sociale completamente diversa rispetto a quella a cui è abituato, e che imparerà a conoscere profondamente e in prima persona.

In guerra per amore

Pierfrancesco Diliberto è solo al suo secondo film da regista, eppure ha già una cifra stilistica e tematica riconoscibile. Con In Guerra per Amore siamo in altri luoghi e in altri tempi rispetto al suo folgorante debutto critico e di pubblico La Mafia Uccide Solo d’Estate, eppure bastano un paio di scene per ritrovare la stessa atmosfera. Secondo lo scrittore de Il Grande Gatsby Francis Scott Fitzgerald, ogni autore finisce per parlare incessantemente di un pugno di temi a cui è indissolubilmente legato. Nel caso di Pif, che come tanti siciliani esplicita ad ogni scelta e ad ogni respiro un legame indissolubile con la sua terra, questo assunto è più vero che mai. Infatti, pur partendo da lontanissimo nel tempo e nello spazio, il suo secondo film finisce per ricalcare fedelmente i messaggi e le denunce del primo. In questo caso però viene presa in esame una causa esogena dello sviluppo della mafia in Sicilia; Pif ha scritto la sceneggiatura del film basandosi sul rapporto di un militare statunitense che, subito dopo la liberazione dell’isola, denunciava al proprio governo il rinvigorirsi delle associazioni criminali siciliane. L’esercito statunitense infatti, preoccupato per il tributo di sangue che l’avanzata verso Berlino avrebbe comportato, decise di farsi facilitare l’avanzata nel sud Italia appoggiandosi proprio ai padrini e ai loro contatti con le numerose comunità siciliane espatriate negli Stati Uniti.

L’ultimo quarto d’ora che chiude In Guerra per Amore acquista un vigore e una forza narrativa che purtroppo mancano nel resto della pellicola. Dopo aver approcciato in maniera leggera, quasi favolistica, la forma mentis dei siciliani e i vizi e le virtù passati e presenti dei suoi conterranei, Pif finalmente lascia da parte l’approccio scherzoso e leggero e picchia duro, denunciando quanto Cosa nostra sia in realtà una scomoda eredità lasciata alla Sicilia da interessi politici di un mondo alle soglie della Guerra fredda e preoccupato dall’avanzata comunista. Il problema è che, rispetto al precedente e meglio gestito La Mafia Uccide Solo d’Estate, il film esita troppo a scoprire le sue carte e ad arrivare al punto, indugiando per di più in una visione artefatta della realtà. Non mancano certo momenti in cui Pif riesce ad essere ficcante con il suo umorismo leggero, come con il tormentone del selfie ante-litteram o la sfortuna senza fine del duo del cieco e dello zoppo. Dovendo però incarnare messaggi e parabole, i personaggi finiscono per essere figure che sembrano uscite più dalle pagine di Carlo Collodi che dal mondo reale e anche nelle scene più riuscite (la battaglia tra la statua della Madonnina e quella del Duce) si sente una certa artificiosità, come se l’intento pedagogico frenasse la cinepresa dal seguire con vero trasporto le vicende narrate.

In guerra per amore

Tale dimensione artefatta e costruita, più da aneddoto che non da documento storico, conferisce all’intera pellicola lo status di input, stimolo, suggestione per studi sull’argomento, una veste quindi pedagogica ma che non possiede una forza incisiva notevole. In quest’atmosfera non tanto cinematografica quanto scolastica, nemmeno le performances degli attori riescono ad emergere con forza: Pif rimane sempre la caricatura di se stesso (faticando ad imporsi come interprete, spingendo a chiedersi quali potrebbero essere gli sviluppi di un suo futuro esclusivamente da regista), Miriam Leone non brilla in nessun momento e il tenente Catelli, interpretato da Andrea Di Stefano, non riesce a elevare di tanto la dimensione parodistica della pellicola.

Ogni volta che guardi il mare, di Mirella Taranto

Sara si è spaccata in due per sopravvivere, e tra una metà e l’altra c’è un mare intenso, non celeste, non azzurrino, ma blu. Blu come quello calabrese, quello che non conosce e non accetta mezze misure. È il mare del silenzio e dell’omertà, un gorgo che divora, che inghiotte tutto intero. Da quel mare è scappata a cinque anni con sua madre, moglie di un mafioso ma non della mafia, una donna che ha reciso le proprie radici per dare ali a sua figlia. “Ogni volta che guardi il mare”, sul palco del Teatro Lo Spazio di Roma, è lo spettacolo intenso, struggente, doloroso scritto dalla giornalista Mirella Taranto, diretto da Paolo Triestino e interpretato da Federica Carruba Toscano in ricordo di Lea Garofalo, vittima della ‘Ndrangheta ma prima di tutto figlia del coraggio. Una pièce che dura il tempo di cucinare un dolce, un monologo che è un dialogo tra generazioni, uno sguardo lucido sulle ferite dell’anima che non scade mai nel pietismo o nel melenso. È un racconto di parole su parole, di suoni e rumori in cui il silenzio non trova posto, perché fin troppo ne ha trovato nella vita delle due donne.

Il breve ritorno a casa dopo la morte della madre dura per Sara quanto la fuga stessa, trascinando con sé un passato ingombrante e rumoroso che il piccolo paese della Calabria si rifiuta di guardare. I ricordi affiorano con la potenza di un’onda che si infrange contro lo stomaco e lascia senza fiato, ma Sara si fa scoglio e li affronta senza abbassare lo sguardo, il mento alto come le ha insegnato sua madre. Dopo anni in cui l’unico bagaglio è stata la nostalgia, il sentimento dell’assenza, la giovane donna può tornare a immergere le mani nella terra alla ricerca delle radici materne, ad aspirare il profumo di origano, di arance, di acqua salmastra per nutrire una sete ancestrale e dare sfogo alla rabbia e al pianto, antichi come la terra in cui non si riconosce.

“Ogni volta che guardi il mare” risuona dentro come la risacca, come la risata che riempie le stanze vuote, che colma le distanze, che tiene a galla nel mare di silenzio e omertà. È il canto di libertà che la madre di Sara le insegna quotidianamente, «quell’esplosione improvvisa che uccideva la paura», è la brezza che Lea Garofalo ha soffiato sulle ali di sua figlia per farla sollevare sopra le brutture della sua terra, per farla volare in cieli che a lei sono stati negati. E non c’è interprete migliore di Federica Carruba Toscano per raccontare tutto questo. Già apprezzata al Roma Fringe Festival del 2013 con lo spettacolo “Io, mai niente con nessuno avevo fatto”, la giovane attrice è capace di rendere suo ogni frammento della storia, di accogliere in sé l’anima delle due donne, di partorire il dramma senza orpelli inutili. Un’intensità straordinaria che si infiamma con il dialetto, terrigno e concreto, e plasma figure reali e ferite. Alla fine di “Ogni volta che guardi il mare”, sospesa nel limbo delle luci che si spengono e delle parole che si affievoliscono, rimane l’eco lontana e solo immaginata delle ossa spezzate di Lea Garofalo, che nemmeno da morta ha voluto piegarsi al silenzio.

Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Lo Spazio di Roma fino al 21 febbraio.