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Rusty il selvaggio, di Francis Ford Coppola in DVD

Rusty il selvaggio [Rumble Fish], diretto, sceneggiato e prodotto nel 1983 da Francis Ford Coppola, è basato sull’omonimo romanzo per ragazzi di Susan Eloise Hinton, che ha contribuito a questa sceneggiatura che se, oggi, all’apparenza, risulta ingenua, trova la sua grandezza nelle potenzialmente infinite riflessioni filosofico-sociali che scatena ad ogni visione. Un piccolo capolavoro della storia del cinema che non può mancare nella collezione di qualsiasi cinefilo.

«Anche le società più primitive hanno un innato rispetto per gli alienati».

Rusty James [Matt Dillon] vive una vita che non è la sua. Schiavo del desiderio di emulare il fratello [Mickey Rourke], il ragazzo, ancora teenager, è il capo di una poco temibile gang in un’anonima cittadina industriale in degrado, un non-luogo che assume per antonomasia i connotati di un qualsiasi posto in qualsiasi tempo, nel palese intento di fornire all’intera vicenda valori di universalità, come fosse una parabola esemplare. Nel ricordo del fratello, nel continuo confronto a distanza, tra piccoli reati, ingenui atteggiamenti da bad boy e lotte per la supremazia territoriale, il tempo scorre inesorabile senza che per Rusty James si compia una svolta degna di nota.

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Per questo motivo gli orologi campeggiano in ogni scena del film e anche la colonna sonora è contaminata da ticchettii, battiti cardiaci e altri suoni elaborati in modo da scandire bene il tempo che passa ed il destino che incombe. Un’atmosfera surreale che sfrutta moltissimi elementi del registro espressionistico, dal bianco e nero fortemente contrastato alle ombre aggiunte in post-produzione, dalla presenza di oggetti fuori dal contesto ordinario, come la nebbia prevaricante, o fuori dimensione, come il famoso orologio senza lancette, per comunicare allo spettatore uno stato d’animo di angoscia e preoccupazione per la sorte dei personaggi, intrappolati in un loop molto simile a quello che vivono gli animali del pet shop, soprattutto i pesci combattenti del titolo originale [Rumble fish], unico elemento sempre a colori in un film significativamente in bianco e nero.

Lo straniamento visivo va di pari passo con l’alienazione vissuta dai personaggi, soprattutto dal personaggio interpretato da Mickey Rourke, che è diventato da tempo daltonico e che, quindi, coincide, anche se non perfettamente, con il punto di vista della macchina da presa e, di conseguenza, con quello dello spettatore: «Mi dispiace un po’ non vedere i colori».

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I dialoghi amletici fanno da collante alle vicende e la struttura di matrice shakespeariana è confermata dal masque finale, una figura retorica del cinema mutuata dal teatro elisabettiano che permette di inquadrare tutti i personaggi principali nello stesso long take su carrello. Un virtuosismo tecnico-poetico spesso utilizzato da autori come Peter Greenaway o Wes Anderson, ma che raramente troviamo in Francis Ford Coppola e nella corrente della Nuova Hollywood, di cui il regista ha fatto parte e nella quale va annoverato Rusty il selvaggio. Non per niente Coppola lo considera uno dei 5 propri film che gli sono più cari, probabilmente è uno dei più sentiti, dedicato al fratello August «il suo primo insegnante».

Emblematico, poi, il fatto che Rusty James venga chiamato per nome almeno 50 volte, cioè approssimativamente ogni due minuti, mentre non è mai pronunciato il nome del fantomatico fratello, il messia che tutti aspettano torni dal suo lungo viaggio e che, invece, ha maturato, nel suo percorso lontano da quell’angusta cittadina, un profondo senso critico che lo rende un corpo estraneo, in bilico tra il genio e la pazzia. Ma qual è, allora, il senso del suo ritorno? Deve riprendersi il suo regno, come predetto dalle scritte sui muri: “the motorcycle boy reigns”? Deve portare la “luce” all’uomo della caverna?

Il poliziotto che lo detesta e lo vorrebbe di nuovo lontano, mette in guardia Rusty James dicendo: «Voi lo credete qualcosa che lui non è: non è un eroe!». O forse sì, ma non secondo gli stereotipi: forse è l’outsider che ha allargato i suoi orizzonti e che si sente in dovere di liberare il fratello minore dalla prigionia di un codice comportamentale che si è autoimposto per compiacerlo ed imitarlo, per scrollargli di dosso quel destino che, tragico, sembra aspettarlo dietro ogni angolo di strada, per innalzarlo finalmente ad un livello pari o superiore al suo, dando l’esempio giusto che nessuno gli ha dato.

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Il gesto di liberare gli animali dalle gabbie e soprattutto i pesci combattenti dall’acquario assume un significato allegorico che stimola ulteriori riflessioni anche dal punto di vista tecnico.

Le inquadrature, per tutto il film, rimarcano la limitatezza umana: i personaggi sono spesso inquadrati dall’alto a comunicare un continuo senso di inferiorità e in Rusty questo si traduce nella continua sconfitta di fronte a “Quello con la moto” [“Motorcycle Boy”, nella versione originale], come tutti in città chiamano il fratello, nonostante da tempo abbia fatto perdere le sue tracce, in sella alla sua moto. Il tempo e l’assenza hanno alimentato le leggende intorno al personaggio: «Una specie di re in esilio. Accidenti! Gli riesce tutto!», nonostante la sua riluttanza – «Sono un po’ stufo di fare il Robin Hood o il pifferaio magico. Preferisco restare un’attrazione locale, se sei d’accordo…»

I personaggi sono ignari di essere fuori dal contesto e l’unico che se ne accorge, “quello della moto” passa per matto, ma ha il compito ultimo di mettere in guardia Rusty James circa il suo destino: «Ehi, su con la vita! Le bande torneranno. Basterà che sparisca la roba. Sai, La gente ricomincerà a socializzare. Le vedrai ritornare le bande… Se vivrai abbastanza!». Quello che si evince dai discorsi filosofici del carismatico fratello maggiore è che si vinca o si perda, in quella gabbia in cui vivono, il sapore che si sente tra i denti, mescolato al sangue e al sudore, è quello amaro della “vittoria di Pirro”, imprigionati come sono in un’impasse simile a quello dei pesci combattenti, oggetti d’intrattenimento senza alcuna libertà d’azione, ingranaggi di un orologio che segna solo il tempo che passa.

«Appartengono al fiume. Non combatterebbero se fossero nel fiume. Se avessero spazio»

Le inquadrature dal basso, utilizzate per attribuire importanza al soggetto, sono pochissime e sono compatibili, infatti, proprio con i tentativi di fare qualcosa per uscire dallo status quo. Anche gli elementi espressionisti decontestualizzati, ma non certo fuori posto, contribuiscono a comunicare evasione: l’angoscioso pensiero, il delirio della febbre, il viaggio astrale sono occasioni per utilizzare distorsioni sonore e visive, contrasti più forti, architetture e ombre incombenti, nebbie inverosimili, inquadrature fuori bolla, time lapse, sovrimpressioni e dissolvenze incrociate multiple, sono tutti elementi che spesso sconfinano anche nella realtà filmica, che assume, quindi, i connotati di una pseudo-realtà che si rivela costruita fin da subito su di un castello di carte, su illusioni inconcludenti che hanno il cluster più evidente nella prigionia autoinflitta di Rusty James.

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L’unica svolta possibile è uscire prepotentemente dalla gabbia, liberarsi delle zavorre che non permettono di spiccare il volo, compiere un viaggio che possa aprire gli orizzonti, un viaggio in moto, in solitaria, come lo ha fatto “quello della moto”.

L’esortazione «Voglio che tu segua il fiume fino all’oceano» segna la svolta nella vita dei due protagonisti e l’emancipazione definitiva del piccolo pesce da combattimento che prende finalmente il posto del fratello in sella alla moto e parte verso un nuovo destino, stavolta reale e di prospettiva, frutto del crepuscolo del mito, dalla morte di ogni leggenda.

Nell’ultima inquadratura, i gabbiani volano liberi intorno a Rusty James, che osserva l’oceano, sconfinato come il cielo, mentre tutta sembra comunicare libertà.

IL DVD

REGIA: Francis Ford Coppola INTERPRETI: Matt Dillon, Mickey Rourke, Vincent Spano, Diane Lane, Diana Scarwid, Nicolas Cage, Dennis Hopper, Tom Waits, Lawrence “Larry” Fishbourne, Chris “Christopher” Penn  TITOLO ORIGINALE: Rumble fish GENERE: drammatico DURATA: 90′ ORIGINE: USA, 1983 LINGUE: Italiano 5.1, Italiano 2.0, Inglese 5.1 SOTTOTITOLI: Italiano EXTRA: Making of – Clip musicale “Don’t box me in” – “The percussion bassed score” – Scene tagliate DISTRIBUZIONE: CG Entertainment

Pubblicato da CG Entertainment, Rusty il selvaggio è disponibile in dvd e blu ray, corredato da una nutrita sezione extra composta dalla sequenza di scene tagliate, dall’interessante Making of corredato di storyboard, in cui spicca il dietro le quinte del viaggio astrale di Rusty James mentre è esanime dopo una rissa, e da un ancora più suggestivo The percussion bassed score, che approfondisce la realizzazione della colonna sonora a cura di Stewart Copeland [Wall Street, Talk Radio], ex-batterista dei Police, scioltisi proprio l’anno precedente al film.

Molto istruttivo ascoltare come, in tempi lontanissimi dalle odierne tecniche digitali, si dovevano creare artigianalmente i temi musicali che, per questo film surreale, basato sul circolo vizioso e sulle prigioni mentali, non potevano che essere replicati in un loop.

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Sin City 3D – Una donna per cui uccidere

Benvenuti nella città del peccato, dove l’aria è pesante di alcol e polvere da sparo, e dove la vita vale meno di niente. I vicoli della città vecchia sono il regno delle prostitute, che difendono il loro territorio armate fino ai denti, mentre i locali di infima categoria sono il luogo in cui la feccia in circolazione si ritrova per giocare d’azzardo, mentre si consuma gli occhi sui corpi sinuosi delle ballerine seminude. Nancy Callahan era la più bella, amava ballare ed era famosa per la sua danza fluida e sensuale, ma ora ha perso la testa. Hartigan, l’unico uomo che abbia mai amato, si è tolto la vita a causa del Senatore Roark e del suo figlio deforme, il bastardo giallo, e ora il suo fantasma non trova pace. La segue ovunque per vegliare sulla sua coscienza infranta e contenere la fame di vendetta che le sarebbe letale. Il Senatore merita di pagare per tutto il male che ha procurato alla città, ma la sua testa non alla portata del mirino di Nancy. Uno stuolo di scagnozzi spietati non lo abbandona neanche per un istante, ed è pronto a versare sangue innocente ad un solo cenno dell’uomo più potente di Sin City e Nancy non ha il coraggio di premere il grilletto. La pazzia la consuma dall’interno, mentre l’alcol e l’insonnia fanno il resto, frantumandole la mente e lasciando sempre più spazio a una fantasia di morte.

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Nella città del peccato non esiste giustizia per i torti subiti, e il coraggio non basta a scalare le vette di una società corrotta e marcia dall’interno, che si nutre dei cadaveri di chi, per sua sfortuna, la attraversa anche solo per una notte. Una delle tante vittime della città maledetta è Johnny, un baldanzoso giocatore di poker, che osa sfidare il Senatore al tavolo da gioco, con al seguito la sua ballerina portafortuna dalla pelle di porcellana e le labbra carminio. La partita a scacchi con la morte ha inizio. Le tenebre lo inseguono per le strade della città, si nascondono dietro ogni angolo e puniscono il suo peccato di hýbris verso un uomo accentratore e la sua città inconquistabile, che protegge gelosamente il suo squallido microcosmo e non conosce altra lingua se non quella del sangue.

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Chiunque sia entrato almeno una volta a Sin City ne ha succhiato voracemente il veleno e si è trasformato in una delle sue creature. In un posto come questo, anche l’anima più pura si vende al diavolo in cambio di potere e di protezione e mette in gioco tutte le armi che possiede per restare in vita. La bellezza è la dannazione di Ava Lord, una creatura più simile a una dea che a una donna, che fa il bagno al sorgere della luna e fa risplendere il suo corpo nelle luci argentee della notte. Il suo corpo è la sua arma più potente, con le curve perfette del seno e gli occhi verdi, che incantano gli uomini come fanno le sirene con i marinai, li incatenano e li assoggettano a ogni suo volere. Ava è una donna per cui qualunque uomo ucciderebbe, con il miraggio di possederla anche solo per una notte. Dwight Mccarthy è la sua marionetta, un uomo distrutto dall’amore per un mostro da cui non riesce a liberarsi. Sono passati quattro anni da quando Ava lo ha lasciato per l’uomo più ricco di Sin City, e l’alcol e la rabbia incontrollabile hanno tenuto a bada i suoi mostri interiori per un po’, ma quando lei riappare nella sua vita, il grigio lascia il posto al verde tagliente dei suoi occhi, l’amor proprio si annulla e Dwight risale sulla sua giostra mortale, tanto affascinante quanto pericolosa.

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Il sangue scorre a fiumi e fa da contrappunto al bianco e nero in cui è immerso l’intero universo di Sin City. Questo è il suo tratto distintivo: una notte perpetua in cui le morti si susseguono instancabilmente, intervallate solo dal calore delle labbra rubino delle femme fatale che tengono la città in pugno. Sono passati nove anni da quando per la prima volta questi personaggi sono usciti dalle pagine della graphic novel di Frank Miller per raccontare le tragiche storie sul grande schermo, e ora raccolgono le ceneri di ciò che erano. Vite brevi, spezzate prematuramente o segnate dalla violenza, che ora sono giunte al punto massimo di decadimento. Nancy ha perso la grazia e la lucidità e barcolla sul palcoscenico in preda alle allucinazioni meditando vendetta, Dwight vaga come un burattino per i vicoli della città in cerca di un luogo in cui trovare la pace, e Ava, che potrebbe avere il mondo intero ai suoi piedi, svende il suo splendido corpo a chiunque le posi gli addosso, scambiando una notte di sesso in un motel per un giorno in più di vita. Sin City cade a pezzi come i suoi personaggi. Le loro storie sono consumate come i loro corpi, e non hanno abbastanza vigore per balzare fuori dallo schermo, rimanendo a stagnare su una scena in decomposizione. E se il 3D di Rodriguez arrotonda le forme e trascina di peso nell’universo marcio di Sin City, fino a farne percepire il fetore, la sceneggiatura intrappola la scena in un passato troppo lontano per potersi ricongiungere con il presente, e l’impianto visivo, che accentua la dimensione cinematografica della storia,  allo stesso tempo la allontana dall’esperimento cross-mediale che era il tratto caratteristico di Sin City, trasformandola in una cupa evocazione dei fantasmi del passato, che tornano incessantemente a raccontare la loro storia per trovare un senso al loro tragico destino.

Robert Rodriguez e Frank Miller presentano Sin City 3D – Una donna per cui uccidere

Dal fumetto al cinema, Sin City 3D – Una donna per cui uccidere è stato presentato in anteprima a Roma da Frank Miller, l’autore della graphic novel che ha ispirato il film, e il regista Robert Rodriguez, che hanno svelato i segreti di questo straordinario adattamento.

Quando Frank Miller ha scritto e disegnato Sin City non avrebbe mai immaginato di vedere il suo lavoro trasposto sul grande schermo, ma l’incontro con Robert Rodriguez e con la sua immaginazione visionaria ha fatto balzare i personaggi di china fuori dalle pagine della graphic novel, e gli ha conferito tridimensionalità con la tecnica del green screening. L’universo grafico di Miller ha preso vita e ha reso possibile l’inimmaginabile senza snaturare la storia e la tecnica di Miller. “Sin City è il Sin City di Miller – ha detto Rodriguez – e la mia intenzione era rimanere il più possibile fedele alla storia, perché la graphic novel ha già in sé una storia completa e profonda, e volevo che diventasse un film, non un semplice adattamento”.

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Ed è proprio la fusione tra il fumetto e il film, tra l’immagine statica e l’immagine in movimento, che hanno reso Sin City un’esperimento cinematografico unico nel suo genere. “Spesso mi chiedono perché non lavoro a Hollywood – ha ammesso Miller –  ma con Rodriguez ho capito che le mie opere potevano essere adattate per il cinema senza passare per il tritacarne di Hollywood, che rende gli adattamenti simili gli uni agli altri e li appiattisce. I film migliori sono quelli più vicini al materiale di partenza, e anche se è difficile mantenere l’integrità dell’originale, bisogna rimanete fedeli alla storia, sempre”.

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L’universo di Sin City ormai  inestricabile dall’immaginario cinematografico, al punto che  l’immagine dei personaggi sul grande schermo e la fisicità degli attori sono diventati d’ispirazione per il lavoro di Miller. “Quando ho creato il personaggio di Marv – ha dichiarato Miller – sono partito dall’immagine di un “Conan con addosso un trench”, un barbaro in un contesto metropolitano, ma oggi pensare al personaggio di Marv senza pensare a Mickey Rourke per me sarebbe impossibile”.

L’uso del 3D ha portato il disegno ad un livello superiore, scomponendo l’immagine su una serie infinita di quinte teatrali che portano in primo piano gli elementi che caratterizzano la scena, da un particolare sul corpo dei protagonisti ad uno sullo sfondo. Robert Rodriguez ha spiegato: “Il 3D aiuta tantissimo la narrazione perché l’universo di Miller è astratto, e il 3D è in grado di trasformare un puntino bianco in un fiocco di neve.  Il 3D aiuta a concentrarsi sugli elementi fondamentali della storia” e Frank Miller ha aggiunto: “La storia è tutto sia per il cinema che per la TV. Di sicuro il 3D aiuta gli occhi a focalizzare l’attenzione e a concentrarsi su ciò che serve, ma non bisogna mai dimenticare l’importanza della storia”.