Minions

Cattivissimo me 3, di Pierre Coffin e Kyle Balda

Uno dei franchise più popolari degli ultimi anni arriva al suo terzo capitolo. Cattivissimo me 3 è stato anticipato da una serie di cortometraggi molto divertenti, che hanno, manco a dirlo, come protagonisti assoluti i Minions, i personaggi secondari più amati dai bambini di tutto il mondo. E sono loro, come al solito, la chiave di volta del film. Sulle loro trovate “geniali” si costruisce la campagna pubblicitaria e sono sempre loro le “pinze” su cui si regge una sceneggiatura che altrimenti non avrebbe interessi particolari da destare.

Continua il tema della famiglia allargata, una famiglia 2.0 che ha come bandiera del male che ha modificato il suo destino fino a sventolare in direzione del bene, anche se si tratta più di una di quelle vie di mezzo tanto care al cinema contemporaneo. Si tratta di figure che trascendono il vecchio manicheismo, che tanto ha dominato l’animazione in passato, fino a diventare personaggi che necessitano di un percorso di crescita costellato di prove mai troppo spaventose in un mondo dove sono forse gli adulti a dover imparare lezioni di vita dai più piccoli.

Dopo esser stato licenziato dalla Lega Anti Cattivi per non essere stato capace di sconfiggere l’ultimo villain che minacciava l’umanità, Gru si trova nel bel mezzo di una grave crisi d’identità. È a questo punto che un misterioso individuo informa Gru che ha un fratello gemello, Dru, di cui, ovviamente, ignorava l’esistenza. Un fratello che non vede l’ora di calcare le spregevoli orme del suo gemello. L’ex super-villain riscopre immediatamente quanto sia bello essere cattivo, un sapore di cattiveria che non assaporava da tempo. Insomma, la bussola morale di Gru sembra di nuovo fare le bizze mentre gli altri personaggi sono impegnati in divagazioni, più che sottotrame, forse maggiormente adatte ad una serie tv: i Minions in giro a far danni dopo un banale litigio, Lucy intenta a farsi accettare in casa dalle ragazze, le ragazze in cerca di un unicorno vero per Agnes.

Doppio lavoro, insomma, per Steve Carell [Ortone e il mondo dei Chi, Foxcatcher – Una storia americana, Cercasi amore per la fine del mondo, Little Miss Sunshine] che riprende, forse per l’ultima volta, il suo ruolo di Gru e ne assume anche un secondo, quello di Dru, il misterioso gemello. Del cast fanno parte anche Kristen Wiig [Ghostbusters, Sopravvissuto – The Martian, Zoolander 2], che ritorna nelle vesti della super-spia Lucy, e Trey Parker [il regista di South Park] – un neofita del doppiaggio, ma vincitore di un Emmy, un Tony e un Grammy – che fornisce la voce al nuovo antagonista di Gru, Balthazar Bratt, un ex bambino-prodigio, star televisiva della fine degli anni ’80, oramai ossessionato dal suo stesso personaggio, nostalgico fino al midollo, tanto da credere che gli anni ’80 non siano mai terminati. Forse il più formidabile e divertente nemico che Gru abbia mai incontrato, deciso a radere al suolo Hollywood, per non avergli dato la chance che sentiva di meritare. Inutile dire che chiunque si frapponga tra lui e il suo obiettivo sono in pericolo.

Pur essendo l’ennesimo sequel di un prodotto ben riuscito, Cattivissimo me 3 non ha perso l’entusiasmo e può vantare dei record curiosi che lo rendono comunque un lungometraggio degno di nota, a prescindere dalla semplicità della sceneggiatura: rispetto ai precedenti e rispetto a tutti gli altri prodotti della Illumination Entertainment, il film è visionabile in un’aspect ratio widescreen in rapporto 2.39:1 e la brillante colonna sonora del compositore Heitor Pereira [Madagascar, I Simpson – Il film] riesce a mescolare le sonorità e alcuni evergreen degli anni ’80 – Take on me degli A-ha e l’immancabile Bad di Michael Jackson – alle canzoni originali, create ad hoc da un fan d’eccezione, Pharrell Williams, e già tormentoni.

Ma veniamo ad una nota dolente. Probabilmente è tempo di saluti per Gru e famiglia. Se non adesso, la prossima volta. Purtroppo Cattivissimo me 3 potrebbe aver scritto la parola FINE sul rapporto artistico tra Steve Carell e il franchise. Manovre per aumentare il cachet? Probabilmente no, dato che l’attore ha dato comunque la sua disponibilità in futuro per un voice cameo in un qualsiasi corto dei Minions. Si dice che quando i doppiatori scendono dalla barca è segno che la crociera è finita. Bisogna solo vedere cosa decideranno i produttori, se tentare la sostituzione, rischiando la deriva o se concludere mentre la serie si trova all’apice del successo.

Comunque, niente panico! Tanto i Minions possono vantare un pubblico tutto loro e quindi avere vita autonoma: il loro secondo lungometraggio è previsto per il 3 luglio 2020. Ci sarà da aspettare, ma l’attesa sarà perdonata: il fascino ipnotico che esercitano nei confronti del pubblico infantile è veramente impressionante. Nel frattempo la Illumination Entertainment ha in programma, in ordine cronologico: il 9 novembre 2018 arriverà un Grinch doppiato da Benedict Cumberbatch [Doctor Strange, Star Trek, Sherlock, la serie tv] in How the Grinch Stole Christmas, animato in 3D, come un altro personaggio tratto dalle opere del dr. Seuss, The Lorax; poi a luglio 2019 è la volta del sequel di Pets, di cui ancora non è trapelato nulla.

Il viaggio di Norm, di Trevor Wall

Il Polo Nord è in pericolo? Ci pensa Norm, un simpatico orso bianco che non sa cacciare, ma sa comunicare anche con il linguaggio umano e, soprattutto, sa ballare divinamente! Questi suoi interessi che esulano dal tradizionale modus vivendi dei suoi simili, lo rendono triste e solo, specialmente da quando è scomparso il nonno. Le potenzialità di Norm, come accade per la maggior parte dei “multipotentialite” come lui, vengono soffocate per paura di un fantomatico disordine sociale o assurde ragioni simili. Anche il padre, sovrano dell’Artide, gli ricorda le regole di un regno, dove «si caccia, si regna, si dorme» e dove non c’è spazio per nient’altro, salvo delle buffe esibizioni occasionali per turisti organizzate da Stan, fratello di Norm, anche lui attratto dal palcoscenico, anche se da dietro le quinte. Chi come Norm, invece, aveva il dono della parola era il nonno che, oltretutto, rappresentava un modello di re istintivo e perspicace che «sente la sofferenza dei ghiacci».
Quando Greene, un magnate senza scrupoli, cerca di realizzare, a dispetto del suo nome che rimanda alla natura e alla green economy, un immorale progetto di urbanizzazione del Polo Nord, infischiandosene dell’impatto ambientale e dei potenziali danni che il surriscaldamento della calotta polare può provocare all’ecosistema artico e al mondo intero.
Su consiglio del gabbiano Socrate e dell’orsa Elizabeth, Norm va a risolvere il problema all’origine: a New York. E così, tra rivisitazioni etimologiche della “pole dance”, esibizioni di twerk, brani pop famosi ed orecchiabili, sofisticate operazioni di marketing, tra cui un flash mob a Times Square, e rocamboleschi inseguimenti per le strade trafficate di Manhattan, l’eroe dei ghiacci del Nord mette in atto il suo piano per salvare la sua casa e il mondo intero.

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Impresa impossibile? Forse, ma Norm non è da solo! Ad aiutarlo ci sono Olympia, una bambina prodigio, figlia della direttrice marketing di Greene, e i tre lemming, roditori artici di piccole dimensioni, i perfetti compagni di team per un multipotentialite, specialisti di missioni impossibili, pronti a tutto e praticamente indistruttibili, grazie alla loro speciale costituzione fisica, tanto leggera e soffice da essere a prova di urto. I lemming svolgono egregiamente sia la macrofunzione comica sia una microfunzione di coro, in tutti i sensi! Il pubblico viene letteralmente calamitato dalle loro gesta, eroiche e non! Un po’ come accaduto in passato con i pinguini di Madagascar o i Minions di Cattivissimo me. Chissà che non possano un giorno avere anche loro uno spin off incentrato su di loro. Sarebbe un bel risarcimento per la loro reputazione, meschinamente ridicolizzati da un “documentario” del 1958 della Disney intitolato White wilderness, che include varie scene di lemming che sembrano buttarsi da un’alta scogliera. In realtà, le scene in questione sono state costruite ad arte in Manitoba. Una farsa che ha affibbiato ai lemming la nomea di animale con la tendenza al suicidio di massa, cosa che non ha alcun fondamento scientifico. L’unico dato di fatto che può, in qualche modo, aver contribuito alla creazione di questo falso etologico è che i lemming sono soliti migrare in gruppi numerosissimi e, di conseguenza, molti di loro possono morire per cause accidentali oppure per la pressione degli altri individui che può provocarne la caduta in corsi d’acqua e dirupi. A causa della loro associazione con questo bizzarro comportamento, la sindrome del lemming è una diffusa espressione utilizzata per riferirsi in maniera metaforica a persone che seguono acriticamente l’opinione più diffusa, con conseguenze pericolose o addirittura fatali. Forse non a caso è stato scelto questo tipo di animale per affiancare un orso polare con problemi da multipotentialite.

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Per chi legge il termine per la prima volta, per multipotentialite s’intende una persona che nella vita ha molti interessi, diversi tra loro e spesso neanche interconnessi. Non ha un’unica vocazione, ma il suo percorso segue molti sentieri in sequenza o contemporaneamente, o entrambi. Spugna dalla straordinaria capacità assorbente per quanto riguarda l’apprendimento, intellettualmente e artisticamente curioso e pronto all’esplorazione di tutto, il multipotentialite riesce in poco tempo ad aver padronanza di nuove competenze ed è eccellente a produrre idee in modo creativo che connettono le diverse materie di cui si interessano. Sarebbe un incredibile innovatore e risolutore di problemi, se non fosse ostacolato dal tradizionale modo di vedere il mondo. Ma, come molto, troppo!, spesso accade il “diverso”, che in realtà è solo “divergent”, come Norm, in quanto anticonvenzionale ed eccentrico, viene emarginato dalla comunità di orsi, preso in giro dai caribou di turno, costretto a nascondere la propria identità, unica ed irripetibilmente magnifica.

Come magnifica è stata l’originale tecnica di filmare lo storyboard con artisti che recitano e ballano dal vivo, per poi passare il materiale al team di illustratori e animatori, per rendere più realistiche possibile le espressioni, le emozioni e la gestualità dei personaggi del film. Mentre per l’ambiente artico il regista Trevor Wall e la crew, che lo segue dai tempi della televisione e del successo Sabrina: i segreti di una vita da strega, hanno preferito un design più da cartone animato che superrealistico, per le sequenze di Manhattan e i vari grattacieli hanno utilizzato immagini computerizzate in modo da costruire uno spazio urbano stilizzato, modellato direttamente su edifici reali, ad esempio il Walt Disney Concert Hall di Los Angeles ha fatto da modello di riferimento per minacciosa casa futuristica dell’immobiliare Greene. Di nuovo la Disney. Un’altra allusione negativa nascosta nel sottotesto? I nomi derivati dalla cultura greca, Socrate e Olympia, e la scelta di fare di un orso bianco il re dell’Artide confermano la presenza, quantomeno, di un sottotesto ben studiato: la parola Artide viene dal greco ἀρκτικός (arktikos), ossia “vicino all’Orsa”, cioè a Nord, e deriva a sua volta da ἄρκτος (arktos), che significa proprio “orso”. Il riferimento è sia alla costellazione dell’Orsa maggiore, che si trova nell’emisfero settentrionale della volta celeste, sia alla costellazione dell’Orsa minore che contiene Polaris, la stella polare, fin dall’antichità punto di riferimento fondamentale perché stabilmente fissa al Nord geografico, secondo la percezione umana. Non poteva, quindi, che essere un Ursus maritimus, come lo chiamerebbe Olympia, il simbolo della difesa di un ecosistema il cui stato di salute è il fulcro del destino dell’intero pianeta.

«Sta arrivando qualcuno! Siate naturali!»

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Originariamente realizzato per il mercato home cinema, Il viaggio di Norm è anche e soprattutto questo: una favola ambientalista che tocca il tema della diversità come valvola di innovazione, attraverso una forma divertente e scanzonata, ma soprattutto molto semplice, in modo che i contenuti possano arrivare dritto al cuore anche degli spettatori più piccoli, senza alcuna difficoltà di comprensione. Il viaggio dell’eroe è più che mai di natura formativa, spirituale, educativa, alla scoperta di sé – e della rivoluzione a cui porta il “think different” –  e alla ricerca di quel coraggio che serve per credere nelle proprie capacità, anche se sono fuori dalla norma. Tanto, in fondo, chi decide cosa è “normale” e cosa non lo è?