Nei sogni di tutti noi vivono mostri. La fantasia di ogni bambino è popolata da esseri misteriosi e oscuri. È il retaggio di generazioni di racconti, di paure, di ansie che assumono una forma. Ma cosa accade quando, oltre alla forma, questi mostri prendono anche sostanza?
Ransom Riggs, autore de “Miss Peregrine. La casa dei ragazzi speciali”, traccia esattamente quel momento in cui le fantasie e i ricordi di un adolescente americano acquistano una dimensione reale, si incarnano in incubi, proiettano ansie e paranoie.
Jacob, sedicenne benestante che guarda alla vita senza passione, conosce a memoria i racconti di suo nonno Abraham, sopravvissuto alle persecuzioni naziste, ma li accantona come fantasie. Bambini volanti, ragazzi invisibili, esseri con due bocche sono invenzione e sogno, a cui suo nonno si è aggrappato per non affondare nel mare pecioso della guerra.
Quando la tragedia lacera la sua famiglia, Jacob trova come unica ancora possibile un sentiero a ritroso, che dalla soleggiata Florida lo conduce nella sperduta e piovosa Cairnholm. Su quell’isoletta, settant’anni prima, suo nonno si è rifugiato ed è sopravvissuto in compagnia di altri bambini e di una giovane donna che risponde al nome di Miss Peregrine. Jacob ha bisogno di perdersi nelle stanze in rovina, ha la necessità di soffiare sulla polvere per svelare il passato, sente l’esigenza di spostare i calcinacci per riesumare i bauli dei ricordi. In bilico tra presente e passato, il ragazzo affonda le mani in una realtà nuova e al posto del fango trova la verità, incredibile e potente ma brillante. La luce della scoperta rischiara i racconti del nonno, ma le ombre che proietta sono lunghe e lambiscono l’indolente quotidianità del ragazzo.
“Miss Peregrine. La casa dei ragazzi speciali”, edito da Rizzoli, ha visto la sua prima pubblicazione nel 2011, ma è negli ultimi mesi che ha subìto una riscoperta, grazie all’opera cinematografica per la regia di Tim Burton (potete trovare la nostra recensione del film qui). Un racconto, quello di Riggs, che trova sostanza non solo in paure ancestrali, costituite da uomini neri e creature tentacolari, ma anche in una condizione, quella umana e adolescenziale in particolare, che è popolata da ombre impalpabili, indefinibili e spesso peggiori anche dei veri mostri. Jacob è indolente, senza amici, trascurato dagli adulti, un’ombra indefinita per sé stesso e per chi lo circonda, disilluso. Un realtà che divora da dentro, consuma i sogni. Uno stato a cui probabilmente anche noi possiamo legare ricordi e frustrazioni. Jacob avverte finalmente la possibilità di poter prendere decisioni da sé, di darsi una forma, ma scopre come ogni scelta comporti un sacrificio e di quanto il cammino sia rallentato dal peso delle responsabilità che si concretizzano sulle sue spalle.
La scrittura del trentottenne americano non ha troppi fronzoli, non si perde in giri di parole o in descrizioni eccessive, ma talvolta ha una doppia velocità. Se alcuni momenti sembrano dilatarsi troppo, diventando ridondanti, altri scorrono via troppo in fretta, lasciando nel lettore dubbi e perplessità. Lì dove c’è da sorvolare, talvolta ci si dilunga, lì dove c’è da approfondire, si omette con facilità. Gli elementi che Riggs richiama sono interessanti benché non sempre originali, ma si sforza di dar loro un connotato nuovo. Un tentativo che riesce solo in parte. Però, a conti fatti, rimane la curiosità di sapere dove condurrà l’ultimo passo compiuto da Jacob, quale filo di trama sarà intessuto, quale nuova verità sarà riesumata dalla nebbia del tempo e quali nuovi mostri si profileranno all’orizzonte. Per questo, però, rimandiamo alla lettura dei due capitoli seguenti “Hollow city – Il ritorno dei bambini speciali di Miss Peregrine” e “La biblioteca delle anime”.