pixar

Coco, di Lee Unkrich e Adrian Molina

Emozioni intense e colori sgargianti. C’è tutta la vibrante atmosfera del Messico in Coco l’ultimo lungometraggio d’animazione Disney Pixar che esce oggi nelle sale italiane (in Messico, dove si è tenuta l’anteprima internazionale, il film è uscito lo scorso 27 ottobre).
La storia è quella del piccolo Miguel e del suo appassionante sogno: seguire le orme del più grande musicista del suo paese, Ernesto de la Cruz. Peccato solo che la sua famiglia, parecchie generazioni prima della sua nascita, abbia deciso di ripudiare la musica in modo totale e definitivo.

Durante la caratteristica festa del Dia de Muertos, Miguel si ritrova catapultato nella Città delle Anime, una spettacolare metropoli dotata di tutti i confort dove i defunti, dalle sembianze di colorati e per nulla spaventosi scheletri, conducono la loro esistenza post-mortem. Qui Miguel fa la conoscenza di Hector, uno scheletro spaccone e divertente che tenta in tutti i modi di superare il ponte di fiori che connette i defunti con il mondo dei vivi senza riuscire nell’impresa. Miguel scoprirà così che se nessuno in vita espone la foto del defunto in casa propria, a questi non è concesso tornare a far visita ai suoi cari durante la festività.
Anche Miguel deve trovare il modo di tornare tra i vivi e per farlo ha bisogno della benedizione di un familiare, benedizione che gli zii defunti sono ben lieti di concedere a patto che lui rinunci alla musica per sempre.

Inizia allora la frenetica e avventurosa ricerca di quella parte della famiglia da sempre rinnegata che appare a Miguel come l’unica alternativa per non rinnegare il suo sogno. Ad aiutare il ragazzo nell’impresa sarà proprio Hector, in cambio della promessa da parte di Miguel di esporre la sua foto una volta tornato nel mondo dei vivi.
Insieme al buffo cane spelacchiato Dante e alla componente defunta, ma ugualmente ingombrante, della famiglia Miguel imparerà quanto coraggio è richiesto a chi vuole seguire la propria vocazione ma anche quanto ne occorre per fare un passo indietro e non trasformare quel sogno in un’ossessione capace di far dimenticare gli affetti che davvero contano nella vita.
Nel suo atipico percorso di formazione, Miguel dovrà fare i conti con i pregiudizi della sua famiglia e con il difficile e precario equilibrio tra il rispetto per le proprie origini e il desiderio di perseguire una carriera musicale.
L’itinerario per ritrovarsi alla fine del viaggio è il medesimo: Miguel dovrà abbandonare alcune convinzioni troppo frettolosamente acquisite, la sua famiglia dovrà fare altrettanto per recuperare una parte erroneamente rifiutata della propria storia.

L’altra grande protagonista del film è la musica: quella dei mariachi, piena di passione e ritmo trascinante, quella che vibra nelle corde della chitarra e risuona nel cuore di chi la ascolta. Sorprendentemente il film riesce a compiere lo stesso percorso emotivo: affascina visivamente e colpisce dritto al cuore. L’avventura di Miguel infatti ripercorre i colori e i suoni dell’America centrale, ricostruisce l’affresco di un mondo affascinante fatto di sentori forti, di riti ancestrali, di tradizioni orali e di ritmo travolgente.  A cominciare dalla megalopoli in cui vivono i defunti, ricostruita come agglomerato urbano pieno di luci e colori brillantemente sospesa tra gusto art nouveau e comodità moderne.
I miti culturali e l’immaginario visivo del Messico ci sono tutti in quello che forse è il film più ritmato della Pixar, da sempre lontana dal canone del musical disneyano ma che trova questa volta una formula nuova, in cui la musica diventa parte integrante della storia e sua impalcatura portante. Le canzoni originali interpretate dai personaggi sono state composte da Germaine Franco, Robert Lopez e Kristen Anderson-Lopez (questi ultimi due già creatori dei brani di Frozen).

Il ritmo della storia è veloce, serrato, con uno sviluppo ben costruito e scandito da momenti fortemente emozionanti e gag altrettanto divertenti che vedono protagonisti il buffo cane messicano o i simpatici scheletri che declinano meravigliosamente la tradizione dei calaveras (nel folklore messicano i teschi di zucchero dipinti),

L’importanza delle proprie radici, la forza dei ricordi, l’oblio come unica vera morte senza appello, il difficile equilibrio nel conciliare le proprie passioni e coloro che si amano, il potere dirompente del perdono e soprattutto quello evocativo della musica: i contenuti emozionanti sono tanti e i temi musicali costituiscono una cassa di risonanza a cui è impossibile resistere. L’impatto emotivo è travolgente, quindi portatevi i fazzoletti anche se non siete deboli di cuore, fidatevi!
Il titolo Coco è giunto in soccorso alla Disney rea di voler gettare nel tritatutto del marketing anche una festività religiosa come quella del Dia de Muertos (ha tentato di farne un marchio e di appropriarsi dei diritti commerciali per farne appunto il titolo del film), la sollevazione popolare in difesa di una tradizione che ha origini addirittura precolombiane ha convinto la produzione a scegliere un nome diverso. Non vi diremo perché il titolo acquista un significato estremamente commovente… ma vi invitiamo a scoprirlo “a vostre spese”!

Quello che ci preme dire è invece che Coco ci ricorda che in mezzo alle difficoltà c’è uno spirito guida dove meno te l’aspetti, che la memoria – storica, culturale e familiare – è l’unico antidoto che abbiamo contro la morte e soprattutto, lezione classica e mai scontata, quanto sia importante inseguire i propri sogni contro tutto e contro tutti ma, ed è questa la vera lezione del film, non a discapito di tutto.
Il nuovo film di Natale Disney Pixar si conferma in sostanza all’altezza di una lunga tradizione di capolavori: visivamente impeccabile, con una storia emozionante, divertente, ricco di colori, di sfumature, di musica e sopratutto immensamente capace di scaldare il cuore.

Cosa fate ancora davanti al computer? Correte al cinema a scoprire chi è Coco!

Alla ricerca di Dory, di Andrew Stanton

Ricordi perduti riemergono da un cassetto ormai dimenticato della nostra mente. Prima smarrimento, poi un’improvvisa gioia nell’aver ritrovato qualcosa di prezioso. Tutto questo ovviamente è amplificato se si è un pesce chirurgo della Grande Barriera Corallina che soffre di perdita di memoria a breve termine.

Da qui inizia l’avventura narrata in Alla ricerca di Dory, sequel e spin-off del bel Alla ricerca di Nemo, diretto da Andrew Stanton, prodotto dalla Pixar e distribuito dalla Walt Disney Pictures, uscito nelle sale italiane il 15 settembre 2016. In questo secondo film ritroviamo gli amati personaggi della storia precedente, Marlin, Nemo e, ovviamente, Dory. Ora sarà lei la protagonista, ma anche quella da ritrovare.

FINDING DORY. Pictured (L-R): Destiny and Dory. ©2016 Disney•Pixar. All Rights Reserved.

Improvvisamente la smemorata pesciolina ricorda di avere non solo una famiglia che ha perso da piccola, ma esattamente anche da dove proviene. Non può far altro che partire. Ad aiutarla nella ricerca saranno Marlin e Nemo, che potranno così ricompensare l’aiuto prezioso fornito da Dory nel capitolo precedente. Il gruppo, arrivato vicino alla meta, però, si ritroverà separato. Dory sarà sola ma la caparbietà non le verrà meno, e il desiderio di ricongiungersi ai propri genitori sarà la bussola che la guiderà attraverso varie vicissitudini. Una “Pollicino” acquatica, che invece di ritrovare la strada di casa grazie alle briciole di pane, dovrà seguire le conchiglie, come appreso da un ricordo riaffiorato. Ad aiutarla ci saranno amici nuovi o ritrovati, come lo scontroso polpo Hank, la miope squalo balena Destiny e l’insicuro beluga Bailey.

Contemporaneamente Marlin e Nemo saranno alla ricerca della loro amica. Il rapporto padre-figlio ne uscirà rafforzato perché solo insieme riusciranno a superare gli ostacoli. L’aiuto più importante che avranno sarà, però, una domanda “Che farebbe Dory?”. Mentre nel primo film il contributo dato dalla pesciolina era sì fondamentale ma era Marlin a dover superare i propri limiti e convinzioni per ritrovare il figlio, ora sarà Dory, con la sua impulsività, il filo di Arianna che aiuterà tutti i protagonisti a raggiungere i propri obiettivi nel dedalo della vita.
1280_finding_dory_ed_oneil_hank_septopus

Seguire il proprio istinto, le proprie passioni e idee è l’onda lunga su cui scivola questo secondo capitolo. Bisogna sbloccarsi, buttarsi nell’avventura per raggiungere ciò che si vuole. Dory fa così. Non potendo ricordare nemmeno le proprie paure e insicurezze, lei può affidarsi solo al proprio istinto, alla propria indole soccorritrice, al primo pensiero che le viene in mente. L’eterna indecisione di Marlin è sconfitta rispondendo semplicemente alla domanda “Che farebbe Dory?”, che diventerà “Che farebbe Marlin?”, “Che faremmo noi?”.

Il superare i propri limiti e credere nei propri mezzi sono quindi i collegamenti tra i due capitoli della saga ambientata nell’Oceano Pacifico. Alla ricerca di Dory conferma il messaggio del film precedente, con sfondo una storia scritta con passione e positività accompagnata da stupefacenti effetti speciali. Avere difficoltà sia a livello fisico ma anche emotivo dovrà diventare il punto di forza e di partenza nell’affrontare i problemi che la vita ci pone. Avere una pinna atrofica, una forte miopia, delle fobie per l’esterno e gli altri, essere insicuri, saranno dei mezzi fondamentali nel migliorare se stessi. Soffrire di perdita di memoria a breve termine non ti limita nell’affrontare stupende avventure. Il primo ostacolo per nuotare liberi, siamo noi stessi.