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Scappa – Get Out, di Jordan Peele

Scritto e diretto da Jordan Peele, l’attore comico afroamericano del canale Comedy Central [Vi presento i nostri, Nudi e felici, Cicogne in missione] al suo debutto assoluto come filmmaker, Scappa – Get out s’inserisce di diritto nella corrente dei generi ibridati. Si tratta di un horror particolare che ad un sottotesto di denuncia antirazzista innesta scene altamente comiche affidate perlopiù al personaggio interpretato dal magnetico Lil Rel Howery, coetaneo e collega comico del regista.

Come già verificato con The visit di M. Night Shyamalan, il rischio che si corre, con un horror contaminato in maniera diffusa dalla commedia, è di smorzare troppo il climax di tensione, gelando il battito cardiaco dell’esperto spettatore di genere, in virtù di una presunta freschezza di attenzione fornita da un netto contrasto tra risata e thrilling. La scelta di limitare la vis comica ad un solo attore permette, invece, di misurare il calo di tensione, di controbilanciare il sano terrore per la salute del protagonista, senza che una forza centrifuga troppo prorompente trascini il pubblico in uno straniamento a cui un horror non dovrebbe mai puntare, se ci tiene a far paura. Un discorso a parte va fatto se invece l’intento è di far emergere un’ironia diffusa.

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Nel caso di Scappa – Get out è evidente che ci sia un messaggio neanche tanto sottinteso. Jordan Peele sembra dare forma all’estremizzazione del razzismo, sembra giustificare una “caccia all’afroamericano” ma presupponendo una consapevolezza implicita della sua superiorità sul caucasico. Insomma, è come se si ritornasse alle questioni che dominavano il film di Spike Lee Fa’ la cosa giusta ma declinandole in un contesto di rapimenti, ipnosi forzate, torture ed esperimenti parascientifici.

L’incipit rende palese fin da subito l’ibridazione partendo da un esterno notte con rapimento, seguito da titoli di testa, ormai anacronistici, in cui una musica R&B preannuncia già quale sarà il punto di vista delle vicende.

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Chris e Rose, una coppia interrazziale, va a far visita ai genitori di lei, Dean [Bradley Whitford, Saving Mr. Banks, Quella casa nel bosco] e Missy [Catherine Keener, candidata all’Oscar® come miglior attrice non protagonista per Essere John Malkovich e Truman Capote – A sangue freddo]. Chris [Daniel Kaluuya] è un fotografo dallo sguardo attento e profondo, Rose [Allison Williams] la fidanzata amorevole che tutti vorrebbero. Ma, una volta a destinazione, la ragazza sembra non percepire lo stesso mood negativo del ragazzo che si ritrova da solo ad indagare sugli strani comportamenti di Georgina e Walter, anacronistici servi di famiglia, mentre prova, come ogni buon genero, ad evitare problemi con dei suoceri eccentrici senza deludere né loro né la loro amata figlia. Ma per quanto Chris possa non volere problemi, saranno i problemi a trovare lui. E se l’unica sua speranza è Rod, il suo amico petulante, interpretato dallo spassoso Howery…

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E dire che nel viaggio verso casa dei suoceri, un incidente avrebbe potuto far presagire qualcosa. Probabilmente il personaggio di Chris non ha mai visto The invitation, dove l’aver investito un animale selvatico diventa allegoria della messa in pericolo della sua libertà, nonché della sua vita. La figura della vittima sacrificale non è l’unico nesso con il film di Karyn Kusama. Anche in Scappa – Get out l’ambiente principale è una villa di lusso, dove vivono le regole di una comunità chiusa dalla mente deviata e dove il protagonista dovrà lottare contro il proprio senso di colpa prima che per la propria vita.

Non mancano, poi, i riferimenti esterni e le allusioni colte con un Jesse Owens citato come rivale sportivo del nonno di Rose e il cotone che, da simbolo di schiavitù e frustrazione, assurge a possibile strumento di libertà e rivalsa.

Pur non considerandolo un film da vedere e rivedere, bisogna ammettere che Scappa – Get out di spunti di riflessione ne fornisce e il fatto che rappresenti solo il primo approccio del regista al genere horror, non può che far ben sperare per i lavori futuri. In questo caso Jordan Peele sembra essersi concentrato un po’ troppo sul sottotesto non curando abbastanza il mistero e rendendo troppo sbrigativa la resa dei conti finale. Giudizio sospeso, quindi, nell’attesa dei prossimi lavori.

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Il protagonista, Daniel Kaluuya, già tra gli interpreti di Kick-Ass 2 e Sicario, lo vedremo presto in Widows, diretto da Steve McQueen e in Black Panther, l’imminente nuovo fumetto Marvel trasposto per il cinema dal Ryan Coogler di Creed.

Quel bravo ragazzo – Intervista esclusiva allo sceneggiatore Andrea Agnello

Il 17 novembre uscirà Quel bravo ragazzo, di Enrico Lando, e la Redazione di ShakeMovies ha colto l’occasione per un’intervista in esclusiva ad Andrea Agnello, uno degli sceneggiatori del film, uno dei fiori all’occhiello del cinema italiano, professionista della scrittura cinematografica, scaturito dalla fucina del Centro Sperimentale di Cinematografia (CSC) ed eccellente firma di molti successi cinematografici e televisivi di ultima generazione: tra i film ricordiamo Ma che ci faccio qui!, di Francesco Amato, premiato con David di Donatello e Globo d’Oro; Com’è bello far l’amore, regia di Fausto Brizzi, in testa al box office per due settimane; I più grandi di tutti, regia di Carlo Virzì; Italians, Genitori & figli – Agitare bene prima dell’uso, riconosciuto di interesse culturale dal Ministero dei Beni Culturali, Manuale d’amore 2 e Manuale d’amore 3, tutti di Giovanni Veronesi e tutti campioni d’incassi; tra le serie TV: I licealiPiper, Benvenuti a tavola – Nord vs Sud, Fuoriclasse.

L’intervista esclusiva diventa una stupenda occasione per parlare anche del cinema a tutto tondo e per immaginare un futuro per il cinema italiano, che porti al raggiungimento di uno stile inconfondibile, che sappia di nuovo lasciare un segno indelebile, non sporadico, nel panorama mondiale per far esprimere sempre di più le eccellenze e le professionalità come quella di Andrea Agnello. Una storia, la sua, che è quella di tanti scrittori, filmmaker, direttori della fotografia. Una storia che vive di abnegazione e fede in una passione, quella per il cinema, che vale sempre i “rischi” lavorativi e che sa dare soddisfazioni enormi, se alimentata costantemente.

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1 – Come nasce il soggetto di Quel bravo ragazzo? Qual è il nucleo da cui è partito tutto?

Il soggetto nasce da un’idea di Ciro Zecca, un giovane ex-allievo del corso di produzione al CSC, molto bravo nel fare i “pitch”, cioè nel raccontare uno spunto con poche parole ma molto efficaci. Gli do una mano a tirare giù una paginetta di numero. Scriviamo solo l’incidente scatenante, lo spunto da cui tutta la storia prende le mosse, dopodiché lui un giorno mi chiama e mi dice che l’ha mandata in lettura alla Lotus di Marco Belardi. In cuor mio, la prima cosa che penso è che non la leggeranno mai; e invece – caso unico più che raro – ci chiamano per farci un contratto!

2 – Da fonti certe (IMDB, wikipedia) risulta: soggetto scritto da 3 persone e sceneggiatura scritta da 5. Perché? Come vi siete divisi il lavoro? com’è stato il lavoro in team? Vi siete divisi i personaggi? Quali sono stati i vostri ruoli? Tu hai scritto soggetto e sceneggiatura, ma i dialoghi?

2) Allora, il soggetto lo firmiamo in tre perché sin da subito Belardi ci ha affiancato Gianluca Ansanelli, lo sceneggiatore di fiducia di Alessandro Siani. Lui e Herbert già stavano lavorando da un po’, credo su un’altra idea. Tiriamo giù in tre una scaletta abbastanza dettagliata del film, costruendolo bene sul personaggio di Herbert, anche se effettivamente già l’idea originaria sembrava davvero cucita a misura su di lui. A questo punto passiamo in sceneggiatura e si aggiungono i contributi di Herbert e Enrico: Herbert ha fatto diverse riunioni con noi, molte battute di dialogo sono sue e ci ha dato tanti spunti esilaranti per costruire scene; Enrico è invece entrato sul progetto un po’ dopo ma ha comunque suggerito diverse cose che si sono rivelate molto efficaci. A dire il vero non c’è stata una vera divisione del lavoro, abbiamo sempre lavorato insieme, a sei, poi otto e poi dieci mani, cosa non semplice ma per un film comico spesso vitale.

3 – Sei soddisfatto del processo realizzativo di Quel bravo ragazzo? Hai avuto modo di vedere almeno in parte il film o sarà una sorpresa anche per te?

Ma sai che non ho visto ancora nemmeno una scena? Anche questo è un caso finora unico, non mi era mai capitato con gli altri film che ho sceneggiato, e sinceramente sono anche contento così: vederlo in sala sarà una sorpresa.

4 – Quel bravo ragazzo è chiaramente una commedia divertente, ma di che tipo? Del genere one shot (stacchi, ridi ridi ridi e ti dimentichi della realtà e poi torni alla realtà e ti dimentichi del film) oppure è una commedia che vedi e rivedi e non ti stanchi mai di rivedere?

Diciamo che già se Quel bravo ragazzo appartenesse al primo genere di film sarei strafelice. E poi penso che in realtà se un film ti fa ridere a crepapelle non te lo dimentichi e magari ti viene anche voglia di rivederlo dopo poco tempo. A me spesso succede così.

5 – Il lavoro di scrittura nasce libero da vincoli e viene adattato quando Herbert Ballerina viene scelto per il ruolo di protagonista di Quel bravo ragazzo o il personaggio è costruito intorno a lui fin dal principio?

L’idea è nata sicuramente libera da vincoli, io e Ciro – al momento di mandare in giro la famosa paginetta – non avevamo in mente un attore preciso, ma già nel nostro primo incontro col produttore Belardi ci è stato detto che il film avrebbe avuto Herbert per protagonista, e da lì abbiamo iniziato a ragionare pensando a lui. Ma non è stato uno sforzo né una costrizione, anzi: Herbert è veramente perfetto per questo ruolo, ed ha un umorismo che non esito a definire geniale.

6 – Quando crei i tuoi personaggi li immagini interpretati da qualcuno in particolare, magari i tuoi attori preferiti?

Sì spesso sì, mi aiuta visualizzare un volto, focalizzo la scrittura su qualcosa di concreto. Anche se a dire il vero quasi sempre in fase di sceneggiatura si sa già con buona probabilità chi saranno gli attori del film.

7 – Film preferito in assoluto?

Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola: visto decine di volte, un film unico, irripetibile secondo me. Unisce tutto: alto e basso, autoriale e popolare, e con un Nino Manfredi veramente da applauso.

8 – Film preferito tra quelli scritti da te?

Sono affezionato a tutti allo stesso modo, difficile sceglierne uno. Forse Ma che ci faccio qui! di Francesco Amato, ma solo perché tutto è cominciato da lì.

9 – Regista preferito in assoluto?

Tra i viventi, David Lynch. Tra i defunti Mario Monicelli.

10 – Regista preferito, con il quale ti sei trovato meglio a lavorare?

Tutti, fortunatamente!

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11 – Leggi la Bibbia? La domanda, a trabocchetto, in realtà riguarda simpaticamente il processo creativo ed è “crei/create una bibbia dei personaggi che poi seguite nella stesura definitiva?”

Purtroppo no: è vero che sono ateo convinto, ma mi dicono che sia imprescindibile per uno sceneggiatore.

12 – La tua formazione professionale avviene al CSC. Avrai avuto modo di conoscere anche altri professionisti in erba in quell’occasione. Avremo mai in Italia un Tarantino o un Nolan? E qualora ciò avvenisse, abbiamo qualche produttore che ne riconoscerebbe il talento?

Io mi sono diplomato in sceneggiatura al CSC nel 2005, e nel mio triennio il corso di regia ha sfornato Edoardo De Angelis [Indivisibili], Matteo Oleotto [Zoran], Claudio Giovannesi [Fiore], Francesco Amato [Cosimo e Nicole], insomma direi una bella classe di regia. Io penso francamente che il cinema italiano sia pieno di professionisti di talento, il problema sta nel dar loro fiducia, ed è un problema per lo più produttivo. Solo così potranno emergere personalità davvero innovatrici, che ripeto non mancano.

13 – In Italia si producono principalmente commedie e drammi esistenziali (“lacrime strappastoria” per dirlo alla Maccio Capatonda), trascurando generi come horror, fantascienza, western. Sono generi in cui abbiamo in passato ricevuto premi, di cui abbiamo fatto la storia, film che abbiamo insegnato a fare, a  realizzare a prescindere dal budget (spesso si dice che non se ne realizzano per gli alti costi, ma esiste The invitation che è solo il primo esempio che mi viene in mente di low budget di successo). La domanda è: nessuno scrive soggetti validi in chiave horror, sci-fi, western… o si fermano allo spoglio della sceneggiatura (si dice così, no?) da parte del settore produzione che investe solo in un prodotto che può vendere meglio alla televisione?

È vero, si producono solo commedie e drammi d’autore. Ciò è dovuto secondo me in parte a un doppio retaggio, della commedia all’italiana e del neorealismo, e – per quanto riguarda la commedia – anche e soprattutto per un dato di fatto: sarà banale dirlo, ma il pubblico al cinema ci va per ridere. Ieri sera ho visto un esordio italiano in una sala piena, storia drammaticissima eppure il pubblico come poteva rideva.

È vero anche che il cinema italiano ha anche un glorioso passato di spaghetti western e horror, ma forse non una vera tradizione, a parte Sergio Leone e Dario Argento non abbiamo sfornato maestri in nessuno dei due generi.

Di recente però qualche segnale incoraggiante verso altre strade c’è stato: il caso eclatante di Lo chiamavano Jeeg Robot, film riuscitissimo, potrebbe aprire un nuovo filone, essere un po’ l’inizio di un cinema più spettacolare ed esportabile, se vogliamo…

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14 – Scriveresti o hai scritto soggetti di generi come horror, sci-fi…?

Horror sicuramente, e credo che mi divertirei anche tantissimo, è un genere che adoro.

15 – C’è un soggetto, realizzato da altri, che avresti voluto scrivere tu?

Tra quelli recenti, trovo che Perfetti sconosciuti sia un soggetto fantastico, e la sceneggiatura un perfetto congegno a orologeria.

16 – Tra i tuoi lavori c’è qualcosa che senti avrebbe meritato più di quanto abbia ottenuto, che avresti voluto far fruttare meglio?

Come incassi sono andati tutti molto bene, quindi son più che soddisfatto!

17 – Il target di riferimento per i tuoi lavori liberi è diverso da quelli su commissione? Si scrive molto, quasi totalmente, per le “massaie”, come diceva Mike Bongiorno, che seguono la TV come fosse un’amica chiacchierona che parla del più e del meno con pathos da soap opera o alla Barbara D’urso, mentre il pubblico giovane, che dovrebbe essere il futuro dell’economia, emigra su Netflix, dove hai un’ampia varietà di generi, tra cui quelli bistrattati dai produttori cinematografici standard (De Laurentiis, Ferrero…). Che futuro si prospetta? È auspicabile un cambio di rotta? Si testa una scrittura che si avvicini al target degli “emigrati” su Netflix e Sky?

Secondo me sì, anche perché Netflix e Sky finanziano sempre più il cinema italiano, quindi credo che in breve questo gap qualitativo tra tv generalista da un lato e nuove piattaforme dall’altro si assottiglierà sempre più.

18 – Che anticipazioni puoi/vuoi fornirci riguardo i tuoi progetti cinematografici/televisivi futuri?

Sto scrivendo l’opera prima di un giovane regista appena diplomato al CSC: è una commedia on the road, che tocca però corde più intimistiche e malinconiche rispetto ai film che ho scritto di recente. Sto poi lavorando a due serie tv ma siamo ancora alle primissime battute, è presto per parlarne.

19 – Quale sceneggiatura ti ha colpito in questo anno solare. Chi pensi che vedremo lottare per l’oscar nel tuo settore?

Tra i film italiani, le sceneggiature più solide sono quelle di Perfetti sconosciuti e Lo chiamavano Jeeg Robot, film che non avrebbero affatto sfigurato nella cinquina come miglior film straniero.

20 – C’è una domanda che avresti voluto ti facessi ma non ti ho fatto?

Qual è il film che più di tutti ti ha fatto schifo tra quelli degli ultimi cinque anni? Scherzo, per fortuna non me l’hai fatta!

Grazie, Andrea! 

Bad moms – Mamme molto cattive, di Jon Lucas e Scott Moore

Bad moms è una frizzante commedia diretta da Jon Lucas e Scott Moore, i registi di Wanted, I guardiani della notte, I guardiani del giorno, ma soprattutto del gigionesco Abraham Lincoln: Vampire Hunter. Passati alla storia più che altro per aver scritto le trionfali sceneggiature che sono alla base di successi come la saga di The Hangover, meglio conosciuto in Italia con il titolo Una notte da leoni, o la piacevole rivisitazione del Canto di Natale di Dickens realizzata in occasione de La rivolta delle ex, Lucas e Moore si cimentano stavolta in qualcosa di più profondo, nonostante lo spunto di partenza sia indissolubilmente legato ad una partitura comica, che procede con passi studiati, dallo slapstick style alla satira più sottile.

«Leggendo la sceneggiatura, si potrebbe pensare che sia stata scritta da una donna, ma parlando con Jon e Scott, ci si rende conto che è un omaggio alle loro mogli» afferma Mila Kunis, mentre Moore confessa: «sgobbano tutto il giorno, mentre noi lavoriamo da casa, davanti al nostro computer. Stanno in giro, accompagnano i bambini, preparano il pranzo… C’è un sacco di materiale drammatico alle spalle, il che è un terreno fertile per la commedia».

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Amy [Mila Kunis], mamma lavoratrice, infaticabile, estremamente stressata, cerca di incastrare ogni attività sua e dei due figli adolescenti, Dylan [Emjay Anthony, Il libro della giungla, Krampus] e Jane [Oona Laurence, Il drago invisibile], nell’arco della giornata, con l’obiettivo di rendere la loro vita il più possibile perfetta. Ma se, nella peggiore delle giornate, decidesse di scendere dalla giostra della perfezione e diventare una “cattiva mamma”? Mai più sveglia all’alba per preparare la colazione a tutti, nessun aiuto nei compiti e nelle ricerche, niente assistenzialismo o zerbinismo sul posto di lavoro o a scuola. E poi, via il marito immaturo ormai diventato un terzo figlio e più spazio per curare la propria persona e, perché no, uscire e andarsi a divertire con due nuove amiche, Kiki [Kristen Bell] e Carla [Kathryn Hahn], due outsider come lei. Ma non ha fatto i conti con la presidente dell’Associazione Genitori, Gwendolyn [Christina Applegate] che vuole tutelare la figura della leggendaria madre modello a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo, bullizzando chiunque si frapponga fra lei e il mantenimento dello status quo.

«Quando scrivi di mamme e dell’essere madre – afferma Annie Mumolo –, cammini su una linea molto sottile. Questa è una delle prime sceneggiature che ho letto che avesse risonanza emotiva e personaggi con cui potersi relazionare. È tagliente e divertente, irriverente quanto basta da indurre a riflettere».

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I registi non avevano preventivato di ingaggiare, per i ruoli delle protagoniste di Bad moms, sei attrici che fossero anche mamme, ma alla fine così è andata e il loro apporto è stato fondamentale per un risultato definitivo davvero realistico.

In Bad moms, i personaggi sono sapientemente disposti secondo una simmetria che fornisce un avvincente equilibrio alla trama: se da un lato abbiamo Amy con le sue amiche Kiki, casalinga sfruttata e bistrattata, e Carla, madre single dall’insaziabile appetito sessuale, che portano avanti una forma di ribellione alla figura materna convenzionale, dall’altro Gwendolyn ha altrettante “scagnozze” in Stacy [Jada Pinkett Smith], che reprime la Carla che è in lei, e Vicky [Annie Mumolo], la cui sbadataggine fa il paio con la personalità un po’ naif di Kiki.

Anche le due figure maschili principali sono in contrapposizione con un Jay Hernandez [Suicide Squad] che interpreta il padre più figo della scuola, un atletico vedovo che sa anche essere dolce e premuroso, diametralmente opposto al pusillanime sposato da Amy.

In un simpatico cameo i fan della NFL avranno riconosciuto J. J. Watt, estremo difensore degli Houston Texans, ridotto quasi ad una macchietta nei panni dell’allenatore-bamboccione della squadra di calcio della scuola: sembra quasi star lì a significare che nemmeno lui può nulla contro una madre imbestialita che difende la felicità del proprio figlio. Chi ne ha vista almeno una all’opera sa che è vero.

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Ironica, per chi conosce la sua storia, invece, è la partecipazione di Martha Stewart, conduttrice televisiva e intrattenitrice di origini polacche, conosciuta nel mondo televisivo e dei magazine statunitensi per i suoi progetti di cucina, giardinaggio, bon ton, fai-da-te, e, in generale, come modello-guida per il lifestyle femminile e per la corretta convivenza domestica, ha finito da poco di scontare una condanna per complotto, intralcio alla giustizia e falsa testimonianza. Incarcerata nella prigione federale di Alderson e poi messa agli arresti domiciliari nella sua casa di New York si è vista prolungare la pena di tre settimane, per aver violato i termini della prigionia. Insomma, rientra a pieno diritto tra le Bad moms!

Essere “madri molto cattive” non è essere delle cattive madri, sia ben chiaro e non bisogna commettere l’errore di sottovalutare questo film pensando sia destinata ad un ristretto ed esclusivo target di giovani madri che vogliono evadere e svagarsi, immedesimandosi nei loro alter ego su grande schermo. Bad moms è un po’ Hangover, un po’ Project X, ma non si allontana poi molto dalla morale di Mrs. Doubtfire: è nell’imperfezione che si trova la perfezione e anche se così non fosse, l’imperfezione è sempre divertente ed intrigante, perlomeno.

The nice guys, di Shane Black

«Ma… Ha nominato il nome di Dio invano?»

«No! Mi è tornato utile!»

Shane Black, dopo Iron man 3, torna a dirigere un genere a lui caro e congeniale. In questo effervescente buddy movie che contamina il noir con la commedia, la strana coppia di inetti detective, formata dal violento ex poliziotto Jackson Healy [Russel Crowe] e dall’inconcludente investigatore privato Holland March [Ryan Gosling], si ritrovano a dover gestire le loro divergenze ed unire le forze per sbrogliare un caso molto più grande di loro.

Dopo gli esplosivi 48 ore, Arma letale, L’ultimo boyscout, Black propone con successo, fuori concorso a Cannes, una nuova coppia mal assortita di outsider, di antieroi, che tutto vorrebbero fuorché complicarsi la vita, già di per sé mal messa, con un lavoro complicato e pericoloso. Come esterna spontaneamente il regista, fondamentale è stato il lavoro di Gosling e Crowe che, come esterna spontaneamente il regista e sceneggiatore, «sono entrambi attori di massimo livello che hanno saputo infondere la vita nei loro personaggi; e la storia non è solo una commedia o un film d’azione, ma una perfetta combinazione di entrambi».

«I giorni delle signore e dei gentiluomini è finito».

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Healy è più pragmatico e spartano: è «cresciuto da irlandese a Riverdale nel Bronx» e ha un passato mai dimenticato nella polizia, che gli ha fornito un’etica di base la quale, però, si scontra con un bisogno irrefrenabile di sfogare la violenza repressa e generata da vicende non espresse esplicitamente in questo film. March è diventato prematuramente vedovo, con progetti di famiglia e di casa rimasti miseramente incompiuti; questo lo spinge a cercare costantemente scorciatoie, immerso in un loop depressivo in cui si alternano fasi di cinica lucidità, quando deve cogliere occasioni per spillare soldi facili ad ingenui clienti, e stati di oblio dovuti all’eccesso di alcool nel sangue. Il personaggio di Gosling sarebbe un perdente irrecuperabile su tutta la linea, se non fosse per sua figlia Holly, una tredicenne cresciuta in fretta, con uno spiccato senso della giustizia, una perspicacia probabilmente, derivata sicuramente dai cromosomi materni, e una simpatica attitudine ad ignorare le regole paterne.

«Questione di genetica!»

Holly è interpretata dal talento australiano Angourie Rice, che già aveva conquistato il pubblico di Cannes come coprotagonista nel dramma di ambientazione apocalittica These final hours e che vedremo in Jasper Jones (regia di Rachel Perkins), adattamento cinematografico del romanzo di Craig Silvey. Per interpretare al meglio i ruoli di padre e figlia, i due attori hanno trascorso parecchio tempo insieme, e l’alchimia che è derivata da questo metodo la si evince palesemente sul grande schermo.

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The nice guys è un noir con molti elementi da commedia rocambolesca, un buon poliziesco dalla storia non convenzionale, leggermente surreale, nella quale si muovono personaggi esasperati eppure credibilissimi, familiari oserei dire. Healy e March sono, alla luce dei fatti, due idioti che si completano come in un’unione ben riuscita, e dire che Healy non perde occasione di rendere palese, con battute sarcastiche, che odia il matrimonio, il perché lo scopriremo in un probabile sequel.

«Vomitiamo e poi ci sbarazziamo del corpo».

Gosling coglie appieno l’essenza stessa del film: «La sceneggiatura – scritta a quattro mani da Anthony Bagarozzi [Death note] e dallo stesso Black – non si prende troppo sul serio… i personaggi sì; è proprio questo che li rende ridicoli».

Fotografata creativamente da un Philippe Rousselot [Animali fantastici e dove trovarli, Big fish, Charlie e la fabbrica di cioccolato] che ci regala un bell’incipit con ripresa aerea della città partendo da dietro la famosa insegna di Hollywood, la Los Angeles degli anni ’70, è ricostruita egregiamente dallo scenografo Richard Bridgland [Priest, Rock’n’Rolla] e dalla costumista Kym Barrett [collaboratrice fissa dei fratelli Wachowski]. Con l’aggiunta di una colonna sonora molto colorita e variegata, in tono con il resta dell’ambientazione, che evoca i party fuori di testa nel bel mezzo del boom del cinema a luci rosse. I compositori John Ottman e David Buckley radunano pezzi di storia della musica come Bee Gees, Kiss, America, Kool & the Gang, Al Green e addirittura portando fisicamente sulla scena gli Earth, Wind & Fire, una vera chicca per gli appassionati.

The nice guys è spettacolare e divertente fino alle lacrime, sin dal prologo.

Non perdetevi l’inizio!

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