Robert Pattinson

Tenet, di Christopher Nolan

Il TEMPO è un concetto astratto generato in epoca ancestrale e, da sempre, oggetto di studi filosofici, prima che scientifici. La maggior parte della nostra esperienza temporale si basa sull’osservazione dei fenomeni intorno a noi, siano essi immediati (la vita quotidiana, il succedersi di giorno e notte, l’alternarsi delle stagioni), macroscopici, come l’universo, o microscopici, come la materia, intesa come sostanza di cui tutto è fatto. Ma la percezione di questi fenomeni viene registrata in maniera diversa sia da soggetto a soggetto sia dalle diverse figure di ricercatori: per un filosofo, ma anche per molti altri, il concetto di tempo è legato ai cambiamenti che un determinato oggetto di osservazione subisce anche stando fermo e presuppone altri concetti astratti come un “prima” e un “dopo”, mentre per un fisico questi concetti sono inammissibili scientificamente come concreti perché un oggetto “è”, “esiste” a prescindere e anche quando avviene una trasformazione il tempo verbale che si usa è al massimo un passato prossimo come “è diventato”.

In questo anarchico contesto ha avuto terreno fertile il terzo “ricercatore”, quello religioso che, senza addentrarci in intricate e pericolose disquisizioni, ha sfruttato da sempre la paura innata della morte e dell’ignoto per fornire al tempo un’importanza morale più o meno strumentalizzata nei secoli con lo scopo, neanche troppo celato, di guidare l’ignorante ad operare per il bene della specie e della sua evoluzione.

Tenet

Prendiamo una cosmogonia fra le più celebri: i greci hanno considerato Kronos come padre di Zeus e degli altri dei dell’Olimpo, ma figlio a sua volta di Urano e Gea, interpretabili come Universo e Terra. Quindi il tempo nasce dall’interazione della terra con il firmamento, quindi è associabile ai moti di rotazione e rivoluzione. Inoltre, sembra che il tempo governi un po’ tutti gli elementi se non si considera una figura mitica ben più importante e al di sopra di tutto per la mitologia greca: il Fato, inteso come la necessaria ed ineluttabile storia già scritta, a volte visto come “destino” dal punto di vista degli esseri viventi. E di questi tempi, in cui siamo costretti a vivere in spazi limitati, cercando di ottimizzare un tempo ristretto o dilatandolo in maniera abnorme rispetto alla frenetica quotidianità a cui eravamo abituati, ci rendiamo molto più conto di quanto sia il Fato a scrivere la storia del mondo, ma non in maniera ineluttabile, questo vuole affermare in maniera energica Tenet.

«La più antica e potente emozione umana è la paura,
e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto»

Howard Phillips Lovecraft

Il nuovo film di Christopher Nolan sembra far tesoro della massima homo faber fortunae suae e dimostrare che ognuno può svolgere un ruolo comunque fondamentale in un progetto che va magari al di là della sua comprensione e svolgere la funzione di eroe, quantomeno della propria storia, e scriverne un finale anche più che soddisfacente. Nolan, con il suo film pronto già in periodo di lockdown forzato, non s’inchina al tempo avverso e abbraccia il fato che, meschino, gli aveva inserito uno scoglio quasi insormontabile sul cammino e diventa l’eroe di cui il cinema aveva bisogno proprio in quel momento, non quello che merita, dato quanto ha dovuto tribolare per poter uscire in sala, come emblema di speranza per un sistema che naviga a vista sull’orlo del baratro.

Tenet

Oggi, portare a termine un progetto cinematografico così complesso e stratificato, dall’intreccio così intricato – non la trama che è, di per sé, abbastanza semplice e “lineare” – è da considerarsi impresa davvero leggendaria.

Il fatto è che un bel film come Tenet, per quanto sorprendentemente raffinato e storicamente importante, da solo non può salvare tutto un mondo ancorato a logiche commerciali anacronistiche, ormai da rivedere e innovare quasi totalmente. Scusate il piccolo excursus.

Ma intanto Tenet può essere considerato il film più significativo di questo funesto 2020 per il momento storico della sua uscita, per la speranza che rappresenta e per le ore di intrattenimento altamente intelligente che ha fornito a chi aveva alle spalle mesi di frustranti bollettini medici e palinsesti che iniziavano a raschiare il fondo del barile dei b-movie.

L’intreccio di Tenet assorbe gran parte delle energie, dicevamo, per la sua complessità, ma ciò nonostante è impossibile non rendersi conto che la sceneggiatura costruisce personaggi degni di nota, memorabili, che potrebbero benissimo godere di nuova vita in seguiti, prequel o spin-off.

Tenet

Addirittura le battute non sono mai dei semplici riempitivi, utili solo a giocare con l’attenzione della sala. Ogni linea di dialogo è densa di significato e ottiene d’incollare allo schermo anche le orecchie, oltre che gli occhi e i neuroni.

A tal proposito è significativo l’uso dei volumi: gli effetti sonori di Tenet e le musiche composte per l’occasione da Ludwig Göransson [Creed, Creed II, Black Panther] disturbano o addirittura sovrastano le conversazioni, fornendo un ulteriore motivo di attenzione oltre che rendere maggiormente reale la messa in scena. Per non parlare della chicca veramente sbalorditiva di eseguire le partiture al contrario quando il Protagonista – proprio questo è il nome con cui viene identificato il protagonista! – è in viaggio nel tempo in modalità reverse. Un vero tocco di genio, ciliegina su una torta deliziosa.

Tornando all’esperienza vissuta dallo spettatore e alla sua attenzione “ferrea” calamitata dal film, si nota che persino l’immancabile spiegone nolaniano sembra una lezione oltremodo interessante su di un argomento per cui il regista pare sfidare chiunque a far di meglio: la base della trama è immersa dalla testa ai piedi, senza talloni d’Achille, nelle teorie più dibattute di fisica quantistica, una materia pressoché intrattabile dai mass media fino a pochissimo tempo fa. Discorsi intricatissimi ad appannaggio di un’élite veramente ristretta di menti supreme.

Tenet

Tenet è un’enigmatica variazione sul tema del controllo del tempo, giocata un po’ in stile James Bond, con tanto di femme fatale [Elizabeth Debicki: Everest, Macbeth, Guardiani della galassia Vol. 2] e un po’ in stile heist movie, sofisticata come Inception, ma dotata di una concretezza molto più solida. A conferire questa credibilità alla trama non è tanto la spiegazione pseudoscientifica, che mescola fisica quantistica, algoritmi fisici e paradossi temporali, quanto più la messa in scena realistica, senza fulmini, dissolvenze e portali luminosi. A questa asciuttezza scenica va abbinato il continuo ricorso al gergo militare, che contribuisce non poco fornendo consistenza ai discorsi e tangibilità a quanto avviene di straordinario nel film: ricordate l’insegnamento di The prestige?

«[…] Il secondo atto è chiamato “la svolta”.
L’illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Ora voi state cercando il segreto… ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati. Ma ancora non applaudite. Perché far sparire qualcosa non è sufficiente; bisogna anche farla riapparire.
Ecco perché ogni numero di magia ha un terzo atto, la parte più ardua, la parte che chiamiamo il prestigio

The prestige

Della colonna sonora si è già parlato. Anch’essa concorre abilmente a puntare un grosso riflettore sull’ordinario per distrarre e poi sorprendere, ma per mandare davvero tutti fuori rotta fin dall’inizio, il regista sceglie il metodo hitchcockiano del macguffin, che ha rappresentato, in pratica, lo scheletro stesso su cui è stata orchestrata la trama, solo fintantoché il film non è approdato in sala: quello che viene definito il quadrato magico del Sator. Si tratta di un’iscrizione latina ritrovata nel 1925 a Pompei, per poi “scoprirla” da sempre presente su vari monumenti nel mondo. L’appellativo “magico” deriva dalla disposizione delle parole a formare un quadrato di 5×5 in modo che le scritte si leggano in più direzioni. È un palindromo molto complesso che ha scatenato non poche interpretazioni, finanche quella religiosa, che anagramma le lettere fino a costruire una croce con le parole “paternoster” più un paio di alpha e di omega a decorazione sui lati. Un codice studiato durante le persecuzioni dei paleocristiani? Tutto è possibile. Anche che Nolan lo abbia sfruttato come specchietto per le allodole in modo da depistare le spie cinematografiche che, così, hanno avuto un bel macguffin su cui fondare le loro illazioni sul film, senza rovinare la sorpresa.

Tenet

Nolan riesce addirittura nell’impresa di tenere all’oscuro tutti della trama. Persino il suo fedele Michael Caine [Interstellar, Youth] ha dichiarato di aver recitato conoscendo solo lo stretto indispensabile per portare a termine le sue scene. Non sembra nemmeno un’esagerazione se si devono fare i conti con giornali fondati su scoop e leaks che hanno a cuore il loro tornaconto, non certo i vantaggi di una visione priva di spoiler.

Tornando allo sfruttamento del quadrato come macguffin nel film di Nolan, Sator [Kenneth Branagh: Assassinio sull’Orient Express, Dunkirk] è l’antagonista del Protagonista – è questo il nome del personaggio interpretato da John David Washington [Blackkklansman]. Rotas è la ditta che Sator adopera per i suoi nefasti scopi (non aggiungerò altro per ovvi motivi).

«Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza guerra mondiale, ma la quarta sarà combattuta con pietre e bastoni»

Albert Einstein

A questo punto permettetemi di aggiungere la mia personale interpretazione: i termini SATOR e ROTAS sono ai margini del quadrato, o meglio al confine, che in latino si direbbe FINIS, parola sempre di 5 lettere guarda caso! Con questa parola si possono coprire le tre funzioni narrative del binomio SATOR-ROTAS perché FINIS è “limite” o confine, rappresentato dalla lotta contro il tempo, ma vale anche per “scopo, obiettivo”, che rimanda alla missione dell’organizzazione denominata TENET che vuole scongiurare la fine (sempre FINIS) del mondo, obiettivo dei nemici. Per concludere – e metterci una croce su 😊 – TENET è al centro del quadrato magico formando proprio una croce (in hoc signo vinces??), è il cuore che opera dall’interno infiltrandosi nelle maglie del piano nemico. E nessun nome è casuale, a questo punto Neil [un convincente Robert Pattinson: The Batman, Le strade del male] ha la stessa pronuncia di nihil che è “niente” e, infatti, non se ne sa niente, ma a volte basta un niente, no 😉? Kat invece equivarrebbe all’inglese “cut”, il taglio che serviva per risolvere l’arcano, per dirla in maniera criptica.

«Posso darti solo una parola: Tenet. Può aprire molte porte, ma alcune di queste saranno sbagliate»

Nel tempo – sarebbe proprio il caso di dire – ma è meglio dire… Nella storia del cinema e della letteratura di genere abbiamo vissuto fantastiche avventure su locomotive e DeLorean volanti, siamo stati coinvolti in cacce all’uomo avanti e indietro nel tempo, ci siamo abituati a dubitare dei flashback e a riordinare intrecci annodati stretti dalle solite menti intricate. Sappiamo poi che non bisogna cambiare il passato se non si vogliono avere ripercussioni di varia natura sul futuro, o bisogna farlo, se il cambiamento si profila necessario, magari per la salvezza dell’intera umanità. Ma quello che accomuna tutte queste esperienze straordinarie è la ferma consapevolezza che l’uomo non potrà mai dominare appieno il tempo. Il tempo governa l’universo. Così, Nolan, mitico eroe dei nostri giorni, dopo aver domato proprio l’universo con Interstellar e aver saggiato la forza del tempo, si è posto un nuovo obiettivo di altissimo profilo: dominare quella che è per noi simultaneamente la bestia più indomabile e il nostro bene più prezioso, ossia il tempo.

Tenet

Tenet, con il coraggio e l’innovazione, inverte l’entropia di un’industria cinematografica sempre più votata – o dovrei scrivere “vuotata” – al vuoto cosmico, permeata com’è di trame spegnicervello e di prodotti sempre più minimali dal punto di vista tecnico-artistico, per privilegiare un percorso di fruizione più immediato e veloce che privilegia la serie TV e il film pensato esclusivamente per il mercato homevideo. Non ci sono note di biasimo in queste affermazioni, solo la constatazione del cambiamento di un mondo dell’intrattenimento che si è adattato al pubblico di riferimento, stressato e quindi desideroso di sentirsi appagato nel vedere qualcosa che non sia troppo impegnativo e che ben si adatti alla resistenza media all’abbiocco sul divano dopo cena. Per tutti gli altri esistono quelle serie che hanno fatto da apripista a Tenet, permettendone la comprensione e il conseguente apprezzamento. Uno su tutti? Dark! Lo spettatore-target del film di Nolan è presumibilmente lo stesso della serie tedesca e, per dirla con un sillogismo aristotelico: se Dark è la miglior serie TV mai realizzata e Tenet tratta argomenti simili ad essa, il pubblico non può non apprezzare il film. Quello che però va premesso è che il pubblico-target va inteso come insieme di persone che hanno ben radicato in loro il desiderio di cimentarsi nella soluzione di un enigma cinematografico. Che poi potremmo benissimo definirlo il pubblico tipico di Nolan, anzi, dei Nolan, vista la predilezione dei due fratelli per le trame ad incastro e cervellotiche che procedono su più linee narrativo-temporali. È come una missione che si sono tacitamente assegnati: quali novelli Prometeo si adoperano in ogni frangente per intrattenere sì ma anche per istruire la massa e dare una spinta all’evoluzione della specie “spettatore”.

Tenet

Rispetto a Inception, Tenet perde un po’ in spettacolarità, è chiaro, ma guadagna un sacco in fascinazione: l’essenziale, insegna Il piccolo principe, è invisibile agli occhi e l’amore che Nolan dissemina nel film è un amore titanico per l’enigma. I suoi film sono sfingi da decifrare, oracoli da interpretare, codici da decriptare. Con buona pace di chi non ce la fa e che sceglie di comportarsi poi come la volpe con l’uva se non li capisce, i film di Nolan sono ad un livello superiore d’intrattenimento. Non sono adatti per chi è assuefatto alla società dei consumi, del “cotto e mangiato”, del visto e subito dimenticato. Si tratta di opere stratificate dove ogni successiva fruizione porta sempre lo spettatore ad una riflessione a posteriori e ad una consapevolezza in più rispetto a prima. Un’evoluzione. E questa spinta evolutiva è stata ben ponderata da altri che, inconsapevolmente – mi riferisco sempre a Dark, ma anche a Black Mirror – hanno educato il pubblico a non dare per scontato nulla e a seguire invece con attenzione qualsiasi elemento, pure l’oggetto apparentemente più insignificante, per non perdere nessun nesso logico.

Tenet ha, quindi, come target uno spettatore istruito, non tanto sulla fisica quantistica, quanto più sulla scienza da film, quella che già sa piegare il tempo ai suoi voleri, che sa viaggiare oltre la fantasia in uno spazio plausibile, che sa entrare e (forse) uscire dai meandri della psiche umana senza perdere coerenza. Inception, Interstellar e ora Tenet godono di questa maturità nel narrare e narrare cose che voi umani – un tempo si sarebbe detto – non potete neanche immaginare.

«L’ignoranza è la nostra arma»

Tenet

Berlinale 68 – Robert Pattinson e Mia Wasikowska presentano Damsel

“L’amore puro? Non ci credo”. Così esordisce Robert Pattinson alla presentazione di Damsel, il western di David e Nathan Zellner in concorso alla 68’ edizione della Berlinale. E aggiunge: “Il mio personaggio, Samuel, crede in una versione poetica della vita, ma la realtà è molto più complicata, e l’evoluzione del film lo dimostra ampiamente distruggendo tutti i clichè del genere”. I registi David e Nathan Zellner infatti hanno puntato su una commedia anticonvenzionale, quasi astratta come la definisce Pattinson, che parte dal western classico per poi diventare qualcosa di completamente diverso.


“Il pubblico ormai è annoiato dai clichè del western, che vedono la donna come l’oggetto del desiderio o il premio ultimo a cui ambisce l’eroe – hanno chiarito i registi – ed è per questo che abbiamo cercato di far emergere nel film conflitti umani più complessi e svolte inaspettate, in cui la protagonista non ha un ruolo passivo, ma è un’eroina”. E Mia Wasikowska ha aggiunto: “Penelope è una donna forte, e non si limita ad essere la damigella in pericolo su cui vengono proiettati i desideri e le fantasie dei personaggi maschili, ma riflette un cambiamento radicale nell’immagine della donna. Il movimento #MeToo è la prova tangibile di questo cambiamento ed è straordinario vedere tanta energia nella connessione tra le persone verso un unico obiettivo”.


“Damsel è una versione moderna del western – hanno concluso David e Nathan Zellner – che naturalmente si ispira ai classici del genere, ma poi prende una strada diversa, bilanciando il dramma con la commedia, con la stessa naturalezza con cui questo avviene nella realtà. Dopotutto anche i classici che in apparenza sembrano così semplici nella costruzione dei personaggi e nello sviluppo della storia, in realtà sono molto più oscuri e complessi sotto la superficie. E il nostro obiettivo era proprio questo: prendere il classico e rivoluzionarlo in una versione più vicina alla sensibilità del pubblico contemporaneo”.

Berlinale 67 – Incontro con James Gray e il cast di The Lost City of Z

The Lost City of Z di James Gray è stato presentato alla 67’ edizione del Festival internazionale del Cinema di Berlino alla presenza del cast al completo, con Robert Pattinson, Sienna Miller e Charlie Hunnam. Il film, ambientato tra l’Amazzonia e l’Inghilterra dei primi del Novecento si ispira alla vita dell’esploratore britannico Percy Fawcett, scomparso nella giungla insieme al figlio nel 1925 mentre era alla ricerca di una mastodontica città, nascosta nel cuore della giungla.

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“Questo film è stata una grandiosa avventura – ha detto Charlie Hunnam – abbiamo dormito nella giungla, siamo stati attaccati dai ragni velenosi e siamo stati persino in pericolo di vita, ma lo rifarei senza pensarci su. Quello che ho amato del mio personaggio è proprio la sua forte spinta verso l’avventura, e la percezione che quello sia il suo destino, ma allo stesso tempo deve affrontare il conflitto con le responsabilità che lo tengono legato all’Inghilterra, come la famiglia ad esempio. Spesso mi sono trovato anch’io in una situazione simile e mi sono sentito egoista a ignorare i miei affetti per il lavoro, a volte ho addirittura riconsiderato tutta la mia vita personale, ma come il mio personaggio non ho mai smesso di andare avanti, di esplorare e cercare nuove opportunità”.

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E il conflitto dopo tutto è il tema centrale del film, che si sviluppa tra l’Europa e il Nuovo mondo, due pianeti diversi in un certo senso, come ha sottolineato James Gray: “Il film parla dello scontro tra due civiltà estremamente diverse, una che si sente superiore all’altra. Il mio obiettivo non era fare un film sull’uomo bianco che parte alla conquista della giungla, perché sono stati già fatti film del genere, e sicuramente di grande valore. L’ha fatto Kubrick e anche Herzog, ma il punto di questo film non è quello di rappresentare il razzismo o il nazionalismo di un gruppo di uomini che hanno l’arroganza di convertire gli indigeni, quanto il desiderio di elevarsi, di esplorare e conoscere. Ci sono certo elementi avventurosi, ma il cuore del film più che la giungla, sono gli uomini”.

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Ma come hanno vissuto un’esperienza così estrema Robert Pattinson, nuovo a questo genere di film? “Ho subito amato lo script – ha detto l’attore – perché era pieno di mistero, e pur non avendo mai fatto film del genere è stata una bellissima esperienza, al punto che questo è stato il ruolo che più ho amato in tutta la mia carriera”. E lo stesso vale per Sienna Miller, che ha dichiarato: “Ho amato molto il mio personaggio, è una donna e una madre straordinaria, una vera suffragetta!”.