Rosamund Pike

Radioactive, di Marjane Satrapi

Un vivo interesse per tutte le scienze che si scontrano con il pensiero comune, e il desiderio di infrangere tutti i pregiudizi legati alla presenza delle donne nel mondo della scienza. Con queste premesse Marie Curie è stata la prima donna a insegnare alla Sorbona e a vincere ben due Premi Nobel, il primo per la Fisica nel 1903 insieme a suo marito Pierre, e poi quello per la Chimica nel 1910 per la scoperta di due nuovi elementi chimici, radio e polonio, e della radioattività. Una vita avventurosa la sua, completamente immersa nella ricerca scientifica, anche nell’intimità della sua vita amorosa, condivisa con Pierre Curie, che con lei ha condiviso ogni scoperta.

Marie e Pierre hanno lavorato fianco a fianco sin dai tempi in cui lei era Maria Skłodowska, una scienziata di origini polacche malvista dal mondo accademico parigino, a cui lui ha offerto un posto nel suo laboratorio. Ed è proprio qui che inizia la storia della regista iraniana Marjane Satrapi, nel 1893, quando Marie non era ancora una figura di spicco nella comunità scientifica internazionale, e Pierre non era ancora suo marito, ma un collega che credeva profondamente nelle sue potenzialità con cui condivideva un amore sconfinato per la scienza. Radioactive infatti non è un biopic incentrato unicamente sulla figura di Marie Curie, ma la storia di una collaborazione, di una complicità mentale tra un uomo ed una donna, di un amore fondato sulla reciproca fiducia e sulla condivisione della conoscenza e in questa storia Pierre ha un ruolo fondamentale, dall’inaugurazione del primo laboratorio al ritiro del Premio Nobel.

La figura di Pierre è talmente importante nel lavoro e nella vita di Marie che la sua morte improvvisa segna una crisi profonda per la scienziata e un vero e proprio punto di svolta, anche nel film della Satrapi. Da questo momento in poi Marie si trova infatti a combattere da sola contro il pregiudizio e il maschilismo imperante, non solo in ambito accademico, ma nella società in generale, che critica aspramente la sua libertà di pensiero e sentimentale e rimane disorientata dai suoi comportamenti anticonvenzionali. Oltre a questo si affaccia nella sua vita anche l’incubo degli effetti che il suo lavoro può avere sull’umanità, oltre che sulla salute di coloro che lavorano a stretto contatto con le radiazione, che inizia a vedere già su se stessa ogni giorno di più.

Radioactive è un racconto al chiaroscuro, come l’omonimo libro illustrato di Lauren Redniss da cui è tratto, che si immerge nella vita di Marie Curie affrontando non solo i successi ma anche i fantasmi che tormentano la sua coscienza, mano a mano che cresce la sua conoscenza degli elementi chimici che ha per le mani. Il suo è un potere salvifico e distruttivo allo stesso tempo, letteralmente esplosivo, e Marjane Satrapi ha cura di indugiare proprio su questo aspetto, infestando la sua vita di incubi orrendi, in una perenne oscillazione tra luce e ombra, tra il desiderio di cambiare il mondo e il terrore di distruggerlo.

Festival di Roma 2014 – Gone Girl, di David Fincher

La testa di una donna è una mappa intricata di pensieri, macchinazioni e non detti, e l’unico modo per decodificare le sue reali emozioni sarebbe aprire quella scatola magica, srotolare il cervello, ed entrare in questo mondo parallelo in cui una miriade di ingranaggi si muovono in direzioni misteriose per mantenere sotto un aspetto perfettamente composto un equilibrio delicatissimo tra realtà e finzione. Se questo è vero per tutte le donne, lo è ancora di più per Amy Dunne, o per meglio dire “la fantastica Amy”, la ragazza più brillante, bella e divertente che Nick abbia mai conosciuto, una combinazione letale tra la perfetta fidanzata d’America, rigorosamente legata ai valori tradizionali e un uragano incontenibile di sensualità, che fa innamorare tutti al primo sguardo. Nick segue il copione, sposa la fantastica Amy, e immediatamente diventa il marito più felice e invidiato della città, fino a che il giorno del loro quinto anniversario Amy scompare misteriosamente. La polizia trova segni sangue in cucina e tracce di colluttazione in salotto e Nick diventa l’indiziato numero uno. Il caso di Amy diventa immediatamente il giallo dell’anno e il marito perfetto in poche ore si trasforma in un killer spietato, grazie alla diffusione televisiva di una manciata di particolari imbarazzanti sulla sua vita privata, che fanno cadere inesorabilmente la ghigliottina sulla sua testa, anche se non solo non ci sono prove sulla sua colpevolezza ma anche il fatto che Amy sia morta è una mera supposizione.

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Il potere del circo mediatico sull’opinione pubblica, alla ricerca perenne di streghe da bruciare sul rogo, è immenso così come il gusto di scavare in una relazione apparentemente felice a caccia di tradimenti, incesti e bugie, per poi puntare il dito contro il carnefice più auspicabile. La mente umana è altamente suggestionabile, e i media sfruttano questa debolezza a loro vantaggio, manipolando i fatti per fare notizia mentre distolgono lo sguardo dalla realtà dei fatti, che passa tranquillamente in secondo piano rispetto a bocconi più succulenti. Amy è la bella e Nick la bestia, questo è il loro aspetto mediatico. Ma in quale anfratto di questa apparenza banale si nasconde la verità? David Fincher esplora le luci della ribalta e le ombre della quiete domestica di una società americana accecata dalla televisione, che ha bisogno di personificare il bene e il male per vivere nell’illusione della sicurezza e che è perversamente attratta dalla spettacolarizzazione della morte. Ma è proprio nella culla di questa America borghese e benpensante che vengono allevati i veri mostri, quegli individui socialmente integrati nella società, amati e rispettati da tutti, che sotto la presenza fissa alla messa domenicale e le torte sfornate per compiacere i vicini nascondono l’orrore, e quando si chiudono alle spalle la porta di casa scatenano la loro furia.

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Fincher pone sul banco degli imputati l’America e la condanna per i crimini che giudica troppo in fretta, facendo a pezzi la facciata pubblica per fare emergere la mostruosità del privato, dietro la porte di queste famiglie da copertina. Scandagliando ogni anfratto della vita coniugale, fa emergere le nevrosi celate dai sorrisi smaglianti e inquieta nel profondo, mostrando le trappole fabbricate ad arte in cui ogni membro della coppia tenta di far cadere l’altro, per soddisfare un puro istinto di prevaricazione. La verità assoluta è decostruita in una miriade di verità possibili e il caso della scomparsa della “fantastica Amy” viene analizzato da tutte le angolazioni possibili, mentre si cercano di mettere insieme i frammenti di un puzzle disegnato minuziosamente da una mente sofisticata, quasi inumana, perché per ricostruire i tratti del mostro è necessario liberarsi delle verità precostituite e avere il coraggio di guardare negli anfratti più bui del focolare domestico, a costo di perdere se stessi.