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Romeo e Giulietta, di Gigi Proietti

Cosa definisce universale un’opera d’arte? Secondo il regista Gigi Proietti (e anche chi scrive) esistono delle opere d’arte senza tempo che continuano a dialogare attraverso i secoli grazie al loro contenuto e ai loro sentimenti portanti. L’universalità di Romeo e Giulietta è nota a tutti ma rimane ancora aperto (e artisticamente valido) l’interrogativo sul modo più appropria di mettere il dramma in scena, a quattrocento anni esatti dalla morte del Bardo e in un’epoca storica in cui la comunicazione è talmente cambiata da rendere difficile rappresentare le opere senza tempo senza violarle: il rischio di tradirle si corre sia scegliendo una fedele trasposizione, sia ricercando l’innovazione.

Il regista ha scelto di osare, ma neanche tanto. La percezione che si ha già in sala, nella cornice suggestiva del Silvano Toti Globe Theatre di Roma, è quella di una novità antica di un dramma noto ma di cui c’è sempre qualcosa di inedito da scoprire. È lo stesso Proietti a recitare il prologo di apertura dell’opera, approfittando delle parole del coro per lanciare, come spesso fa, un messaggio d’amore alla sua città e ringraziando gli spettatori del Globe che rendono ogni anno questo esperimento artistico reale e possibile:

L’azione si svolge nella bella Verona/ dove fra due famiglie di uguale nobiltà, / per antico dio nasce una nuova discordia/ che sporca di sangue le mani dei cittadini. /Da questi nemici discendono i due amanti, / che, nati sotto contraria stella, / dopo pietose vicende, con la loro/ morte, annientarono l’odio di parte. / Le tremende lotte del loro amore, / già segnato dalla morte, l’ira spietata dei genitori, / che ha fine soltanto con la morte dei figli, / ecco quello che la nostra scena vi offrirà in due ore. / Se ascolterete con pazienza, la nostra fatica/ cercherà di compensare qualche mancanza.

©MarcoBorrelli_CAMPIRONI - VIGANTI_Romeo e Giulietta

La mano del regista si percepisce in ogni movimento della tragedia shakespeariana che diventa una vera e propria celebrazione dell’amore attraverso i tempi. Da un lato, infatti, viene esaltato il lato più immutabile dei personaggi, tanto da ambientarli con estrema disinvoltura ai tempi d’oggi come se la storia fosse una comune relazione d’amore odierna, coronata da musica rap e balletti hip hop (con annesso moonwalk di jacksoniana memoria). Dall’altro la Storia non scompare e l’ambientazione in costume irrompe in scena a partire dal momento della festa in casa Capuleti, in una dimensione onirica che lascia lo spettatore appeso a un filo: il racconto, nel momento più drammatico della morte dei due giovani amanti, cessa di essere sogno e ritorna nella realtà attuale. Cosa è avvenuto in scena? Qual è il confine tra la realtà e la fantasia, tra l’esaltazione di un sentimento e la tragedia di un rapporto che semplifica l’incapacità della società di porre fine agli scontri in nome di un orgoglio senza tempo?

Al Globe va in scena un lavoro schietto, godibile, che parla a tutti, alternando il tono tragico a quello comico degli sketch tanto amati dal regista, con quell’intelligenza di saper raccontare con leggerezza argomenti seri e con serietà gli argomenti più profondi. Romeo e Giulietta firmato Gigi Proietti è una vera e propria operazione di divulgazione artistica, che farà inorridirà i più conservatori ma che ha il merito di avvicinare al teatro anche i più digiuni, con un copione che, tra le altre cose, non viene nemmeno ridotto e che tiene incollati alle poltrone di legno per tutte le tre ore della sua durata.

Apprezzabile anche la scelta del cast, composto per la maggior parte di giovani attori in grado di conferire un maggiore grado di veridicità al dramma e che, parole del regista: “Per quanto fresca fosse la precedente compagine di attori, questa volta la scelta è stata di cercare interpreti ancora più giovani, a sottolineare la spaccatura fra generazioni. O forse l’età degli interpreti è la stessa, ma è la mia prospettiva che sta cambiando e guardo questa compagnia con l’affetto che ho sempre avuto per i miei allievi e per tutti i colleghi più giovani con i quali ho condiviso il mio lavoro”. Da segnalare la performance di Alessandro Averone, il Mercuzio passionale e forte del dramma shakespeariano, che in questa rappresentazione è l’emblema di tutta l’azione: eloquente nei dialoghi, incisivo nei momenti drammatici ed esilarante in quelli comici, con una giusta nota di humour triviale (a volte, perché no, anche volgare).

Troilo e Cressida – Storia tragicomica di eroi e di buffoni, di Mario Autore ed Eduardo Di Pietro

Per raccontare la storia di una grande guerra bisogna partire dagli eroi più piccoli e quasi anonimi che ne hanno fatto parte, perché solo attraverso i loro occhi è possibile decifrare ciò che è successo realmente, senza il filtro delle cronache illustri. Troilo e Cressida sono tra i personaggi meno conosciuti tra quelli che hanno calcato l’epico campo di battaglia della guerra di Troia, ma la loro storia è speculare a quella dei grandi eroi celebrati dagli aedi, più tangibile, e il loro punto di vista è sicuramente più oggettivo. In questa guerra insensata è stato versato il sangue degli gli eroi più valorosi che la letteratura ricordi e il campo di battaglia brulica di semidei come Achille e menti eccelse come Ulisse, ma per Troilo e Cressida questo mondo è piccolo quanto un palcoscenico in cui i re buffoni e gli eroi tracotanti si azzuffano solo per accaparrarsi le grazie delle donne, a scapito dei diritti umani e della ragion di stato.
Tutto è iniziato dal capriccio lussurioso del principe troiano Paride che, per soddisfare il suo piacere, aveva sottratto la bella Elena dal suo legittimo marito e aveva fatto infuocare gli animi al punto da farli esplodere in una guerra. La lussuria ha innescato questo vacuo conflitto bellico, ma a pagare il prezzo della lunaticità dei grandi sono state le personalità meno in vista, i nomi trascurati come Troilo e Cressida, nemici e amanti come Paride e Elena, ma brutalmente divisi da una guerra giocata a tavolino, o meglio ancora sotto le lenzuola.

troilo e cressida (2)
Questa versione alternativa della storia, spogliata dalla sua patina mitica, è la stessa che emerge dal racconto di Tersite, l’anti-eroe deforme che salta da una tenda all’altra per assistere ai capricci da donnicciola del valoroso Achille, alle elucubrazioni mentali di Ulisse, e ai monologhi insensati di Agamennone. Tersite è brutto a vedersi e volgare nelle parole ma è l’unico che mantiene uno sguardo obiettivo sui sedicenti eroi omerici e che non teme di svelare i loro istinti più bassi. Lui è al di sopra del bene e del male, noncurante dell’amore professato da Troilo e Cressida così come dell’onore dei guerrieri, ed è l’unico personaggio autorizzato a sbeffeggiare l’ipocrisia di tutti personaggi che ruotano attorno a questa storia, perché per forma e stirpe ha la stessa credibilità di un buffone di corte, e come un abile fool shakespeariano sfrutta il suo ruolo per raccontare il vero con la leggerezza di una filastrocca.
Tersite strappa di dosso le maschere ai suoi eroi, fa a pezzi i copioni di scena che prima Omero e poi Shakespeare gli avevano attribuito per fargli interpretare la parte degli uomini valorosi, e li lascia nudi su una teatro di guerra grondante di sangue, costruito su una montagna di carta straccia.
Nel dramma messo in scena da Mario Autore ed Eduardo Di Pietro i fiumi di inchiostro che nei secoli hanno raccontato di Troilo e Cressida scorrono a fiumi e si mescolano al sangue dei caduti nella guerra di Troia, ma i versi shakespeariani impastati nel sangue ora sono calpestati, strappati e riscritti da questi eroi buffoni e re vigliacchi, che non sono altro che pallide imitazioni della loro immagine letteraria. I loro ruoli sono interscambiabili e si sovrappongono l’uno all’altro in un universo di falsità che non risparmia neanche Troilo e Cressida, i giovani innamorati dai sentimenti volubili, pronti a tradire le promesse fatte per cedere alle lusinghe dei re e ai loro giochi di potere. L’unico che rimane estraneo a questa messa in scena universale è Tersite, l’imperfetto immune al potere adulatore dell’inchiostro, che fa a pezzi il dramma per non essere coinvolto nella buffa pantomima di questi eroi, che incespicano tra le bugie rendendosi più ridicoli dei loro buffoni e annegano uno dopo l’altro nel sangue dei loro fratelli.