Sara si è spaccata in due per sopravvivere, e tra una metà e l’altra c’è un mare intenso, non celeste, non azzurrino, ma blu. Blu come quello calabrese, quello che non conosce e non accetta mezze misure. È il mare del silenzio e dell’omertà, un gorgo che divora, che inghiotte tutto intero. Da quel mare è scappata a cinque anni con sua madre, moglie di un mafioso ma non della mafia, una donna che ha reciso le proprie radici per dare ali a sua figlia. “Ogni volta che guardi il mare”, sul palco del Teatro Lo Spazio di Roma, è lo spettacolo intenso, struggente, doloroso scritto dalla giornalista Mirella Taranto, diretto da Paolo Triestino e interpretato da Federica Carruba Toscano in ricordo di Lea Garofalo, vittima della ‘Ndrangheta ma prima di tutto figlia del coraggio. Una pièce che dura il tempo di cucinare un dolce, un monologo che è un dialogo tra generazioni, uno sguardo lucido sulle ferite dell’anima che non scade mai nel pietismo o nel melenso. È un racconto di parole su parole, di suoni e rumori in cui il silenzio non trova posto, perché fin troppo ne ha trovato nella vita delle due donne.
Il breve ritorno a casa dopo la morte della madre dura per Sara quanto la fuga stessa, trascinando con sé un passato ingombrante e rumoroso che il piccolo paese della Calabria si rifiuta di guardare. I ricordi affiorano con la potenza di un’onda che si infrange contro lo stomaco e lascia senza fiato, ma Sara si fa scoglio e li affronta senza abbassare lo sguardo, il mento alto come le ha insegnato sua madre. Dopo anni in cui l’unico bagaglio è stata la nostalgia, il sentimento dell’assenza, la giovane donna può tornare a immergere le mani nella terra alla ricerca delle radici materne, ad aspirare il profumo di origano, di arance, di acqua salmastra per nutrire una sete ancestrale e dare sfogo alla rabbia e al pianto, antichi come la terra in cui non si riconosce.
“Ogni volta che guardi il mare” risuona dentro come la risacca, come la risata che riempie le stanze vuote, che colma le distanze, che tiene a galla nel mare di silenzio e omertà. È il canto di libertà che la madre di Sara le insegna quotidianamente, «quell’esplosione improvvisa che uccideva la paura», è la brezza che Lea Garofalo ha soffiato sulle ali di sua figlia per farla sollevare sopra le brutture della sua terra, per farla volare in cieli che a lei sono stati negati. E non c’è interprete migliore di Federica Carruba Toscano per raccontare tutto questo. Già apprezzata al Roma Fringe Festival del 2013 con lo spettacolo “Io, mai niente con nessuno avevo fatto”, la giovane attrice è capace di rendere suo ogni frammento della storia, di accogliere in sé l’anima delle due donne, di partorire il dramma senza orpelli inutili. Un’intensità straordinaria che si infiamma con il dialetto, terrigno e concreto, e plasma figure reali e ferite. Alla fine di “Ogni volta che guardi il mare”, sospesa nel limbo delle luci che si spengono e delle parole che si affievoliscono, rimane l’eco lontana e solo immaginata delle ossa spezzate di Lea Garofalo, che nemmeno da morta ha voluto piegarsi al silenzio.
Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Lo Spazio di Roma fino al 21 febbraio.