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Zombitudine, di Elvira Frosini e Daniele Timpano

Gli zombi stanno arrivando. Scappate se potete o rifugiatevi al Teatro dell’Orologio che offre riparo dall’apocalisse zombi dal 2 al 23 novembre. Zombitudine, scritto e interpretato da Elvira Frosini e Daniele Timpano, vi terrà compagnia in attesa dell’invasione definitiva.

L’apocalisse zombi è scoppiata. Gli zombi sono ovunque, hanno invaso le strade, le metro e i palazzi del governo, sono i nostri vicini di casa, i nostri colleghi e i passanti che ci sfiorano con gli occhi incollati ai loro cellulari di ultima generazione. L’epidemia è scoppiata da tempo e senza che ce ne accorgessimo si è insinuata silenziosamente nei nostri cervelli intaccando ogni cellula del nostro corpo, per sempre. L’economia ha sferrato il suo colpo letale all’umanità e l’ha ridotta ad un branco di creature non pensanti, di zombi che seguono capricciosamente le tendenze del mercato per sentirsi ancora vivi. Manca la forza di mostrare la propria personalità per distinguersi dall’orda e per ribellarsi ad una morte cerebrale da cui non è possibile svegliarsi. La Zombitudine è la malattia di questo secolo. Non c’è cura e non c’è ritorno, l’unica possibilità di sopravvivere è nascondersi bene dagli altri zombi, scegliendo posti sicuri come i cimiteri, dove ci sono i morti veri, i tetti o i teatri da cui gli zombi si tengono a debita distanza, e attendere che qualcosa cambi o che gli zombi sfondino le porte per mangiarci il cervello.

Zombitudine - Foto di Manuela Giusto (4)
Le regole per sopravvivere sono poche e chiare: vietato tornare e vietato risorgere, non fare programmi a lungo termine, non essere il primo del gruppo perché i primi del gruppo sono i primi a morire, e non seguire il leader perché chi segue il leader è destinato a fare una morte spaventosa, diffida dai dissidenti perché in questo stato la democrazia non esiste e chi contesta il leader viene eliminato tutto. In altre parole per sopravvivere bisogna essere invisibile, non fare rumore e non agitare le acque, e restare dietro le quinte in attesa che qualcun altro faccia il lavoro sporco. Abbiamo seguito le istruzioni alla lettera ed ora siamo qui, in un teatro soffocato da un fumo opalescente e da una musica assordante. Un uomo e una donna sono sul palcoscenico, soli con una valigia demodè tra le mani. Non si sa se sono vivi o morti, se la zombitudine li ha già contagiati o se sono gli ultimi superstiti. Sembrano venire da un’altra epoca, ma ad uno sguardo più attento si comportano proprio come noi, e in men che non si dica tirano fuori dalla tasca un telefonino per scattarsi un selfie commemorativo di un momento storico: l’invasione zombi dell’intero pianeta.

Zombitudine - Foto di Manuela Giusto (10)
Elvira Frosini e Daniele Timpano sono il risultato della società che noi stessi abbiamo creato, e che ci ha risucchiato il cervello in un vuoto cosmico fatto di omologazione e impotenza. Loro sono come noi, incapaci di prendere una posizione, di scegliere un leader e incatenati nell’attesa di un cambiamento che non avverrà mai. Con l’umorismo nero che li contraddistingue criticano duramente la società di zombi in cui ci troviamo, ma ammettono candidamente di farne parte e di essersi arresi a una fine inevitabile. I dialoghi brillanti intessuti tra citazioni colte e atmosfere cinematografiche orrorifiche tengono in vita chiunque si sia rifugiato nel teatro per tutto il tempo della rappresentazione, e alternando la luce della speranza all’oscurità della rassegnazione, Elvira Frosini e Daniele Timpano non perdono mai di vista la possibilità di salvarsi dagli zombi, di risollevarsi dalla massificazione e di ricominciare a vivere partendo proprio dal teatro, un luogo pulsante di nuova linfa vitale e ancora inattaccato dalla zombitudine collettiva. Gli zombi sono alle porte, spingono dall’esterno per entrare, non rimane molto tempo, ma forse possiamo ancora salvarci.

Riccardo III, di Michele Sinisi

Il suono assordante dei colpi che Riccardo III sferra al suo letto di morte risuonano tra le mura del Teatro dell’Orologio di Roma, insieme all’odore pungente della vernice spray con cui disegna il suo tragico destino, e dal 2 al 23 novembre Michele Sinisi, solo sulla scena, si prepara a vivere ogni il dramma del re deforme per trovare una cura alla sua anima corrotta.

Riccardo è nato insano, incompiuto e, mentre contempla l’immagine deforme che proietta la sua ombra, non può fare a meno di pensare che il suo destino sia inscritto in un inverno perenne, privo di languidi piaceri e offuscato dal dolore dell’isolamento. Non ci sono gonnelle svolazzanti a venerarlo o ghirlande sopra la sua testa, Riccardo è solo. In un mondo che osanna gli eroi, e celebra la bellezza esteriore ancor prima delle qualità morali, non c’è posto per Riccardo, l’antieroe malfatto e malfattore che rimane ai margini della società a crogiolarsi in un dolore insopprimibile. La violenza sanguinari che scatena contro i suoi nemici, il tradimento degli amici e l’amore strappato a Lady Anna con l’inganno sono solo una consolazione effimera, una vendetta blanda contro una società che non lo riconosce come capo supremo e lo emargina come il peggiore degli appestati, prendendosi gioco della sua deformità.

Michele Sinisi - Riccardo III (1)

Riccardo è solo dall’inizio alla fine della sua storia, ma continua a dibattersi instancabilmente sulla scena per cercare di cambiare il triste destino che la sorte gli ha cucito addosso. La mostruosità, incollata alla carne, divora la sua anima, e a nulla servono le contorsioni e le urla strazianti, perché nulla può liberarlo dal corpo in cui è imprigionato, se non la morte. Ora l’unica possibilità che ha Riccardo di  fare ammenda per il dolore che ha procurato, e di alleggerirsi l’anima dal peso dei torti subiti, giace nel racconto catartico di una vita solitaria, ingiustamente privata del calore umano e temprata nell’acciaio freddo della sua spada. Qui, sul palcoscenico del ventunesimo secolo, può narrare la sua storia in tempo reale, trascinando il pubblico affamato di verità sul campo di battaglia insieme a lui, costringendolo a respirare l’odore acre della sua vernice sanguigna e a sobbalzare sotto i colpi sferrati dalla sua mano contro le vittime inermi della sua frustrazione.

Michele Sinisi - Riccardo III (2)
Michele Sinisi è solo, proprio come Riccardo, su una scena claustrofobica, libera da inutili orpelli e di personaggi di contorno, che tanto ricorda la sua vita. Dopo secoli di orrori perpetrati e subiti, Riccardo si trascina a fatica su un piede solo, mentre la sua schiena gobba si piega sotto il peso della sconfitta, e rammenta con rimpianto quello che è stato, la donna che ha amato e gli amici che ha perduto. Riccardo è disarmato al cospetto del suo pubblico, senza corona né armatura a protezione della sua fragilità. Tutto ciò che gli è rimasto è lo straordinario potere di comprimere il corpo e dilatare le parole, per adattarli ad una scena angusta in cui il tempo dell’azione è limitato a un unico monologo, che alterna i versi shakespeariani ai graffiti naive, per trasformarli in personaggi in carne e ossa che gridano aiuto, imprigionati in una lastra d’acciaio. Sono donne da sfiorare languidamente, nomi abbozzati e rimossi senza pensarci troppo, e nemici da cancellare dalla faccia terra con un colpo di spugna. La vernice è come il sangue, ha il suo stesso odore ferroso, e scorre a fiotti sull’acciaio per lavare la coscienza di Riccardo. Ora, nell’inverno della sua vita, il tiranno emarginato all’eterna ricerca di redenzione indossa i panni dell’uomo comune per farsi ascoltare, e si fa piccolo, come un artista di talento che colora i muri di una galleria urbana ai margini della città, o come un attore che si esibisce su un palco improvvisato sul ciglio della strada, per soddisfare l’urgenza bruciante di raccontare la sua storia e condividere con il mondo il suo dolore, nella vana speranza di metterlo a tacere, almeno per il tempo della recita.