Thomas Vinterberg

Berlinale 66 – Kollektivet, di Thomas Vinterberg

“I don’t really see, Why can’t we go on as three” fa una celebre canzone scritta da David Cosby all’inizio degli anni ’70, che celebra il ménage à trois contro le convenzioni sociali e i condizionamenti mentali. Solo amore, amore libero e gioia infinita. Come lui anche Thomas Vinterberg nel suo Kollektivet canta l’amore in una piccola comune, in cui emergono le luci, ma soprattutto le ombre, di questa orgiastica condivisione del cibo, dello spazio e del sesso.

La scena si apre in Danimarca negli anni ’70, in un momento in cui la filosofia hippie era in pieno fermento e la scelta di entrare a far parte di una comune per sfuggire alle convenzioni sociali era accarezzata da molti, tra cui i genitori dello stesso Vinterberg che per un decennio hanno vissuto questa esperienza. Ma questa non è una storia autobiografica, o almeno non all’apparenza, perché è la storia di Erik, un professore universitario di architettura, e di sua moglie Anna che, dopo aver ereditato una villa a Hellerup a nord di Copenaghen, decidono di dare una svolta alla loro monotona relazione coniugale includendo nella loro casa un piccolo gruppo di sconosciuti, di età ed estrazioni sociali differenti, per dividere le spese, dialogare e godersi la vita.

Stillfoto fra filmen Kollektivet af Thomas Vinterberg. Foto: Henrik Petit
L’idea della comune è elettrizzante, eccitante, e all’inizio tutto sembra funzionare alla perfezione, in un incastro perfetto tra libertà sessuale e rispetto dell’intimità coniugale, ma quando Erik cede al fascino di una sua allieva e la porta a vivere sotto lo stesso tetto di sua moglie, rivendicando il suo diritto all’amore libero, il mondo idilliaco che si sono creati entra inevitabilmente in crisi. L’utopia hippie di un sano rapporto a tre si infrange clamorosamente contro l’esclusività del rapporto di coppia e a farne le spese sono tutti i membri della comune, che dalla vita peace and love che speravano si trovano ad assistere a una serie interminabile attacchi di isteria, tra pianti urla disumane.

La famiglia è in crisi, e ancora di più lo è la coppia, ma Vinterberg come pochi al mondo è in grado di tracciare un ritratto onesto dei rapporti umani all’interno del nucleo familiare, mettendo in luce la complessità del vivere in comune quando stati d’animo eterogenei si accavallano e si alternano nelle diverse fasi della vita. Nessuno è al sicuro, nessuno si salva qui, ma questa bizzarra “festa” della vita ha un fascino innegabile per il regista, che riesce a cogliere la bellezza nella condivisione delle emozioni ed amplifica i pensieri con la musica, vibrante, travolgente e sempre in armonia con lo spazio in cui si sprigiona. Kollektivet rispecchia a pieno il desiderio di Vinterberg di raccontare i turpi pensieri che serpeggiano sotto le acque apparentemente limpide dei rapporti familiari, che siano tradizionali o alternativi, e come nel bellissimo Festen riesce a rappresentare la vita nell’arte con i colori vividi che caratterizzano il suo cinema, realizzando un film prezioso.

Via dalla pazza folla, di Thomas Vinterberg

Lontano dai palazzi neri di fumo, dai sobborghi soffocati di operai e dal rumore assordante delle città ubriache di progresso, l’immaginazione di Thomas Hardy si perde in un’Inghilterra bucolica, in cui si vive ancora del lavoro dei campi e si stringono giuramenti d’amore nel fitto dei boschi. E proprio qui, sulle colline del Wessex, inizia la storia di Bathsheba, una donna libera come il vento e anticonvenzionale in tutto, anche nel suo nome. Il suo spirito ribelle corre attraverso le vallate, e travolge tutto ciò che tocca, compreso il giovane Gabriel Oak, che rimane rapito sin dal primo sguardo. Gabriel è un uomo dai solidi principi, forgiato dalla terra e orgoglioso dei frutti del suo lavoro, e non esita a chiedere la ragazza in sposa, promettendole fedeltà eterna e una vita tranquilla al riparo del focolare domestico. Peccato che quello che per le altre donne incarna il sogno di una vita, per questa vivace ragazza di campagna non è altro che la negazione della sua indipendenza e, nonostante nutra anche lei dei sentimenti per Gabriel, Bathsheba rinuncia alla proposta e lo lascia andare via.

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Come una maledizione il suo rifiuto capovolge le loro reciproche fortune, e con il mutare delle stagioni Bathsheba si ritrova ereditiera di un’immensa fortuna e Gabriel al suo servizio, senza più nulla da offrirle, se non il suo sguardo attento e il suo sostegno incondizionato. Bathsheba diventa una donna sotto i suoi occhi, cade e si rialza sotto i colpi della vita, ma tradisce mai il suo spirito da guerriera, e questo non fa che accrescere il suo amore. Sia che affronti tempeste terribili o raccolti fiorenti, Gabriel, imperturbabile, rimane a vegliare sulla sua anima tormentata e, nonostante molti altri uomini si affaccino sulla sua vita, lui resta fermo ad attendere che la pace scenda nel suo cuore, così come il sole sulle sue terre.

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La natura è legata a doppio filo alla vita dei personaggi e proietta nelle sue forme perfette ogni stato d’animo, liberando la gioia nei colori delle vallate e custodendo i segreti più torbidi nei boschi più fitti, infrangendo le speranze sulle scogliere ventose e disciogliendo la sofferenza sotto la pioggia incessante. Nella bellezza della natura Thomas Vinterberg ricama il suo splendido arazzo, inscrivendo le vicende umane nel mutamento delle stagioni con una naturalezza che toglie il respiro e fa tornare indietro il tempo a un’arcadia lontana, in cui l’amore attende paziente i suoi frutti ed esplode con tutta la sua potenza in pochi sguardi sfuggenti. Vinterberg racconta un mondo che non esiste più se non tra le pagine dei libri, che va a ritmo con la natura e gode del tempo senza bruciarlo, dando valore ad ogni istante e a ogni incontro che può cambiare il corso del destino, ma la sua narrazione non è mai polverosa né stucchevole, e fluisce lieve come una ballata tradizionale che non ci si stanca mai di ascoltare.