Tiziana Sensi

noveEtrentatré, di Tiziana Sensi

Il delitto è fetido e appesta fino al cielo con la sua puzza, mentre la colpa pesa sul cuore come un macigno, che nulla può alleggerire, né la pena, né la grazia. Sono passati quarant’anni da quando Cosimo Rega è stato condannato all’ergastolo per aver ucciso un suo amico fraterno, ma nonostante l’isolamento, la punizione, la mortificazione della carne e dello spirito subita dietro le sbarre, il senso di colpa non si è mai affievolito perché, come proclama lui stesso, si può essere un ex camorrista ma un assassino lo si è per sempre.

Sumino ‘o Falco è diventato uomo in carcere e crescendo si è lasciato alle spalle l’arroganza della gioventù, per nutrirsi umilmente di cultura, di lettura e di teatro fino a diventare Cosimo Rega, attore e scrittore della sua vita, ma soprattutto ricercatore di bellezza. Ora quest’uomo è pronto a raccontare chi è stato in passato e chi è oggi sul palco spoglio del Teatro Vascello, e ad affidare il giudizio sulle sue azioni efferate al pubblico, oltre che a Dio. Non chiede giustizia, né perdono, solo di mettere in scena la sua autobiografia di un ergastolano e di condividere il peso le sue pene per il tempo dello spettacolo. Prendendo in prestito i versi di re Claudio, assassino crudele di suo fratello e causa della follia del principe Amleto, Rega urla il suo dolore con le parole che gli sono diventate più care dopo aver conosciuto il teatro, in una lingua lontana dalla sua realtà, quasi incomprensibile, ma allo stesso tempo sorprendentemente efficace per esprimere i sentimenti umani più profondi. Il giovane Sumino invece usa la lingua più familiare, ma non meno drammatica, di Eduardo De Filippo e della sua Napoli Milionaria, il dialetto stretto che si mastica nelle strade di Angri e nella casa modesta in cui Rega ha vissuto i primi anni della sua vita.

Tra presente, passato e visioni oniriche Tiziana Sensi ricostruisce sulla scena, insieme agli studenti-attori del DAMS di Roma, la biografia di un piccolo boss della camorra salernitana, che durante la sua permanenza in carcere ha scoperto il teatro, e grazie all’illuminato Cesare deve morire dei fratelli Taviani è arrivato sul grande schermo. Da quel momento l’arte è diventata parte integrante della sua vita e in un certo senso ne ha cambiato il corso, dandogli la possibilità di sognare anche dietro le sbarre. Dalla sua esperienza, in un momento storico in cui la cultura annaspa sotto il peso della crisi economica, deriva la necessità di dare maggior valore agli articoli 9 e 33 della Costituzione italiana, che sostengono la libertà dell’arte e della scienza e l’impegno dello Stato a promuovere lo sviluppo della cultura, sostenendone le attività e cercando di mettere tutti in condizione di poterne godere, perché è nella cultura che risiede l’umanità dell’uomo e la sua capacità di vedere la bellezza in ogni espressione della natura. La cultura ha salvato la vita a Cosimo Rega, detto Sumino o’ Falco, e continua silenziosamente a lavorare sulle coscienze dei detenuti del carcere di Rebibbia, costantemente impegnati in messe in scena dall’altissimo valore culturale, e di molte altre strutture sparse per l’Italia, grazie all’impegno degli operatori che credono nel potere del teatro e nel valore universale delle opere letterarie che gli danno vita.