Toby Jones

L’uomo di neve, di Tomas Alfredson

Il freddo quest’anno tarda ad arrivare, ma viene in nostro soccorso il cinema con l’uscita de L’uomo di neve, l’ultimo film diretto da Tomas Alfredson (Lasciami entrare e La talpa), tratto dal fortunato romanzo omonimo di Jo Nesbø.

La vicenda si sviluppa attorno alla figura di Harry Hole (Michael Fassbender), un detective alcolizzato ma brillante, che inizia a indagare sulla sparizione di alcune donne dopo aver ricevuto un messaggio firmato con il disegno di un pupazzo di neve. Aiutato da Katrine Bratt (Rebecca Ferguson), nuovo acquisto del dipartimento di Oslo, comincerà a trovare delle similitudini tra le persone scomparse e si addentrerà in un caso tortuoso.

I tempi della pellicola sono dilatati e i toni stranianti, più che paurosi o affini al genere thriller nel quale il film è inserito. Anche nei suoi momenti più cruenti, il gelo e la generale lentezza contribuiscono a creare una distorsione delle emozioni, durante la visione, che trasforma la paura e la voglia di voltare lo sguardo in curiosità ossessiva, simile a quella che coglie le persone nel quotidiano di fronte a un incidente. Tale sensazione non aiuta a creare il giusto stato di ansia che aiuterebbe a godere del film con più partecipazione, ma ha il pregio di non mettere lo spettatore a proprio agio, definendo fin dall’inizio tempi diversi da quelli del cinema di più alto consumo.

Uno dei tasti dolenti di questa pellicola è purtroppo la mancanza di chimica tra Fassbender e la Ferguson: i due sembrano viaggiare su binari diversi sia per quanto riguarda il ritmo sia per via della trama. L’intero arco narrativo di Katrine, infatti, è purtroppo poco coinvolgente, forse anche a causa dei flashback troppo brevi e dell’interpretazione non entusiasmante di Val Kilmer. In generale le scene della Ferguson, per quanto siano le più dinamiche dell’intero film, sono quelle meno appassionanti. Più credibile e vitale il rapporto tra Fassbender e Charlotte Gainsbourg nel ruolo di Rakel. Bella anche l’interpretazione di Chloë Sevigny, che avrebbe meritato qualche scena in più anche solo per l’abilità nella gestione del suo personaggio.

La colonna sonora curata da Marco Beltrami è interessante, per quanto non priva di difetti. Nelle scene d’azione (e purtroppo sul finale) non mette in campo nulla di nuovo, ma riesce a creare la giusta tensione nelle fasi investigative della storia.

Il vero punto di forza dell’Uomo di Neve è però l’ambientazione, che contribuisce più di ogni altra cosa a dare respiro alla pellicola. Nella sua maestosità, il ghiaccio diventa protagonista della vicenda, dal vapore generato dal respiro degli attori fino al perpetuo manto bianco che incornicia ogni momento all’aperto. Ostile e generoso al contempo, con la sua mitigazione della morte, accompagna bene un film altrimenti vacillante e rende lampante per lo spettatore la motivazione che spinge la letteratura nordeuropea a trattare con così tanta frequenza i temi del crime e del noir.

In conclusione, l’Uomo di Neve è un film consigliato agli appassionati del genere e a chi riesce ancora a godere di pellicole dai toni misurati e dai tempi dilatati.