Tokyo Love Hotel

Tokyo Love Hotel, di Ryuichi Hiroki

Ogni popolo ha delle proprie singolarità. Abitudini distanti da noi, su cui, poi, ci costruiamo gli stereotipi che li accompagneranno e sui quale, se ci fermiamo a riflettere, troveremo delle forti contraddizioni. I giapponesi, sono sicuramente tra quelli che più di altri subiscono queste contraddizioni. Chiusi nella loro isola, privati dei due aspetti sociali che più hanno caratterizzato le identità nazionali: il cristianesimo e il comunismo. I giapponesi, per molti, sono gli alieni del mondo. E in quanto tali, ogni loro abitudine è per noi è estraniante. Lo è sicuramente per noi latini la forte riservatezza che hanno nei loro rapporti intimi. Questa estrema riservatezza ha paradossalmente portata alla nascita di una realtà paradossale come gli alberghi dell’amore, dove i giapponesi consumano i loro rapporti clandestini.
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Tokyo love Hotel si svolge nell’arco di un giorno ed una notte, all’interno di uno di questi alberghi, l’Atlas, uno dei più squallidi, tra quelli presenti a Kabukicho, il quartiere a luci rosse di Tokyo. Qui assistiamo alla degradante vita del giovane Toru, che lo dirige con pigrissima rassegnazione. Ed è lui, suo malgrado a fare da sponda al via vai dei clienti, con le loro tragedie e miserie umane.
Un mondo degradato, ma che mostra stranamente tanta bellezza in tutta questa amicizia, perché il sesso in molte occasioni smettere di essere solo tale, diventando rivalsa e presa di coscienza. Qualcuno ne esce sconfitto, perché questa non è una favola. Ma sono le inevitabili tragedie della vita, che poco o nulla possono contro quella che, nel film, emerge essere come la più grande forza dell’universo: l’amore.