E se la soluzione ai più grandi problemi dell’umanità fosse rimpicciolire l’uomo?
È la tesi portata avanti da Downsizing – Vivere alla grande, il film che ha aperto il Festival di Venezia 2017. Il regista, Alexander Payne, stavolta tira di molto su l’asticella e punta a modernizzare il concetto stesso di commedia innestando ad un plot che parte da un presupposto fantascientifico una ramificazione di riflessioni su concetti che vanno dal concreto materialismo alla filosofica ricerca della felicità, dall’ironia della sorte al sottile confine tra volontà e possibilità.
«La porta per la felicità si apre verso l’esterno».
Payne è stato autore di grandi successi di critica come A proposito di Schmidt, Election, Citizen Ruth o Nebraska, il più recente, che gli è valso la nomination come miglior regia agli Oscar® 2014. Come sceneggiatore invece l’Oscar® l’ha ottenuto: nel 2012 e nel 2005 per le sceneggiature rispettivamente di Paradiso amaro (The descendants) e Sideways – In viaggio con Jack.
«Rimpiccioliscono le persone, vanno su Marte, ma non sanno curare la mia fibromialgia».
Uno scienziato norvegese trova il modo di ridurre la massa cellulare degli organismi viventi. Questa già enorme scoperta scientifica diventa ancora più significativa quando 36 volontari decidono di sperimentare la vita da un altro punto di vista. Rimpicciolire l’uomo diventa quindi un modo per rimediare in una botta sola a sovrappopolazione, inquinamento, crisi economica e sfruttamento delle risorse energetiche. Questa «sostenibilità a misura d’uomo» giunge all’orecchio di Paul e Audrey Safranek.
Paul [Matt Damon, Sopravvissuto – The Martian, The Zero theorem, The Great Wall] è quello che si sarebbe potuto definire “un piccolo uomo”, senza grandi ambizioni, «tendente al patetico», con un lavoro che ama, ma che non gli fornisce né prestigio né guadagni considerevoli, mentre Audrey [Kristen Wiig, I sogni segreti di Walter Mitty, Sopravvissuto – The Martian, Ghostbusters], invece, vuol fare le cose in grande, ha progetti ambiziosi, fra cui la casa dei sogni che, però, mal si abbina al loro tenore di vita.
Quando scoprono da una coppia di amici già sottoposti al trattamento, i Lonowski, che con il loro misero reddito nelle nuove metropoli possono campare di rendita e permettersi lussi da arcimilionari, i coniugi Safranek decidono di miniaturizzarsi, ma all’alba della loro nuova esperienza dire che qualcosa va storto è un eufemismo (che poi sarebbe minimizzare!).
«Riduciti al minimo. Ottieni il massimo».
Il premio Oscar® Christoph Waltz [Bastardi senza gloria, Django Unchained, The Zero theorem] ha volentieri aderito al progetto ambizioso di Downsizing – Vivere alla grande e interpreta Dušan Mirkovic, il nuovo vicino di Paul nella minimetropoli di Leisureland. Insieme a lui in scena ritroviamo quasi sempre una vecchia gloria del cinema, il caratterista Udo Kier, conoscenza comune di Lars Von Trier e Dario Argento. I già citati coniugi Lonowski sono interpretati da Jason Sudeikis [Come ti spaccio la famiglia, Race – Il colore della vittoria] e Laura Dern [Jurassic Park, The founder]. Solo un breve cammeo, invece, per Neil Patrick Harris, noto per aver preso parte alla serie tv How I met your mother, ma più di recente per essere il nuovo volto del Conte Olaf nella nuova versione di Una serie di sfortunati eventi su Netflix, e per James Van Der Beek, il Dawson Leery della serie tv Dawson’s creek.
Chi ricava il massimo dalla sua partecipazione dal nuovo film di Alexander Payne è Hong Chau [Vizio di forma]: l’attrice di origini thailandesi è candidata con merito a numerosi premi tra cui spicca il Golden Globe 2018 come miglior attrice non protagonista.
Le riflessioni che scaturiscono dalla visione di Downsizing – Vivere alla grande sono tantissime e l’effetto domino dei ragionamenti mantiene costante la soglia dell’attenzione dello spettatore che vive un’avventura cinematografica continuamente sospesa tra la commedia e il dramma sentimentale in un contesto fantascientifico che presenta risvolti romantici di natura squisitamente umanitaria. Quando il personaggio di Matt Damon si miniaturizza è costretto a “riciclarsi” e si trova a guardare il mondo che lo circonda da un’altra prospettiva, ma a cambiare maggiormente è il suo modo di percepire sé stesso e i rapporti con gli altri.
Per compiere imprese grandiose non serve essere un grande uomo, 12 centimetri sono più che sufficienti! questa è il primo messaggio che passa costante nella visione del film. Che la felicità sia nelle piccole cose, quelle di ogni giorno, è una seconda morale, magari all’apparenza anche scontata, che s’intreccia alla forza dei piccoli gesti, quelli che, si sa, sono capaci di accendere sorrisi splendenti in chi rappresenta il gradino più basso della scala sociale. Questo sì che è un risvolto davvero inaspettato, che quasi fa ombra alle mille trovate scenografiche della clinica miniaturizzante e di Leisureland, trovate che riecheggiano i surreali prodotti della fantasia di Terry Gilliam, ma che sostituiscono al gusto retro di quella fantascienza un’estetica nitida e pulita da film classico americano che colma il gap tra finzione e realtà. Probabilmente la scelta di non calcare la mano, di non andare mai sopra le righe né con la fotografia né con un editing maggiormente accattivante e nemmeno con effetti speciali più sbalorditivi serve a non distrarre dalle riflessioni, che rappresentano il vero obiettivo di Downsizing – Vivere alla grande. Il pelo nell’uovo: un pizzico in più di ironia e sarcasmo lo avrebbe reso un piccolo grande capolavoro, ma comunque resta un film da vedere, assolutamente.