Una mujer Fantastica

Berlinale 67 – Una mujer fantástica, di Sebastian Lelio

Marina Vidal è una donna fantastica. Bella, coraggiosa e con una voce straordinaria. Anche se per la legge è ancora Daniel, e per molti un curioso scherzo di natura, il suo corpo, con le sue fattezze aggraziate e una sensualità sottilmente androgina, urla al mondo la sua crescente femminilità. Il suo cuore appartiene a Orlando (Francisco Reyes), un uomo molto più grande di lei, che dopo averla conosciuta ha lasciato la sua famiglia per vivere a pieno questo amore così travolgente e inaspettato. Ma proprio nel momento in cui il loro rapporto è al culmine della passione, Orlando all’improvviso si accascia sul pavimento e non si sveglia più. Da quel momento la vita di Marina piomba dalla luce all’oscurità, dal sogno all’incubo.

Oltre al dolore per la perdita del compagno, Marina (Daniela Vega) si trova costretta ad affrontare l’ira della famiglia di Orlando, che la ritiene colpevole della sua morte e le nega qualsiasi diritto, persino quello di partecipare al funerale. Cacciata di casa, picchiata, umiliata sia come donna che come essere umano, Marina diventa l’icona dell’intolleranza, il suo corpo il luogo in cui il pregiudizio conosce i suoi picchi più violenti.

Marina rimbalza tra le mani dei suoi carnefici, che come scimmie impazzite fanno a gara a distruggere quello che non comprendono, e pertanto temono come la peste. Nulla è risparmiato allo sguardo dello spettatore, neanche se sequenze più violente, perché Sebastian Lelio vuole rappresentare il mondo dal punto di vista di Marina,  senza sconti o inutili buonismi, in tutta la sua crudeltà. Costantemente pugnalata dagli sguardi taglienti dalla gente, che la scruta fin sotto la gonna per capire se è una donna completa o se conserva ancora una parte maschile, Marina non smette mai di lottare per la sopravvivenza, per non perdere la dignità e l’identità di donna costruita con tanta fatica. Per questo è una creatura fantastica, e quanto più lontano possa esistere dal fenomeno da baraccone, perché tra le mani del regista cileno ritrova tutta la sua umanità.