Valerio Malorni

L’uomo nel diluvio, di Simone Amendola e Valerio Malorni

Valerio Malorni porta in scena il dramma dell’emigrazione, per fuggire dal diluvio che sta ingoiando un paese senza speranza, che non riesce a dare il giusto valore alla cultura e nessun buon motivo per restare.

La pioggia incessante di lavori mal pagati, stage a tempo indeterminato e cervelli in sala d’attesa allaga l’Italia e la affoga nelle speranze disilluse. L’alternativa è tra restare e morire o partire e vivere. Come novelli Noè, i giovani italiani devono scegliere in brevissimo tempo cosa salvare della loro terra dal diluvio universale che la sta travolgendo, decidere se costruirsi una barca solida e fuggire il più lontano possibile o rimanere immobili ed essere inghiottiti. Berlino è la meta più ghiotta, economicamente favorevole e accogliente per tutti gli immigrati-disperati che ogni giorno superano il confine in cerca di una vita meno faticosa, in cui è sempre domenica.

Valerio è uno di loro. Attore trentenne, padre di una bambina piccola, stretto nella morsa delle bollette mensili e del mutuo. Quando si siede nella sua vasca da bagno-arca a pensare, si sente come Noè, chiamato da Dio a lasciare la terra in cui è cresciuto, dove ha costruito con fatica affetti e relazioni, per salpare verso una realtà diversa. Berlino è la terra promessa, ma non è stato Dio a suggerirlo. Punto d’incontro privilegiato tra le culture, in cui la Turchia e l’Italia si contendono il monopolio della ristorazione, Berlino è la meta privilegiata dei giovani emigranti, che riescono a sbarcare il lunario mentre imparano a fatica la lingua e stringono amicizie preziose, per sentirsi meno soli.

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Valerio a Berlino incontra inaspettatamente il teatro, la possibilità di portare in scena il dramma dell’emigrazione nella terra che lo sta ospitando, davanti a un pubblico che, se non comprende la sua lingua, riesce a leggere la gestualità del suo corpo, il costume che nell’immaginario collettivo ricorda l’italiano medio e la musica degli emigrati del dopoguerra. E a quel punto, tra gli applausi dei tedeschi, il cielo si schiara. Il diluvio è finito e la vita ricomincia.

Noè oggi siamo tutti noi e Simone Amendola e Valerio Malorni portano in scena i turbamenti della fuga dal mondo conosciuto su una scenografia scarna in cui una vasca-arca rappresenta il centro del mondo e il luogo della riflessione, dove pianificare la fuga. L’uomo è solo nel bel mezzo di un diluvio politico e culturale e i libri sono tutto ciò che vale la pena salvare. La parola e la cultura sono i remi a cui appigliarsi per non affogare.  Attraverso un collage di racconti, video, letture e musica, L’uomo nel diluvio scava a fondo nello stato d’animo di chi parte senza sapere quando farà ritorno, l’angoscia della distanza dai propri cari e la paura profonda di tornare sconfitti da un avventura in solitaria con il rischio di deludere chi è rimasto ad attendere. Il teatro diventa la voce intima della collettività, l’eco della disperazione e dello sdegno di chi non ha più un buon motivo per restare e si abbandona ai flutti di un destino ignoto in una terra lontana, portando con sé solo la sua arte, con la speranza di farla rivivere là dove qualcuno la saprà apprezzare.