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Resident Evil: The final chapter, di Paul W. S. Anderson

Resident Evil: The final chapter, sequel naturale di Resident Evil: Retribution (2012), è il sesto ed ultimo capitolo (ma non ci giurerei! una serie-tv potremmo aspettarcela) della saga sci-fi/horror Resident Evil, realizzata come adattamento cinematografico della riuscitissima serie omonima di survival game targata Capcom.

«A volte penso che la mia vita sia stata questo: correre, uccidere…»

L’abbiamo conosciuta ed apprezzata nel 2002, quando Alice [Milla Jovovich] si svegliava in un mondo reso l’inferno in Terra dagli esperimenti della Umbrella Corporation, priva di memoria in un vano doccia, coperta dalla sola tendina, forse divelta nella caduta. Tralasciando quanto abbiamo odiato quella dannata tenda da doccia, già antiestetica e fastidiosa per sua natura, è stata una gradita sorpresa scoprire, in seguito ad una maratona dettata da un’auspicabile onestà di giudizio, quanto la coerenza narrativa sia stata curata nel minimo particolare e come ogni nodo giunga al pettine, in un finale che ha forse l’unica pecca di arrivare tardi e quindi carico di doverose aspettative, un po’ deluse dalla maniera un po’ sbrigativa con cui è stato liquidato il problema del virus apocalittico.

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La resa dei conti è a Raccoon City, il luogo dove tutto ha avuto inizio, il luogo dove tutto finirà, in un modo o nell’altro. E sarà anche l’ultima tappa evolutiva della protagonista, il cosiddetto Progetto Alice. Da donna senza passato risvegliatasi in un mondo senza futuro a semidea madre dotata di poteri ESP, fino a diventare l’ultimo baluardo di un’umanità tradita da chi l’avrebbe dovuta difendere, l’Umbrella Corporation, e che invece ha ibernato la classe dirigente in modernissime bare da vampiri d’altri tempi (Lifeforce di Tobe Hooper, conosciuto in Italia come Space vampires, è un chiaro riferimento), lasciando che siano le classi meno abbienti ad estinguersi, come fossero le uniche depositarie di un Male ancestrale, da estirpare nella maniera più lenta e spettacolare possibile tra non-morti affamati, lickers, cerberi, orrendi draghi volanti (ispirati dai jabberwock carrolliani?) e tutto quanto la Capcom abbia mai ideato per il divertimento di milioni di survival gamers in tutto il mondo in più di vent’anni.

«Dieci anni fa, nell’Alveare, abbiamo fallito entrambe. È tempo di rimediare a quel nostro errore!»

I non troppo velati rimandi al romanzo di Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò continuano nell’estenuante corsa contro il tempo dell’ormai iconico personaggio di Milla, guidata dall’intelligenza artificiale chiamata Regina Rossa [interpretata da Ever Gabo Anderson, figlia della Jovovich e del regista, al suo esordio assoluto], di nuovo sottoterra, tra metamorfosi, inganni, strategie e tradimenti.

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Non mancano, in tutto il percorso narrativo, elementi che fanno riferimento anche ad altri romanzi di formazione, ricchi di simbologie e sottotesti filosofici, come il Frankenstein di Mary Shelley o il Pinocchio di Collodi, che si perdono nella fitta rete di richiami alle vicende videoludiche, che vanno dalla maniacale ricostruzione degli ambienti alla realizzazione delle stesse indimenticabili inquadrature che hanno rappresentato la cifra stilistica del brand: l’orrido pasto di zombie famelici in branco, visto attraverso un crane all’indietro, per fornire un esempio concreto. «Abbiamo dipinto tutte le rocce di nero per rendere il set [in Sudafrica] più cupo e inquietante», lo stesso metodo utilizzato da Michael Mann per La fortezza, ha dichiarato soddisfatto Paul W. S. Anderson, regista di un terzo dei Resident Evil, ma sceneggiatore anche di Apocalypse e Afterlife che, dopo aver diretto questo The final chapter, si cimenterà ancora con la trasposizione cinematografica di un brand Capcom: Monster hunter, un quest game di ambientazione fantasy in cui i protagonisti vanno a caccia di mostri.

La conclusione legittima di quella che si potrebbe definire la Chanson de Alice si svolge in una sorta di labirinto del Minotauro che cita in parte Cube e in parte Saw e che metterà tutti d’accordo almeno su un fatto importante: Milla Jovovich, classe 1975, vale da sola il prezzo del biglietto, come al solito, se non altro per vederla nelle vesti di un nuovo personaggio, una sorpresa che non si può svelare neanche sotto tortura.

«Ecco, la trinità delle puttane unita nell’odio!»

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Attesissimo in Giappone, dove è stato uno dei titoli di punta del periodo natalizio, The final chapter è stato distribuito negli Stati Uniti anche nei formati 3D e IMAX 3D e ha già incassato 135.000.000 $ in tutto il mondo.

Tridimensionalità, ecco, parliamone!

Giustamente, mettendosi nei panni dei produttori, perché privarsene? Resident Evil è sempre stato al passo con i tempi, si è saputo adattare, adeguare, migliorare, in una parola evolvere. Quindi ci si chiede perché non realizzare un film con un 3D nativo (cioè girato fin da subito con questa tecnica) e sfruttare invece l’alta definizione di ripresa 2D fornita dalla simbiosi tra lenti Zeiss Ultra Prime e Red Epic Dragon camera per poi operare una sempre poco apprezzabile conversione 3D a posteriori. Scelte che poi si sposano ancora peggio con la visione in sala attraverso occhialetti privi di sensore di ultima generazione che costringono a posizioni da contorsionista per permettere allo spettacolo tridimensionale di avere l’effetto desiderato. Provare per credere: scivolare giù sulla poltrona cercando di allineare il limite inferiore delle lenti alla linea dello schienale della fila davanti, ovviamente libera da ostacoli.

Il film è dedicato alla memoria dello stuntman Ricardo Cornelius, morto in un incidente durante le riprese in Sudafrica, che sono costate anche un braccio a Olivia Jackson, principale controfigura di Milla Jovovich. Una nota dolente che si va ad aggiungere alla dubbiosa comparsa di un importante oggetto di scena proprio alla fine: come fa a star lì? Chi ce l’ha portato? Di certo non l’ologramma della Regina Rossa…che alla fine degli end credits saluta il pubblico alla sua maniera!

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Assassin’s Creed, di Justin Kurzel

Assassin’s Creed è un “Balzo della Fede” per tutti. La più bella trasposizione cinematografica che sia mai stata fatta di un videogioco che, con buona pace dei detrattori della sottocultura dei gamers, si spinge oltre l’intrattenimento ludico, fornendo un materiale narrativo senza precedenti, con trame e sottotesti, che tradiscono una visione del mondo al passo con i tempi e le teorie cospirative che, da qualche anno, sono oggetto dell’interesse pubblico.

Parafrasando la celebre frase dell’allunaggio, sarebbe potuto essere un piccolo balzo per il fan ma un salto nel vuoto per chi non ha alcuna dimestichezza con la serie e la sua complessa struttura narrativa che mescola sapientemente fantascienza, storia, azione e spionaggio. Invece, l’Assassin’s Creed di Justin Kurzel [Macbeth, Snowtown] diventa un’esperienza emozionante anche per chi non ha mai giocato al videogame e conosce solo per fama quello che è diventato, a suon di successi, uno dei migliori cross media brand degli ultimi 10 anni.

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Il primo a “saltare” a bordo, di questo progetto ad alto coefficiente di difficoltà, è stato Michael Fassbender, il cui debutto cinematografico è legato ad un’altra trasposizione cinematografica, dello stesso anno in cui la prima versione di Assassin’s Creed entra nelle case dei gamers, il 2007, quando, nel ruolo di Stelios, prende parte, diretto da Zack Snyder, a 300, il superbo adattamento del fantastico graphic novel di Frank Miller. Ha poi conquistato pubblico e critica con Hunger e Shame, diretti da Steve McQueen, per poi ricevere una nomination come miglior attore ai Golden Globe ai BAFTA e agli Oscar® per la sua interpretazione di Steve Jobs, diretto da Danny Boyle.

Un ottimo inizio abbinare uno dei giochi più amati di tutti i tempi con uno degli attori più acclamati del momento, ma si correva il rischio di fare gli stessi errori di altri adattamenti che hanno miseramente fallito nell’hitchcockiano intento di riempire schermo e sedili del cinema.
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Nell’inedita veste di produttore, Fassbender chiede ad un team familiare di fidarsi del suo istinto, coinvolgendo il regista Justin Kurzel, l’attrice Marion Cotillard, premio Oscar® per La vie en rose, lo sceneggiatore Michael Lesslie, il compositore nonché cantante-chitarrista e fratello del regista Jed Kurzel, il direttore della fotografia Adam Arkapaw, che avevano tutti preso parte al Macbeth del 2015. Curioso, poi, che Fassbender abbia scelto Brendan Gleeson per interpretare di nuovo un suo padre filmico come in Codice Criminale.

A fornire esperienza e ulteriore sostanza al cast già lussureggiante la presenza scenica di Jeremy Irons e Charlotte Rampling e del costume designer Sammy Sheldon [Ex machina, Ant-Man, V per Vendetta], fondamentale per la maniacale ricostruzione storica e l’adattamento concreto del game concept alla fruibilità attoriale.

Un bel “Balzo della Fede” lo avete compiuto anche voi lettori ad aver sopportato tutto questo preambolo prima di arrivare a conoscere la TRAMA del film:

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Antefatto ambientato nella Spagna del 1492, con la presentazione dell’interminabile scontro tra l’Ordine dei Cavalieri Templari, che cercano di impossessarsi della Mela dell’Eden e togliere così all’umanità il dono del libero arbitrio, e la Confraternita degli Assassini, che sono votati, anima e corpo, alla difesa della reliquia sacra e del genere umano. Nella Mela è, infatti custodito il seme della prima disobbedienza e potrebbe essere adoperata per assoggettare a qualsiasi volere la mente degli uomini.

«Le nostre vite non sono niente. La Mela è tutto»

Sulle note di una ballata heavy metal, che sottolinea perfettamente la spettacolarità di una ripresa aerea, cifra stilistica del gioco prima che del film, la mdp segue il volo di un’aquila e l’azione del prologo si sposta a Baja California nel 1986, quando qualcosa di estremamente significativo segna l’infanzia del protagonista,  Callum Lynch, e ne determina il futuro, ovvero il suo 2016, quando, ormai adulto attende l’iniezione letale nel penitenziario di Huntsville, in Texas.

«Il tuo sangue non ti appartiene»

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Segretamente salvato dalla Abstergo, società segreta che funge da facciata “pulita e luminosa” dei Templari, Callum [Michael Fassbender] è costretto a sperimentare una tecnologia rivoluzionaria ideata dalla dottoressa Sophia Rikkin [Marion Cotillard] per «eliminare la violenza e combattere l’aggressività»: l’ANIMUS, un macchinario, meravigliosamente migliorato rispetto alla sedia da dentista del videogioco, che permette al paziente di “rivivere in prima persona” i ricordi dei suoi antenati. Callum scopre, così, di discendere da quell’Aguilar de Nerha [sempre Michael Fassbender], membro dell’Ordine degli Assassini, vissuto nella Spagna del XV secolo, nonché ultima persona conosciuta ad aver posseduto la Mela. I Templari vogliono sfruttare il flusso di memoria per scoprire dove sia tenuta nascosta la reliquia, ma con i ricordi Callum immagazzina anche le esperienze, le conoscenze e le abilità di Aguilar e soprattutto ne eredita la missione.

«Giurami che sacrificherai la tua vita»

Assassin’s Creed ha un incipit che cattura e l’immedesimazione è la chiave di volta della trama, per il rapporto spaziotemporale che si crea tra il protagonista e il suo antenato e, parallelamente, tra personaggi e spettatori. Rapiti da e scaraventati nel pieno dell’azione fin da subito, si può non far caso al registro simbolico, indissolubilmente legato alla spettacolare fotografia, che valorizza i contrasti e rispetta la regola dei terzi e la sezione aurea senza troppo ricorso alla CGI.

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Girato nel deserto dell’Almeria, in Spagna, dove Sergio Leone ha realizzato i suoi western da antologia, il film di Kurzel dà eco al ribaltamento della simbologia classica operato già in origine dai creatori del videogioco e dona risalto ai Templari in inquadrature dove risultano avvolti nella luce, con la croce, loro emblema, a campeggiare prepotentemente, generando un sottotesto che sovverte in maniera provocatoria ogni concezione dogmatica, secondo la quale la luce debba rappresentare il Bene e l’ombra il Male.

Emblematica è una delle prime scene quando la mdp striscia rasoterra e sinuosa come il serpente dell’Eden e raggiunge la cella di Callum dove assistiamo ad uno scambio di battute e di vedute tra lui e il prete confessore in un tripudio di dialettica fotografica caratterizzato dal forte contrasto luce-ombra. La mdp strisciante è una cifra stilistica che tornerà nel corso del film a segnalare momenti significativi.

«Vuoi salvare la mia anima?»

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Lontani dalla luce dei riflettori, invece, svolgono la loro missione gli Assassini, la cui origine è liberamente ispirata ai Nizariti, la principale setta degli ismailiti, una corrente dell’islam sciita, seguaci dell’Aga Khan, e conosciuti in passato anche come Setta degli Assassini oppure semplicemente Assassini (Hashashin). La parola “assassino” deriva proprio dalla loro pratica di ricorrere a omicidi mirati per l’affermazione della propria politica .Realmente esistiti, quindi, ma, come i Templari, oggetto di miti e leggende che hanno dato ampio margine di manovra a soggettisti e sceneggiatori fino alla creazione del conflitto millenario che è alla base dell’Assassin’s Creed universe.

«Agiamo nell’ombra per servire la luce. Siamo Assassini»

Un ulteriore spunto di riflessione a caldo ha un’origine etimologica: malum/male e malum/mela sono entrambi sostantivi neutri della seconda declinazione, ma differiscono nell’accento (breve per “male” e lungo per “mela”), che però è facoltativo scrivere, quindi la mela da semplice anagramma è assurta ad emblema del Male per qualche traduzione sbrigativa persa nel tempo, nel Medioevo degli amanuensi, quando analfabeti pendevano dalle labbra di semianalfabeti ed era molto più semplice raccontare una fiaba fantasy che non spiegare che il Bene e il Male coesistono, senza confini ben definiti, nell’universo, allo scopo di equilibrarne le forze e mantenere l’archetipica armonia degli opposti.

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Infine arriviamo a quello che senza ombra di dubbio possiamo considerare il più grande “Balzo della Fede” nel film di Assassin’s Creed, perché reale, perché fuori davvero da ogni immaginazione: è  quello che opera Damien Walters, ginnasta, corridore e stuntman molto richiesto [Kingsman: Secret Service, Captain America – Il primo vendicatore, Scott Pilgrim vs. the World]. Nessuna controfigura digitale, quindi, per quello che è considerato nella narrazione stessa del videogioco come un’azione mitica, che ha in sé del soprannaturale. Fassbender, che si è fatto sostituire nelle scene di combattimento per solo il 15% delle riprese, è rimasto stupito: «Damien ha fatto veramente un Balzo della Fede di 35 metri buttandosi da una gru senza cavi e senza alcuna corda elastica, solo in caduta libera».

Anche per un stuntman con l’esperienza di Walters, la caduta libera fa paura al solo pensarci. La produzione ha messo in campo una seconda unità per catturare lo stunt sul set quel giorno, e meno male perché l’unità principale si era messa in pausa per guardare Walters saltare. Walters ci ride su: «L’effettiva sagoma della base su cui cadere è di soli 10 metri x 10 metri, l’effetto che ti fa quando sei sulla piattaforma a 35 metri è quello di dover cadere su un foglio A4. La cosa migliore è quando ne esci e puoi dire a te stesso “Sì, sto bene”».

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«Quando giri, 25 metri o 35 possono dare la stessa impressione – ha dichiarato il regista – ma per Damien era fondamentale raggiungere un’altezza record. È stata una giornata emozionante, ma anche stressante, ma credo che si riesca a percepire anche nel girato, senti che qualcuno lo ha effettivamente fatto. E mi piace il fatto che io ci fossi e che l’abbia potuto girare, non è come quando lo realizzi in tutta tranquillità con qualcuno che spinge un paio di pulsanti».

Prodotto da New Regency, Ubisoft Motion Pictures, DMC Films e Kennedy/Marshall e distribuito da 20th Century Fox, il film è destinato ad essere il capostipite di un franchise cinematografico a lunga percorrenza: «questo film segna l’origine di una storia – ha dichiarato Fassbender – Abbiamo un’idea su che strada percorrere nel corso dei prossimi due film. Abbiamo creato un arco narrativo in grado di coprire tre lungometraggi. Vedremo come gli spettatori reagiranno con questo primo capitolo». Intanto è in fase di preproduzione il secondo film, che Kurzel vorrebbe ambientare durante la Guerra Fredda, il periodo giusto per “vivere nell’ombra”!

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«Vivi nell’ombra!»

Warcraft – L’inizio, di Duncan Jones

«Nessuno può contrastare le tenebre da solo».

Warcraft è una saga fantasy creata dalla Blizzard Entertainment e iniziata con la pubblicazione del primo videogioco strategico in tempo reale Warcraft: Orcs & Humans, datato 1993. Progettato nella speranza di venderne un milione di copie, il gioco è arrivato a 15 milioni ed è diventato un prodotto talmente trionfale che è diventato un tie-in di proporzioni colossali: oltre ad una serie potenzialmente infinita di videogiochi, sono stati prodotti romanzi, manga, fumetti nonché giochi da tavolo e di carte e ogni sorta di materiale collezionabile. Inoltre, come accaduto per altre saghe di successo planetario quali Star Wars o i supereroi Marvel e DC, l’ambientazione creata per l’occasione assurge ad essere chiamata Warcraft Universe.

Un universo fantasy popolato da creature di ispirazione tolkieniana – incantatori, re giusti e saggi, stregoni malvagi, orchi, elfi, nani – ma anche da mostri tratti direttamente dai bestiari popolari – golem di argilla, grifoni, warg, maelstrom, entità arcane che vivono in torri altissime, chimere, ippogrifi, titani – frutti di antiche leggende, contaminate dalle culture delle varie etnie affrontate in battaglia nel corso di millenni e dalla creatività dei bardi, che giravano il mondo ognuno con le proprie chansons de geste di personaggi stratificati dall’incontrollabile tradizione orale. Storie avvincenti che ricordano in parte anche il ciclo bretone, con un re giusto e lungimirante come Artù, un asso della guerra come Lancillotto e un mago potente al servizio della corona come Merlino. Il protagonista, Lothar, oltre ad una combattività senza pari, può vantare una forte componente strategica, un’evidente facilità di ragionamento e sangue freddo in situazioni complicate e veloci, che lo accomunano all’Ulisse omerico. Forse, un giorno, le generazioni future studieranno come esempi di epica cavalleresca, alla stregua de «le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese» di cui narra Ludovico Ariosto.

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Warcraft – L’inizio, il film di Duncan Jones [Moon, Souce code], figlio di David Bowie, è l’adattamento cinematografico di Warcraft: Orcs & Humans, videogioco del 1994, il primo della saga di Warcraft. Le vicende trattate coincidono con il periodo della Prima Guerra e si svilupperanno nel bel mezzo della linea temporale del Warcraft Universe che è in continua evoluzione verso una direzione qualsiasi, basti pensare che il 30 agosto ci sarà la fila per il nuovo gioco World of Warcraft: Legion. Ma torniamo al film.

Draenor, il pianeta degli orchi, sta morendo e lo stregone Gul’dan [Daniel Wu], unisce i clan degli orchi in una temibile Orda, con la promessa di guidarli in un nuovo mondo, popolato da umani: Azeroth. Attraverso un portale magico che mette in comunicazione mondi paralleli, una brigata di guerrieri scelti segue Gul’dan in avanscoperta, per catturare quanti più nemici possibile e nutrire così il Vil, la magia che attiva il portale, una magia che Gul’dan padroneggia per produrre vita ed energia a suo piacimento, ma che, allo stesso tempo esige un orrendo tributo: altre vite, rendendo malvagio il postulato del chimico Lavoiser, alla base della legge della conservazione della massa: “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.

Il pacifico regno di Azeroth è costretto, quindi, ad affrontare gli invasori. Alle prime notizie di attacchi, sir Anduin Lothar [Travis Fimmel], comandante militare del regno di Roccavento, un giovane e curioso mago di nome Khadgar [Ben Schnetzer] e il re di Roccavento Llane Wrynn [Dominic Cooper] consultano Medivh [Ben Foster], il leggendario Guardiano, ma la situazione diventa presto molto più intricata di una semplice battaglia tra imboscate, strategie, tradimenti, indagini parallele, incantesimi e personaggi che tramano nell’ombra.

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Memorabili i personaggi di Durotan [Toby Kebbell], Draka [Anna Galvin] e Orgrim Martelfato [Rob Kazinsky], orchi del Clan dei Lupi Bianchi, unici oppositori interni alla tirannia di Gul’dan. Si aggregheranno all’Alleanza che difende Azeroth o soccomberanno al potere del Vil?

Nella schiera degli orchi si fa notare, poi, Paula Patton, bellissima nei panni della mezza orchessa Garona, la “maledetta”, destinata a non essere accettata perfettamente né dall’una né dall’altra parte, come tutti i mezzosangue… o forse ci sarà un giorno del tenero con il valoroso Lothar? E poi, chi sopravvivrà? A chi apparterrà il pianeta alla fine delle guerre?

«Dalla luce viene la tenebra e dalla tenebra viene la luce».

123 giorni di riprese, interamente girato con le Arri Alexa XT Plus con tanto di lenti Leica Summilux-C ed esportato in formato ARRIRAW da 3.4K per una lavorazione ottimale degli effetti speciali e del 3D, Warcraft è distribuito nelle sale con un’aspect ratio spettacolare secondo il rapporto 2.35 : 1. Cosa vuol dire? Se volete apprezzare appieno degli stupefacenti effetti visivi della celebre Industrial Light & Magic, presenti in più di mille inquadrature, con motion capture e integrazioni digitali fornite dalla stessa Blizzard Entertainment, scegliete un cinema dotato di occhialetti con sensore e non quelli usa e getta!

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Mentre l’eroe di turno vola su un grifone una meravigliosa CGI si sbizzarrisce nel mostrarci un panorama che sembra uscito dalle opere di Fenghua Zhong. Un territorio simile a quello ameno della Contea degli hobbit con architetture cittadine e regali che richiamano l’immaginario medievale di Camelot o, se si vuole, gli scenari del tanto amato Game of thrones, con rimandi palesi alle culture orientali: il luogo del concilio dei sei maghi, il Kirin Tor, assomiglia tantissimo nel nome e nelle sembianze alla Karin Tower del manga Dragonball e, conoscendo il disegnatore Akira Toriyama, non può che trattarsi un rimando ad una qualche leggenda storpiata per l’occasione in un farsesco Karin-Tō” (カリン塔), un gioco di parole per indicare dei popolari dolci al sesamo chiamati Karintō (花林糖).

La pellicola, inizialmente programmata per il 18 dicembre 2015, è stata posticipata per evitare la sovrapposizione di due universi con l’attesissima uscita di Star Wars: Il risveglio della Forza. Verrà distribuita nei cinema statunitensi a partire dal 10 giugno 2016, mentre, in Italia è nelle sale già dal 1 giugno 2016.

«Per Azeroth! Per l’Alleanza!».

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