Viggo Mortensen

Roma FF13 – Incontro con Viggo Mortensen per Green Book

Senza dubbio la più grande sorpresa della 13′ edizione della Festa del Cinema di Roma è stato Green Book di Peter Farrelly, il film che racconta l’amicizia tra un buttafuori italoamericano e un pianista afroamericano nell’America negli anni sessanta. Il film, ispirato alla storia vera di Tony Lip, è stato scritto da suo figlio Nick Vallelonga e ha come protagonisti Viggo Mortensen e Mahershala Ali.

Viggo Mortensen ha presentato il film alla stampa, raccontando il suo rapporto con la famiglia Vallelonga e il lungo percorso che ha seguito per prepararsi a impersonare Tony Vallelonga. “Dalla prima volta in cui ho letto la sceneggiatura – ha detto Mortensen – ho pensato che fosse uno di quei film più completi e meglio scritti che avessi mai avuto tra le mani. Questa storia vera, basata su una grande e inaspettata amicizia, mi ha fatto ridere e piangere al tempo stesso. Per questo volevo essere Tony Vallelonga senza diventare una caricatura, volevo assumerne invece il suo punto di vista, essere fedele al suo spirito, e per questo ho avuto un grande aiuto dalla famiglia Vallelonga. Loro mi hanno accolto, abbiamo passato molto tempo insieme e sono stati di grande ispirazione. Naturalmente abbiamo mangiato tanto, fino a stare male, ma ci siamo divertiti un sacco e ci sono stati anche momenti molto commuoventi”.

Green Book è ambientato negli anni Cinquanta, ma i temi che tocca sono quanto mai attuali e Viggo Mortensen ha messo in luce proprio la sua universalità e il suo spirito senza tempo. “Questo film è speciale perché non ti dice cosa vedere o pensare. È un invito a fare un viaggio e a riflettere sui limiti delle prime impressioni. Le storie come questa sono sempre importanti, e in ogni epoca c’è sempre la necessità e utilità di storie che ci aiutano a diventare meno ignoranti e ad accogliere chi è diverso. L’umanesimo non è un cammino diritto, e spesso ha delle battute d’arresto. Si spera che sia un cammino sempre teso al progresso, ma purtroppo si fanno anche dei passi indietro. Questo momento storico è un esempio lampante. In tutto il mondo si assiste a una crescente crisi dei rifugiati e dell’immigrazione, razzismo, misoginia, ignoranza su razze e religioni. E i leader, che in teoria dovrebbero saperne più degli altri visto che ricoprono ruoli di responsabilità, sono un esempio di grande ignoranza. Per questo Green Book arriva come un invito alla riflessione, e alla consapevolezza che i piccoli gesti possono essere anche più importanti di grandi teorie. E sono questi momenti apparentemente insignificanti a rendere la società quello che è. Per questo vale sempre la pena lottare contro le ingiustizie, anche quando le circostanze sembrano disperate e sembra che nulla debba mai cambiare”.

RomaFF11 – Captain Fantastic, di Matt Ross

Nella città ideale di Platone il potere dovrebbe essere messo nelle mani dei filosofi, gli unici in grado di governare con saggezza per la loro innata sensibilità e curiosità intellettuale. Un’idea senza dubbio avanguardista, che però con il tempo è diventata sempre più vicina un’utopia che a una realtà concreata, visti i ritmi frenetici che travolgono il mondo moderno, svuotato di cultura e governato dalla tecnologia invece che dal pensiero. Solo pochi uomini illuminati riescono a non farsi schiacciare dagli ingranaggi di questo falso potere e Captain Fantastic (Viggo Mortensen) è uno di questi.

Ritiratosi a vita privata nelle foreste del nord America insieme ai suoi sei figli, questo straordinario papà ha scelto di allevare un esercito di re-filosofi, temprati dalla natura invece che dalla televisione, e stimolati alla riflessione sulla vita, alla lettura dei classici, all’ascolto della musica e allo studio delle lingue. La loro vita è quanto più lontano possa esistere dalle convenzioni sociali, dalla celebrazione del Natale, più saggiamente sostituito dal compleanno del linguista Noam Chomsky, a quella dei funerali, che non prevede abiti scuri e tristi riti religiosi, ma canti gioiosi in riva al lago e falò purificatori. Ma per quanto le abilità intellettuali dei ragazzi superino di gran lunga quelle dei loro coetanei, la loro capacità di interazione è inversamente proporzionale alla loro sconfinata cultura, e nel momento in cui si trovano ad entrare in contatto con la società tanto denigrata i loro valori vengono messi in discussione e anche il loro “fantastico” papà inizia a interrogarsi su quali scelte di vita siano preferibili per il bene dei suoi ragazzi.

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L’anticonformismo è sempre un bene? Questa è la domanda Matt Ross pone allo spettatore, invitandolo a riflettere sugli effetti positivi e negativi di uno stile di vita alternativo, completamente basato sul dialogo costruttivo, ma allo stesso tempo precluso al confronto con chi la pensa diversamente. Ed è qui che Captain Fantastic sfugge dalla demagogia per diventare un film che spalanca le porte alla riflessione e punta tutto sull’incontro-scontro tra utopia e realtà in cui non ci sono né vincitori né vinti, solo uomini alla ricerca del modo migliore di vivere.

In questa costante ricerca dell’equilibrio tra libertà del pensiero e conformismo, Ross trova il contrappunto perfetto in una messa in scena eccentrica, che attinge a una tavolozza di colori brillanti ma che ciò nonostante non disciolgono la drammaticità dei contenuti nell’eccentricità, al contrario la esaltano nel contrasto degli estremi. E così Captain Fantastic diventa il punto in cui correnti di pensiero totalmente opposte trovano il loro punto di congiunzione in un mondo ideale ma estremamente concreto.

RomaFF11 – Incontro con Viggo Mortensen per Captain Fantastic

Viggo Mortensen, il Captain Fantastic di Matt Ross, ha presentato il suo ultimo film alla Festa del Cinema di Roma, raccontando il suo rapporto con il personaggio e con il suo stile di vita alternativo.”Quello di Captain Fantastic è uno dei copioni più belli che mi sia mai capitato di leggere. – ha detto Mortensen – La storia di questo personaggio, padre di sei figli, che vive nella foresta lontano dal mondo, è un viaggio emotivo straordinario.  All’inizio dal titolo pensavo si trattasse di un supereroe e in un certo senso lo è per la costanza con cui mantiene il suo stile di vita alternativo e si oppone alle idee conservatrici. Di solito quando scelgo di fare un film non penso al budget in ballo o all’impatto che avrà sullo star system, ma scelgo di far parte di storie che io stesso andrei a vedere al cinema, storie come questa. Forse tra me e il mio personaggio c’è qualche elemento di analogia, perché nella vita mi piace essere onesto  e sono d’accordo con un modello di famiglia basato sull’onestà, sulla curiosità e su un dialogo aperto, ma non sono così estremo. Questo papà si rivolge ai figli piccoli parlando di sesso, morte, e malattie mentali come se avesse davanti degli adulti, io invece sono più cauto con determinati argomenti. Ma ciò che amo di più di questo film è che non ci sono buoni e cattivi, perché tutti amano questi sei ragazzi e tutti in qualche modo sono condizionati dal dolore. Quindi la magia sta nel fatto che tutti attraverso questo viaggio on the road cambiano gradualmente punto di vista compreso il protagonista, che non si piega mai completamente alla società, ma si apre ad uno stile di vita più tollerante”.

I due volti di gennaio, di Hossein Amini

Giano, una delle più antiche divinità romane, è il dio che per tradizione celebra l’inizio delle imprese, aprendo il cammino alla luce che accompagna l’attività umana nel corso della giornata, tanto che il suo stesso nome evoca la porta, in latino ianua, e ha ispirato la denominazione januarius, ovvero gennaio, per il mese che apre l’anno e dà inizio alle stagioni. Il dio dell’apertura è rappresentato con due volti opposti su un solo corpo, uno che guarda verso il futuro e l’altro verso il passato, rappresentando rispettivamente la fine del vecchio e la nascita del nuovo. Queste due fasi della vita in netta opposizione sono incarnate da Chester (Viggo Mortensen) e Rydal (Oscar Isaac), due artisti della truffa che giocano su fronti diversi, l’uno sul mercato azionario americano e sulla vendita di azioni di pozzi petroliferi inesistenti, l’altro sul campo più modesto dell’Acropoli di Atene in cui spilla pochi dollari ai turisti sprovveduti per sbarcare il lunario. Estremamente lontani per cultura e background sociale, rappresentano le due facce di Giano, il tramonto e l’alba della vita, i due lati del sole che orbitano attorno a una dea eterea, Colette (Kirsten Dunst), fatalmente attratta da entrambi. La classe magnetica del marito Chester e il vigore giovanile di Rydal ammaliano questa creatura eternamente insoddisfatta e in cerca di un posto di rilievo nella società, anche al prezzo di una vita eternamente in fuga.

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Queste tre personalità ambigue, scisse tra bene e male e tra un’apparenza rassicurante e sofisticata e una realtà torbida, sono le pedine che gli Dei dell’Olimpo muovono sulla scena dell’Acropoli di Atene. Inevitabilmente attratti gli uni dagli altri, Chester, Rydal e la bella Colette si incontrano e si inseguono nel disperato tentativo di fuggire dal proprio destino, attraversando in lungo e in largo le isole greche, aiutandosi e tradendosi in continuazione per il proprio tornaconto, fino a toccare il punto più basso nel labirinto di sangue e bugie di Cnosso. La realtà iniziale, perfettamente costruita sulla finzione, si sgretola mano a mano che la storia va avanti, così come le maschere di compostezza che indossano i personaggi cadono sotto i colpi di una fortuna avversa, mostrando il loro vero volto al sole bruciante della Grecia. Gli inganni reciproci cambiano il corso della vicenda e le tappe del loro viaggio, scompaginando i progetti e i sentimenti, verso una  sconfitta annunciata che li trascina sempre più in basso, costringendoli ad azioni sempre più immorali.

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Per la sua prima regia, lo sceneggiatore di Drive, Hossein Amini, ha scelto di adattare per il grande schermo lo straordinario romanzo di Patricia Highsmith, I due volti di Gennaio, affascinato dai suoi personaggi bugiardi, truffatori, irrazionalmente gelosi e paranoici eppure dolorosamente umani ed empatici, al punto da suscitare compassione più che indignazione per la loro caduta. Il lato oscuro della natura umana è il tratto caratteristico di questa storia, in cui la mano del regista non si erge a deux ex machina, giudice e artefice del destino dei personaggi, ma diventa complice dei loro errori e  solidale con i loro dilemmi morali fino a condividere le loro paure e i loro tormenti interiori. I colori e sull’aspetto della scena su cui si muovono riflette il loro stato psicologico e la discesa nel loro inferno personale, che dalle vette assolate del Partenone, scende fino ai vicoli bui del Grande Bazar di Istanbul, dove termina la corsa e si sciolgono i nodi di un viaggio rocambolesco, estremamente contraddittorio, in cui nessuno e quello che sembra.