Youth

Youth – La giovinezza, di Paolo Sorrentino

Gli alberghi sono location dal fascino unico, piccoli mondi in cui le vite di persone agli antipodi finiscono involontariamente per intersecarsi e condizionarsi a vicenda, anche solo per colpa di uno sguardo. L’Hotel Schatzalp, la pensione di lusso situata sulle Alpi svizzere che fa da cornice al nuovo film di Sorrentino, non è da meno, e calza come un guanto sul particolare gusto del regista napoletano per gli incontri surreali e simbolici.

Tra le sue stanze alloggiano Fred Ballinger (Michael Caine) e Mick Boyle (Harvey Keitel), entrambi abitué del luogo ed amici di vecchia data. Il primo è un noto compositore ritiratosi dalla vita artistica e rinchiuso in una evidente condizione di apatia; il secondo invece è un regista alla ricerca del finale perfetto per il suo ultimo film, concepito per diventare il suo capolavoro e suggellare in trionfo una intera carriera.  Due personalità caratterialmente distanti, ma vicine nell’incessante ricerca del significato delle cose.

Youth in questo senso si presenta come la naturale conseguenza degli ultimi lavori di Sorrentino, in cui la ricerca intrapresa da Cheyenne in This Must Be The Place, e patita dal Gep Gambardella in La grande bellezza, diventa una questione di prospettiva anagrafica, ristretta qui in un unico ambiente, ma estesa su un micro gruppo di personaggi. La dimensione del set non ferma in ogni caso le consuete virtuosità di macchina del regista e la magniloquenza delle inquadrature, che al contrario vengono amplificate fino al punto di mettere in scena una serie infinita di scene madri, dai dialoghi estremamente carichi ma incartapecoriti come sentenze da baci Perugina.

Tuttavia questo effetto ossimorico sembra voluto e scorre in parallelo con l’infruttuosa caccia alla frase perfetta del personaggio interpretato da Keitel, che non riesce in alcun modo a chiudere la propria sceneggiatura, ma allo stesso tempo è sicuro di avere qualcosa da insegnare dal’alto della sua esperienza. La giovinezza di Sorrentino è uno stato mentale che vive di azioni e spensieratezza, e non è un caso infatti che i momenti più riusciti siano quelli più con i toni più leggeri, quasi da commedia, come quello in cui i due amici si lasciano a bonarie scommesse sul destino degli altri ospiti dell’albergo. Qui allo Schatzalp non ci sono grandi verità da svelare e la scena finale con Michael Caine che si gira verso il pubblico e guarda in macchina rimanendo in rigoroso silenzio, lo dimostra a chiare lettere. Così, come i suoi personaggi, Sorrentino non riesce a confezionare il suo capolavoro definitivo e delude chi si aspettava qualcosa di diverso dallo svelamento di questa piccola/grande verità, ma riesce comunque a realizzare un’opera che aggiunge un tassello coerente al suo percorso stilistico.