È cosa nota e universalmente riconosciuta che trasferirsi in una casa nel bosco non è mai una buona idea, tanto più se la casa in questione è disabitata da anni e avvolta in oscuri misteri. Eppure questo non è bastato per dissuadere Elliot, Sasha e John dal prendere possesso della casa più inquietante d’America, e dal restarci nonostante ci siano tutti, ma proprio tutti gli indizi che una forza maligna regna tra quelle mura scricchiolanti e non vede l’ora di scatenare l’inferno. All’inizio erano solo incubi, porte che si aprivano e richiudevano da sole e oggetti che cambiavano di posto, ma poi la forza diventa sempre più forte, si ciba della paura dei ragazzi ed entra nelle loro vite per distruggerle per sempre.
Per farlo gli basta il suo nome “Bye Bye Man”, la parola magica che scatena l’istinto omicida in chiunque la pensi o la pronunci. Non si può scappare da Bye Bye Man. Lui vive nei meandri più oscuri della mente con il suo cane famelico, si nasconde nell’ombra e salta fuori solo quando il misfatto è stato compiuto. Si ciba di morte, e vive in eterno facendo passare il suo nome di bocca in bocca. Non c’è modo di annientarlo se non “Non dirlo e non pensarlo”, ma basta sentirlo anche una sola volta per non liberarsene mai più, così come accade con qualcosa di cui si ha molta paura, che ritorna ossessivamente in testa quanto più ci si sforza di non pensarla.
Questo è il mantra che accompagna tutto il film, la parola magica in grado di trasformare gli incubi in realtà, e che può colpire chiunque, dalle menti più brillanti a quelle più inconsapevoli, da quelle più sensibili al mondo dell’occulto a quelle più aliene a queste situazioni. Non c’è un antidoto, non basta la furbizia, ed è proprio questo senso di impotenza rispetto al male a generare l’orrore nel film di Stacy Title. Forse molti non sanno che il film si ispira a fatti di cronaca realmente accaduti, a inspiegabili omicidi familiari eseguiti da persone completamente normali, travolte per un istante da una follia inspiegabile. The Bye Bye Man diventa così la figura iconica responsabile della follia omicida, la mano invisibile dietro l’orrore umano.
Eppure dare un volto alla follia non basta per fare un buon film, né tantomeno saccheggiare la cinematografia di genere in cerca di situazioni inevitabilmente sovrapponibili alla vicenda narrata, sforzandosi di ricalcare la figura del boogeyman in una forma nuova. Stacy Title sfiora il bersaglio pur avendo tra le mani uno spunto potenzialmente vincente, per il solo gusto di attardarsi in una serie infinita di cliché, che depotenziano la pellicola della suspense che avrebbe tenuto gli spettatori all’erta fino alla fine. Un’occasione sprecata per uno specialista del genere che avrebbe potuto realizzare qualcosa di davvero innovativo.