Tremate, tremate, la strega è tornata a Dungatar. Bellissima, abbagliante nel suo Dior rosso fuoco, che le fascia i fianchi assecondando le sue curve sinuose, Tilly non desidera altro che sconvolgere la misera vita della comunità e vendicarsi delle ingiustizie subite quando era ancora una bambina. Vent’anni prima infatti gli abitanti di Doungatar l’avevano esiliata dal paese con l’accusa di aver assassinato un suo coetaneo, lavandosi la coscienza prima ancora di verificare i fatti. Ma quell’evento che all’epoca aveva spezzato il cuore della piccola Tilly, è stato quanto mai provvidenziale perché le ha aperto le porte del mondo, salvandola da una pallida vita in campagna, e l’ha trasformata nella donna sicura di sé, creativa e disinibita che è adesso.
Dopo aver lavorato nei più grandi atelier parigini di haute couture, Tilly ha imparato ha maneggiare i tessuti come armi taglienti e usare la sua arte raffinata per modellare il corpo e l’anima delle persone a suo vantaggio, creando guerre e alleanze a colpi di ago e filo. Tutto è cambiato da quando ha lasciato Dungatar, e ora non c’è più nulla che possa spaventarla, né la violenza fisica dei bulli che tiranneggiano il villaggio, né tanto meno le occhiate taglienti delle mogli rispettabili del paese, sempre impeccabili nella loro frustrazione. Al contrario quel villaggio disperso nella steppa australiana è rimasto uguale a come lo ricordava, congelato nel suo bigottismo e felicemente isolato dal resto del mondo nella mentalità come nei costumi sciatti, antiquati e ipocritamente castigati.
Il clima è stagnante, immobile come l’erba secca che avvolge le case, e non appena Tilly si mostra in pubblico in tutto il suo splendore gli animi si infiammano all’istante. Le donne di Dungatar guardano Tilly come una strega, una minaccia, mentre gli uomini ne restano ipnotizzati. La sua vendetta ha inizio nel momento stesso in cui gli occhi curiosi della comunità si posano su di lei, timorosi della sua prossima mossa, anche se questa volta Tilly non ha in serbo spargimenti di sangue, ma colpi al cuore silenziosi, orchestrati ad arte con l’unica arma che possiede: i suoi straordinari vestiti. Queste armonie di seta, pizzi e chiffon sfidano il buon costume locale, rapiscono le donne, catturano gli uomini e hanno il potere distruggere per sempre il fragile equilibrio di Dungatar.
The Dressmaker – Il diavolo è tornato è stato tratto dall’opera prima di Rosalie Ham e portato sul grande schermo dalla regista australiana Jocelyn Moorhouse, che nel suo film ha lasciato intatta l’atmosfera del romanzo, trasformando in immagini l’accuratissima descrizione dei luoghi e dei costumi. Ogni angolo di Dungatar, questo non luogo disperso nel cuore dell’Australia in cui si respirano polvere e ipocrisia, viene raccontato nei più piccoli dettagli nel romanzo come nel film, fino a percepire gli odori, i sapori e quel clima soffocante che censura la bellezza, l’amore e la vita stessa, e che contrasta così fortemente con gli incredibili costumi creati da Tilly, la stilista che viene dal futuro.
La bellezza delle stoffe e la modernità del taglio dei costumi impreziosiscono il film e guidano la linea narrativa della storia, dalla nascita alla caduta del paesino travolto dalla moda parigina, segnando i punti di svolta della narrazione come trasposizione tangibile del talento creativo di Tilly e della sua elegante vendetta. A completare questa sofisticata armonia di contrasti c’è Kate Winslet, dalla bellezza disarmante e perfetta incarnazione della strega-vendicatrice Tilly sul grande schermo, che crea e poi distrugge, dà la vita e poi la toglie, con un solo tocco del suo magico ago. Jocelyn Moorhouse come Tilly toglie il fiato e acceca con la bellezza della sua opera in un deserto di originalità e di storie coraggiose, fino a toccare l’anima di chi si lascia trasportare da questa storia con una mente libera dal pregiudizio, che supera il bene e il male per intravedere la vera essenza degli uomini.