The Judge, di David Dobkin

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Il ritorno alla provincia ed il rapporto difficoltoso padre-figlio sono temi che innegabilmente piacciono molto al cinema americano. The Judge si inserisce senza nascondersi troppo in entrambi i filoni utilizzando due grandi attori quali Robert Downey Jr e Robert Duvall, per raccontare una storia che, pur non spiccando per originalità, ha come punto di forza, oltre ad i suoi interpreti, una regia da manuale che mischia inquadrature canoniche a qualche piacevole vezzo stilistico, rivelando grande attenzione per i dettagli. Emblematica la carrellata iniziale di oggetti che mette in chiaro col minimo sforzo le caratterizzazioni di tutti i membri della famiglia Palmer: una videocamera, una mazza da baseball, un articolo di giornale polveroso e una pianta di ortensie lilla.

JUDGE, THE
La sceneggiatura è caratterizzata dal plot legal-drama che vede come protagonista il brillante avvocato metropolitano Herny Palmer, in lite da anni con il padre Joseph, giudice del piccolo paese dell’Indiana in cui è nato. La morte improvvisa della madre lo costringe a tornare nell’entroterra americano e qui il dramma familiare si intreccia con all’accusa di omicidio che ricade sull’anziano padre, apparentemente colpevole di aver investito con l’auto un uomo la notte seguente ai funerali della moglie. La presentazione rimane comunque la parte migliore della pellicola ed è tenuta in piedi dal solito Downey Jr, che con il suo personaggio sopra le righe ricalca più o meno tutte le ultime figure da lui interpretate, da Sherlock Holmes a Tony Stark, conquistando facilmente la simpatia dello spettatore.

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Quando la trama però entra nel vivo cominciano i problemi. La scoperta della malattia terminale che affligge il giudice Palmer e tutto il processo di riavvicinamento tra i protagonisti si muove su binari fin troppo prevedibili e melensi. Duvall ce la metta tutta per commuovere lo spettatore, ma la sua prestazione viene annacquata da una serie di momenti ridondanti, che avrebbero giovato di qualche sforbiciata nelle due ore e mezza di durata. Sintomatica anche la ripetizione della bella “Holocene” di Bon Iver, colonna sonora delle scene più intense utilizzata in più di un occasione.
Oltre alla monotonia, non mancano poi i luoghi comuni tutti fedeli al moderno american style: dalla bandiera che inneggia alla nazione, alle ex fidanzate ancora innamorate, ai fratelli giocatori di baseball, fino alle bambine perfette che non fanno altro che sorridere. Di certo si tratta di un esempio di cinema con poche sbavature nella sua confezione e che mira alle lacrime di un grande pubblico, ma per mancanza di coraggio e di inventiva difficilmente rimarrà impresso nella nostra memoria.

Marco Nicoli

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