Un anno senza te, di Luca Vanzella e Giopota

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Quando essere lasciati sembra essere l’unico modo per trovare se stessi.

Quante banalità si dicono a un amico che ha appena rotto una relazione? Possono essere frasi giustificate o meno dalla sanità del rapporto in cui era invischiato, ma in ogni caso si prova sempre a lenire le ferite con quelle che, spesso, si dimostrano banalità “dai esci, chiodo schiaccia chiodo” , “solo il tempo riuscirà a fartelo dimenticare” , “la verità è che non ti merita davvero” (ma sua quale sia la verità Ken Kwapis ci ha girato una commedia romantica per certi aspetti illuminante). Antonio, come chiunque abbia vissuto quest’esperienza, lo sa: immaginarsi lontano da Tancredi è uno strazio, figuriamoci concepire la propria vita senza di lui a un anno di distanza. Cade nell’ennesima missione d’amore della sua vita, dandosi anima e corpo all’uomo sbagliato e investendo tutto se stesso in un rapporto a senso unico, dove l’ultimo DJ di turno è in grado “dopo appena sei mesi” come gli urla in faccia per scuoterlo il coinquilino Zeno di lasciarlo a pezzi e senza nemmeno la forza di riattaccarli.

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Un anno senza te sembra la solita storia di amore infranto a cui la televisione, il cinema e secoli di letteratura ci hanno abituato. Verrebbe quindi da chiedersi cosa aggiunge di nuovo a questo filone.

Io dico che aggiunge TUTTO.

In primo luogo il tono del testo non è mai triste; la trama della storia è tessuta fittamente di ironia e leggerezza e per questo il fumetto non assume il ruolo di mezzo con cui amplificare il proprio lutto da rottura, ma diventa le lente d’ingrandimento grazie alla quale capire meglio le profonde pieghe del proprio animo. Antonio, del resto, è un giovane laureando e come tale sta attraversando uno dei periodi più difficili e mutevoli della propria vita. Anche una fase di transizione così importante, grazie all’ironia e alla levità del testo, viene, paradossalmente, scandagliata in molti dei suoi aspetti, spingendo il lettore di qualunque età a rimanere completamente coinvolto non solo nelle vicende di Antonio (chi, del resto, non ha mai avuto il cuore a pezzi?), ma di tutti gli studenti della grassa Bologna che appaiono nella storia, direttamente o indirettamente coinvolti nella vita del protagonista. Sono tanti i temi trattati (non approfondisco nemmeno l’omosessualità perché è presentata con la naturalezza che le spetta e, quindi, non risulta particolare), ma tutti appaiono dignitosi e mai banali: disabilità, precarietà, nepotismo accademico, insicurezze per il futuro.

In secondo luogo il disegno di Un anno senza te è tra i più puliti e rilassanti delle ultime mie letture, dove le scale cromatiche sono accostate con sapienza e abilità, le architetture sono definite con precisione quasi maniacale e la suddivisione delle tavole accompagna i sentimenti che scorrono nel testo, spingendo a sfogliare una pagina dopo l’altra senza rendersi conto di come aver raggiunto la fine.

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In terzo luogo la scelta geniale degli autori di Un anno senza te – che, per inciso, sembrano essere due mani sole, talmente coerenti risultano i loro stili di disegno e sceneggiatura – di fondere il realismo prosastico delle giornate passate a spulciare tomi di epigrafia per studiare i Santi dimenticati in preparazione alla tesi di laurea con un’ambientazione surreale e fantastica, in dosi così equilibrare da far apparire normale che cadano conigli bianchi al posto dei fiocchi di neve o che la meta più ambita per l’Erasmus sia Atlantide. Non c’è alcuno stacco straniante tra queste due dimensioni che, tra l’altro, accentuano la levità di Un anno senza te. I due piani si fondono con estrema naturalezza al punto da chiedersi se chiunque, in una fase così complicata e contorta della propria esistenza (e non soltanto perché è stato appena mollato) non tenda a vivere in un proprio mondo, parallelo a quello reale ma autonomo rispetto al primo, in cui è la fantasia a vincere sui turni con i coinquilini per pulire l’appartamento condiviso.

Un modo per sopravvivere? Forse. Io leggo più una tappa obbligata da attraversare per capire meglio se stessi. Poco importa se fatta di cinque, dodici o cento mesi. Prima o poi il mondo non sarà più lo stesso o come lo ricordavi. E lo stesso vale per i lettori di Un anno senza te.

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