Villa dolorosa – Tre compleanni falliti, di Rebekka Kricheldorf

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La giovane drammaturga tedesca Rebekka Kricheldorf prende per mano Cechov e la sue “Tre sorelle” per dar vita a Villa Dolorosa, riscrittura delle dinamiche familiari dalle battute irriverenti e audaci. Uno spettacolo in tre atti in cui il tempo scorre solo parallelamente ai protagonisti, sfiorandoli appena, ricordando loro quel tanto che basta per avere rimpianti, piangersi addosso, autocommiserarsi.

Irina, irrequieta e irrisolta, festeggia tre compleanni, ma l’immobilità della vita che si consuma tra le mura della villa fatiscente le regala solo una spirale di battute ripetute, scene già vissute, dinamiche interpersonali messe in piedi così tante volte da essere logore. E all’interno della spirale cadono tutti i protagonisti, incapaci di reagire veramente, inadatti ad afferrare la vita che fuori trasforma il mondo ma che lambisce appena la loro casa.

Solo il giardino muta, investito dal tempo che si arresta contro le mura impenetrabili della villa come un’onda sugli gli scogli. Villa Dolorosa è una bolla, una cellula solitaria che non si aggrega alle altre. Olga, Irina, Mascha e Andrej non solo vivono nell’edificio decadente ereditato alla morte dei genitori, ma ne fanno parte come le assi sconnesse e gli intonaci scrostati. La grande finestra del salotto, unico punto di contatto con il fuori, è l’oblò di una navicella spaziale che fluttua senza mai atterrare completamente, sospesa tra decadentismo e snobismo.

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La membrana semipermeabile che separa le tre sorelle e il fratello dall’esterno non permette osmosi completa. Il mondo non penetra la barriera se non con radi frammenti umani, Georg e Janine, che per un attimo, solo per un attimo, sembrano in grado di rimandare ai quattro fratelli la loro vera essenza, l’immagine riflessa che non vogliono vedere e accettare. Olga disprezza il suo lavoro e la carriera in ascesa e si avvolge nella coperta della solitudine, Irina rifugge dal vuoto e dalla banalità e vaga alla ricerca di qualcosa che la faccia sentire viva, Mascha cerca la vita e il contatto esterno ma si tira indietro non appena questi si fanno troppo prossimi, Andrej attende l’ispirazione per completare il suo romanzo e si perde in una relazione senza uscita. I quattro fratelli cercano solo apparentemente di fuggire dal cerchio in cui sono rinchiusi, tentano di afferrare le mani esterne di Georg e Janine che si protendono verso di loro, ma le dita dei quattro fratelli non si serrano mai completamente attorno a quella possibilità e la lasciano scivolare via, fino a vederla dissolta nel mondo esterno.

I tre compleanni falliscono perché fallisce il tentativo di vivere fuori dai propri orizzonti, di togliersi di dosso la polvere dell’abitudine. Nei tre atti i vestiti non mutano per nessuna delle tre sorelle perché non cambia la vita con cui li intessono, e alla fine indosseranno solo la camicia da notte, simbolo dell’immobilità e del torpore rassicurante che non vogliono lasciare. Ad adattare il testo di Rebekka Kricheldorf è Roberto Rustioni, anche regista e attore dello spettacolo. Al suo fianco Federica Santoro, Eva Cambiale, Carolina Cametti, Emilia Scarpati Fanetti, Gabriele Portoghese della compagnia teatrale Fattore K.

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