Wasted di Kate Tempest, regia di Giorgina Pi

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Non sprecare la vita. Non lasciare passare gli anni arrancando in una routine indigesta, che corrode lo stomaco e ingiallisce il volto. Non vivere neanche un altro giorno essendo chi non vuoi. “Hold your own”, resta te stesso, dice Kate Tempest, famosa rapper, live performer, poetessa e scrittrice inglese, nell’omonima raccolta di poesie e lo ribadisce in Wasted, traducendo il messaggio da parola in musica, corpo, voce dei tre personaggi che animano la scena. Archetipi di una generazione delusa e stanca, che ha visto il suo talento sprecato, proprio come il tempo passato ad inseguire i propri sogni.

Due uomini e una donna, amici dall’infanzia, si ritrovano a commemorare l’amico scomparso dieci anni prima nella sala prove che ha fatto da sfondo a tutta la loro giovinezza, e che odora ancora di rock, erba e birra scadente. Un po’ come le loro vite. Non sono divenuti nulla di neanche lontanamente simile a quello che sognavano, sono le ombre delle loro proiezioni mentali, i fantasmi di loro stessi. Anestetizzati dalle droghe per sentire meno il male di vivere, si trascinano in lavori che detestano e relazioni sentimentali fallimentari, in attesa dell’epifania o dell’idea geniale che squarciando il buio li risvegli dal torpore.

Finalmente il momento di cambiare è arrivato, è qui e ora sul palcoscenico della vita. Il tempo a disposizione dei personaggi è quello di una notte, in cui i flussi di coscienza fatti di rimpianti e buoni propositi si alternano a pezzi rock arrangiati e interrotti mille volte, tentativi mancati di essere finalmente se stessi. Giorgina Pi porta la Londra di Kate Tempest in un tempo e un luogo sospesi, una waste land che potrebbe essere ovunque, ma che tanto somiglia alla nostra esistenza, un deserto dove non si è mai abbastanza giovani e mai abbastanza vecchi, e di sicuro non si è mai all’altezza.

Tuttavia, in antitesi con questa dimensione astratta, la lingua, scaturita dalla brillante traduzione di Riccardo Duranti, è estremamente concreta, contemporanea, viva e più che mai incisa nel tempo presente. Ed è proprio questo che rende quest’opera universale, una commistione di musica, parole e sofferenza tagliente, che tocca tutti, li attraversa e li incita alla rinascita nel cammino verso catarsi finale.

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