Nell’ottobre del 1994 tre ragazzi scompaiono nel bosco di Burkittsville nel Maryland mentre girano un documentario sulla famosa Strega di Blair. Un anno dopo il video viene ritrovato in un punto imprecisato del bosco ma dei ragazzi non c’è nessuna traccia. Le immagini girate sono agghiaccianti. Il video traballante, sgranato e quasi indecifrabile in alcuni punti, mostra i ragazzi in fuga da una presenza oscura, che li insegue attraverso il bosco fino a una casa abbandonata, poi la videocamera si spegne e da lì in poi è il buio. Il video nel 1999 arriva sul grande schermo come il primo found footage mai prodotto e The Blair Witch Project di Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez diventa un successo mondiale, grazie anche all’abile campagna di marketing che crea un alone di mistero attorno al ritrovamento del video e alla spaventosa Strega di Blair.
A distanza di un anno, con l’illusione di cavalcare il successo del primo film, il regista Joe Berlinger tenta un sequel, Il libro segreto delle streghe – Blair Witch 2 ma il risultato è disastroso. Da allora il mistero della Strega di Blair è finito nell’ombra, fino a che Adam Wingard non ha deciso di riesumare le leggende sul bosco di Burkittsville e farne un nuovo film, ambientato diciassette anni dopo il primo, e con al centro della storia James, il fratello di Heather Donahue, una delle ragazze disperse e mai più ritrovate.
James parte alla volta del bosco maledetto alla ricerca della sorella con un gruppo di amici, accompagnati dai due ragazzi che hanno ritrovato il video incriminato, tutti rigorosamente equipaggiati con videocamere e droni di ultima generazione. La missione è riportare a casa Heather riprendendo ogni istante del viaggio, con la consapevolezza dei pericoli che si nascondono nel bosco e tutti gli strumenti necessari per non cadere negli stessi errori dei ragazzi che li hanno preceduti. Le regole sono semplici: non accamparsi nel bosco di notte, non guardare la strega negli occhi, e non allontanarsi mai dagli angoli della casa, ma come da tradizione i ragazzi le violano tutte in una manciata di minuti e ne pagano le conseguenze a caro prezzo. Dopo tutto non esiste bosco stregato da cui un gruppo di campeggiatori possa uscire illeso, e anche in questo caso il male non si fa attendere e appena cala il sole come da copione entra in scena per spaventarli, farli uscire di senno e ucciderli uno dopo l’altro.
Se l’intenzione di Adam Wingard era fare un sequel del primo film non è di certo riuscito nell’impresa, visto che Blair Witch sembra piuttosto un remake, o meglio il remake di tutti gli altri found footage che dopo The Blair Witch Project hanno intasato il cinema di genere con risultati sempre piuttosto insipidi. Perché se alla fine degli anni ’90 questa tecnica poteva apparire innovativa, ora lo spettatore non è soltanto abituato a film low budget girati con la camera a spalla, ma saturo del genere, visto che il found footage è stato declinato in ogni maniera possibile passando dalle case infestate, agli esorcismi fino agli slasher. E Blair Witch non ha nulla di nuovo da dire, e non può fare altro che replicare le situazioni che nel primo film facevano più paura, con la differenza che il tempo ha cambiato la percezione comune dell’orrore e quello che prima faceva rabbrividire ora non fa altro che portare alla mente i teneri ricordi adolescenziali legati alla Strega di Blair.