Brandon Larracuente

Baywatch, di Seth Gordon

Spiagge assolate, corpi statuari e un’abbondante dose di trash. In poche parole, ecco quello che ci si deve aspettare da “Baywatch”, ultimo prodotto di casa Paramount. Nelle sale italiane dal 1 giugno, “Baywatch” riprende – grosso modo – situazioni e personaggi della nota serie Tv che dal 1989 al 2001 ha fatto sognare generazioni di spettatori (uomini, per lo più), alla ricerca di belle bagnine bionde che corrono al rallentatore sulla battigia.

Il film di Seth Gordon si apre con un’improbabile sequenza di salvataggio, messo in piedi dal super bagnino Mitch Buchanan interpretato da Dwayne Johnson, che dà subito sfoggio di quello che sarà il suo personaggio. Sin dal primo momento il film pone lo spettatore davanti a una scelta: ridere dell’esagerazione assoluta del racconto o sbuffare davanti all’ennesimo blockbuster confezionato su un brand di facile richiamo.

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La pellicola segue una trama piuttosto pretestuosa, che sembra avere il solo scopo di mettere in fila quei cinque volti noti dello star system americano, per mostrare al pubblico i loro bei corpi oliati. Siamo a Emerald Beach, dove il bagnino Buchanan deve fare i conti con un nuovo traffico di stupefacenti, le cui dosi sono tutte perfettamente e inverosimilmente imbustate, con tanto di logo per renderle riconoscibili e rintracciabili. Allo stesso tempo, però, si avvicina un giorno importante per la categoria dei salvatori dell’oceano: le selezioni per le nuove reclute dei Baywatch. In questa giornata campale, decine e decine di giovani aspiranti Mitch Buchanan si prodigano in prove ai limiti del possibile pur di arrivare a indossare il mitico costumino rosso e entrare in squadra.

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In questa occasione, facciamo la conoscenza con Matt Brody – uno Zack Efron che ha conservato, più o meno, il faccino d’angelo dei tempi di High School Musical montandolo, però, su un fisico da culturista ai limiti dell’imbarazzo. Matt è un ex campione olimpico, condannato ai servizi sociali per cattiva condotta (per aver bevuto e vomitato in piscina): arrogante e sfacciato, Efron guadagna il ruolo di co-protagonista insieme a Johnson, mettendo in piedi un teatrino godibile all’inizio, estenuante e banale fino alla fine. Tra i due, che continuano a battibeccare al ritmo di plurime variazioni sullo stesso tema, le belle bagnine messe insieme sulla base di una certa par condicio cromatica: la bionda Kelly Rohrbach, la bruna Alexandra Daddario e l’esotica Ilfenesh Hadera. A chiudere il cast principale, Jon Bass – Ronnie, che si fa carico del cliché del nerd dal grande cervello e dalla grande sfiga – e la cattivissima e bellissima Victoria Leeds, dal volto perfetto di Priyanka Chopra.

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Dopo un primo atto straripante di gag e allusioni meta-cinematografiche in cui i personaggi sembrano essere consapevoli di far parte di un reboot caricaturale di una serie cult, la storia prende la (strana) piega di un’indagine poliziesca. Dosando rallenty da cinema d’azione e una colonna sonora da beach party, i sei bagnini più fighi d’America si atteggiano a detective, lasciando la spiaggia per il patinato mondo dello spionaggio. Tra esplosioni, scazzottate, abiti provocanti e salvataggi improbabili, la storia si trascina verso il finale, per il sollievo dei muscoli di Dwayne Johnson e del pubblico. Di positivo, c’è che in Baywatch nessuno si prende sul serio, compresi gli storici interpreti della serie – David Hasselhoff e Pamela Anderson – che si prestano a dei cammei piuttosto simpatici. Altra nota positiva, per chi apprezza la commedia demenziale, la raffica di battute e di belle donne, uno dei pochi motivi per cui qualcuno potrebbe uscire soddisfatto dalla sala.

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Nessuno si aspettava un film intellettuale, questo è certo, ma anche il trash è un’arte e,come tale, richiede un certo sforzo. Qui, non si brilla neanche per comicità di serie B, dal momento che le gag migliori hanno quasi sempre qualcosa di già visto (la scena dei genitali di Ronnie incastrati nella sdraio è tale e quale all’incipit di “Tutti pazzi per Mary”, vero capolavoro del genere). Il trash funziona quando le sue battute diventano patrimonio collettivo della comunità di spettatori, che le ripetono all’infinito ridacchiando sotto i baffi: ci sono forti dubbi sul fatto che qualcuno ricorderà la verve comica di  Dwayne Johnson o i tempi comici di Zack Efron, o – tanto meno – quello che si sono detti in 116 minuti di film.