Brooklyn Dreams recensione

Brooklyn Dreams, di Glenn Barr e J.M. DeMatteis

“I sensi sono limitati. La memoria è fallace. Credo che nell’attimo in cui le parole escono dalla nostra bocca creiamo qualcosa di totalmente diverso dalla verità” … “Quindi facciamo un patto, voi vi sedete, vi rilassate, mi date un po’ del vostro tempo libero ed io vi racconterò un po’ di bugie sulla mia vita”.

Qual è il senso della vita, il perché delle cose, dove si trova il tassello mancante per capire tutto quello che ci circonda? Sono domande che possono diventare un ossessione. E così è stato per il giovane J.M. DeMatteis, o forse semplicemente per il protagonista del suo racconto, Vincent Carl Martini. Identità fittizia o meno, autobiografia o esercizio di stile, le differenze non sono in realtà così distinguibili e fondanti.
Il più o meno condivisibile pensiero dell’autore viene messo in chiaro ed in scena già dalle prime pagine di un monologo lungo un libro, che ha la forma di un teatrale di un one-man show. “I sensi sono limitati. La memoria è fallace. Credo che nell’attimo in cui le parole escono dalla nostra bocca creiamo qualcosa di totalmente diverso dalla verità” … “Quindi facciamo un patto, voi vi sedete, vi rilassate, mi date un po’ del vostro tempo libero ed io vi racconterò un po’ di bugie sulla mia vita”. E DeMatteis senza il minimo dubbio è un grandissimo narratore di bugie.

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Le pagine di Brooklyn Dreams scorrono che è un piacere in un continuo incastro di digressioni infilate ad arte le une dentro le altre, eppure la lettura è semplice e coinvolgente. Merito senza dubbio di una prosa efficace, mai pedante e giocata su tantissimi livelli di racconto, ma praticamente mai sul dialogo. È sempre il narratore a parlare (in scena) con un interlocutore fittizio (i lettori/spettatori), aggiustando i tempi narrativi nel modo che più gli è congeniale per attirare l’attenzione: dosando le pause, rifiatando, facendo recitare il “volto” e concedendo mano a mano le succose esche che portano avanti il racconto biografico (i segreti nascosti tra le mura domestiche, inseguimenti con la polizia, funerali finiti in rissa…) mentre l’autore si sbizzarrisce in riflessioni su vita morte e significati del divino.

L’apporto di Glenn Barr nel mettere su carta le immagini diventa fondamentale. Eclettico e al servizio della narrazione, il suo tratto pur non essendo particolarmente appariscente riesce a trasformarsi a seconda delle esigenze da tratti spigolosi a dolci pennellate. Accurati acquerelli, spigolose caricature, abbozzi di matita o acrilici, il registro dell’autore è più che vasto e calza a meraviglia sui cambi di ritmo di DeMatteis.

Il limite profondo di Brooklyn Dreams però è insito nel suo tema. La descrizione di un’epifania è una cosa fin troppo personale ed intima, anche per un narratore di razza, e il finale non può che lasciare un amaro in bocca laddove il protagonista abbandona inevitabilmente il proprio interlocutore a se stesso, schiavo della struttura biografica e di questioni di contorno che non vengono volutamente  chiarite.

M.N.