C’è un filo rosso che lega, fino ad avvilupparli con forza, i protagonisti del romanzo Neraluna di Carla Fortebracci, edito da Watson Edizioni. Lo spago, quasi un cappio al collo, è un’antica profezia che ha percorso in sordina gli ultimi secoli e ora procede a grandi falcate per raggiungere il compimento. A essere fagocita da questo destino vischioso è Valeria, una donna a cui la vita non ha regalato nulla, se non un marchio invisibile che la rende una pedina fondamentale sulla scacchiera tra il bene e il male. Ad affiancarla e proteggerla c’è Roy, un capitano dei ROS aitante quanto capace, che alterna fascino a intuizione e con il quale la passione trova un nuovo sbocco e un nuovo senso d’essere.
Neraluna discende nelle viscere di un male antico, vergato su vecchi tomi, inciso sulla pietra, scolpito nella vita di uomini e donne che lo preservano e lo adorano fino a sacrificare l’ultima stilla della loro umanità. Valeria e Roy vengono inghiottiti dalla voragine nera di una setta sanguinaria, tra i vicoli nauseabondi di una Calcutta dimenticata, tra i paesaggi naturali e mistici di Ischia, fino alle rovine di una Roma antica ma non sopita. I fili appiccicosi del sovrannaturale si attaccano al corpo dei due protagonisti come fitte ragnatele, mentre attorno a loro il gorgo diventa sempre più rapido e fagocitante.
Carla Fortebracci dimostra il suo interesse per il paranormale e ci tiene a rendere edotto anche il lettore, ma talvolta alcune spiegazioni sembrano forzate, incastrate nelle bocche di personaggi senza risultare credibili. La trama di Neraluna alterna, a mio dire, spunti interessanti a troppi cliché che rendono le pagine senza pathos, prive di un vero richiamo. La storia d’amore tra Valerie e Roy, ad esempio, sa di già visto, già gustato e risulta priva di un vero sapore, sciapa. La nota dolente, però, risultano essere i dialoghi. Una delle regole dei grandi scrittori è quello di rileggere a voce alta i dialoghi dei libri per assicurarsi che suonino veritieri e credibili. In Neraluna sono troppi i punti esclamativi che stonano, il lessico o i modi di dire che suonano desueti o non pertinenti con il personaggio che li pronuncia.
Il romanzo della Fortebracci risulta una lettura facile, senza troppe pretese, adatto per chi è appassionato di sovrannaturale senza voler rinunciare alle storie d’amore.