Donnie Yen

Mulan, di Niki Caro

Leale, impavido, sincero. Queste sono le virtù di un guerriero dell’esercito imperiale cinese, integro e fedele ai suoi valori fino alla morte. Questi sono i tre capisaldi su cui si fonda l’addestramento di un uomo alla guerra, in una Cina in cui violare la legge poteva costare la morte o peggio la perdita dell’onore al cospetto della famiglia e di tutto il Paese. Questo è il rischio che corre Hua Mulan, una giovane donna che sfugge al suo destino di angelo del focolare per arruolarsi nell’esercito travestita da uomo e, grazie al suo coraggio e agli onori guadagnati sul campo entrare nella storia della Cina.

A narrare le sue eroiche imprese è una ballata tradizionale, la cui versione più nota è un poema che risale all’epoca Wei (tra il 386 e il 538 d.C.) che ha come protagonista una donna che si arruola nell’esercito al posto dell’anziano padre, quando l’imperatore chiama alle armi “i figli della Cina” per arginare l’invasione delle feroci tribù nomadi. Nascondendo la sua vera identità, Hua Mulan impara le arti marziali e l’uso della spada fino a diventare uno dei guerrieri più abili dell’armata settentrionale, a essere nominata comandante e ricoperta di onori anche quando il suo travestimento cade.

Da qui parte Niki Caro per il suo live action di Mulan, più vicino all’antica ballata che al film d’animazione Disney del 1998, entrato nella memoria per l’ironia scoppiettante con cui riusciva a raccontare un dramma esistenziale ricco di valori come l’onore cavalleresco e la devozione alla famiglia. L’intreccio è quasi sovrapponibile e segue il “viaggio dell’eroe” della giovane Mulan, da sposa mancata a guerriero, passando per tutte le prove che deve affrontare, dall’abbandono della casa paterna all’addestramento nell’esercito imperiale durante il quale deve gelosamente custodire la sua identità femminile per non essere giustiziata per alto tradimento.

Eppure, per quanto il suo cammino sia irto di insidie, tra cui il feroce Bori Khan, la strega Xianniang, e il suo stesso esercito, pronto a voltarle le spalle una volta svelata la sua vera identità, Mulan trova se stessa solo sul campo di battaglia, ed è più abile con la spada che a versare il tè come si conviene a una futura sposa. Ed è proprio l’affermazione della sua identità in quanto donna-guerriero e della dignità del suo ruolo e del suo valore all’interno dell’esercito, a prescindere dal sesso o dagli abiti che indossa, che ancora una volta fanno di questo personaggio un’eroina estremamente moderna.

Il suo coraggio trascende la legge, il pregiudizio e la tradizione e la sua lotta per essere accettata nella sua natura di combattente, non solo dalla sua famiglia e dal suo villaggio, ma da tutta la Cina, diventa esemplare, a prescindere dall’epoca in cui la sua storia viene proposta, che sia in una ballata cinquecentesca, in un film d’animazione degli anni ’90 o in un live action infarcito di effetti speciali di ultima generazione. Eppure, senza nulla togliere all’eccezionalità del personaggio che basta da solo a scrivere la sua storia, la chiave narrativa scelta da Niki Caro per il suo Mulan non riesce a dare al live action lo stesso dinamismo che aveva il film d’animazione né la stessa freschezza. Spogliato della sua ironia, dei brillanti personaggi collaterali, e della musica, che accompagnava anche le scene d’azione, così come le sequenze più drammatiche, questa versione di Mulan sembra riportare alla luce una storia già nota senza aggiungere a questo viaggio per l’emancipazione nulla di innovativo, se non pochi sprazzi di magia che da sola non basta a rendere quest’opera memorabile.