Elda Alvigini

Liberi tutti, di Elda Alvigini e Natascia Di Vito

Quante cose si possono scrivere sulla separazione? Tutti almeno una volta nella vita l’hanno sperimentata, a cominciare dalla nascita, quando si lascia il tepore del ventre materno per affacciarsi alla vita. E quello è solo l’inizio di una serie infinita di separazioni, sempre traumatiche, sempre dolorose. Sembra quasi che l’uomo non sia in grado di lasciar andare, di mollare l’ancora per salpare verso una nuova vita, libera dal passato per far spazio al futuro. Così si finisce per restare giornate intere appesi ad un messaggio che non arriva mai,  e a piangere per mesi e mesi devastandoci e devastando chi ci sta intorno per un amore perduto, per poi tornare a sorridere di quello che ci ha fatto soffrire così tanto.

Valerio e Marius foto di scena di barbara ledda
Il copione è sempre lo stesso e vale per gli uomini come per le donne. L’unica cosa che cambia è la reazione al dolore, che varia dall’annegamento nel divano in un mare di pizza e serie tv, allo shopping compulsivo, dalle urla al pianto, dalla vendetta all’autocommiserazione. La sofferenza da separazione può essere declinata all’infinito e Liberi tutti, di Elda Alvigini e Natascia Di Vito prova a esplorare l’essere umano proprio nell’istante in cui è costretto a lasciare andare una parte di sé per iniziare una nuova vita. A cominciare dalla più banale delle separazioni, ovvero la fine di una storia d’amore, lo spettacolo si sposta su un piano più profondo, mettendo in scena la perdita di un amico, di un ideale politico in cui sperare, e della propria terra, che subisce chi scappa dalla guerra o dalla fame.

june e marius foto di scena di barbara ledda

In una scenografia essenziale, l’essere umano è al centro dell’attenzione con tutto il suo bagaglio emotivo, in un contesto universale disegnato apposta per accogliere chiunque e in ogni luogo. Brillante nei colori e nei testi, Liberi tutti vuole ridere delle ossessioni umane, ma allo stesso tempo far emergere la leggerezza dei piccoli malesseri quotidiani rispetto a situazioni storico-politiche molto più complesse in cui il dolore diventa motore di cambiamento, di libertà. L’unico modo per essere liberi davvero è trasformare lo strappo, la rottura e la perdita nella possibilità unica di trasformare il male in bene, e di costruire una nuova identità sulle macerie della vecchia, così come fanno quei piccoli grandi eroi che ogni giorno attraversano il mare per morire e rinascere in una nuova terra.

Elda Alvigini foto di scena la nuotatrice-foto di barbara ledda-703284