Al Teatro Vittoria fino al 28 maggio va in scena Elettra, nella versione scritta nel 1904 da Hugo Von Hofmannsthal. Con la regia di Giuliano Scarpinato, lo spettacolo fa parte della rassegna “Salviamo i talenti – premio Attilio Corsini”, vetrina pensata per valorizzare i giovani professionisti del teatro.
La scena si apre su un banchetto, al quale siedono tronfi e squallidi il re e la regina di Micene, Egisto e Clitemnestra. Serviti dalle schiave del palazzo, che svolgono la funzione di coro classico, marito e moglie vivono macchiati della colpa del tradimento e dell’assassinio dell’antico re della città e consorte di Clitemnestra, Agamennone.
Von Hofmannsthal prende spunto dalla mitologica principessa greca, a cui hanno reso omaggio – in età classica – Sofocle e Euripide e che ha affascinato successivamente anche scrittori come Gabriele D’Annunzio e Marguerite Yourcenar. La tragedia di Elettra è un dramma tutto al femminile, in cui il rancore avvelena in maniera irreparabile il rapporto tra madre e figlia. I momenti più intensi dello spettacolo del Vittoria, difatti, sono quelli che vedono sul palco la protagonista Giulia Rupi e le sue controparti femminili, Clitemnestra – interpretata da Elena Aimone e la sorella Crisotemi (Eleonora Tata). Con ognuna di loro Elettra nutre un conflitto esasperato dalla sete insaziabile di vendetta verso gli assassini di suo padre: mentre, però, di Egisto ella ha una considerazione quasi nulla, nei confronti dell’adultera e sanguinaria genitrice, non c’è alcun spiraglio di perdono. Al contrario, Elettra cerca in Crisotemi una complice per i suoi propositi vendicativi, ma non può fare a meno di disprezzarla per il suo carattere remissivo. In nome del padre, Elettra ha sacrificato ogni afflato di femminilità, bruciando sull’altare del lutto la sua bellezza, la sua fertilità e il ruolo di futura sovrana. D’altra parte, non è un caso che Von Hofmannsthal scriva nella Vienna di Sigmund Freud, dove si iniziavano a paragonare le psicosi familiari agli archetipi della tragedia greca: si dice complesso di Elettra quell’attaccamento morboso delle figlie nei confronti del padre. Sarà, dunque, questo amore disperato a investire Elettra dell’ingrato compito di paladina della giustizia e di martire della causa paterna, condannata a una danza della morte talmente vorticosa da consumarne il giovane corpo.
La protagonista Giulia Rupi colpisce il pubblico grazie alla sua fisicità magnetica e, sopratutto, con la sua interpretazione in grado di essere, contemporaneamente, profondamente sensuale e violentemente delirante. L’attrice riesce a gestire un personaggio difficile, riempiendo la scena con un carisma fresco e libero da sovrastrutture e tecnicismi. L’atmosfera generale riconduce a una dimensione sospresa nel tempo, contaminata sia dalla matrice classica della storia, sia alla sua riscrittura primo novecentesca. Questo è evidente dalla scelta dei costumi di Dora Argento, raffinati e evocativi, e dalla scenografia. Interessante la scelta del regista di proiettare sul fondo alcuni filmati, nei momenti cruciali del ricordo: con questo espediente, lo spettatore è condotto nell’intimità familiare della casa reale micenea, aumentando il pathos della tragedia in corso a palazzo.
Uno spettacolo coinvolgente, che appassionerà sia i cultori del classico, sia chi apprezza il teatro contemporaneo, grazie a una scrittura resa con passione e una regia suggestiva.