Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi.
Un detto che calza quasi a pennello con l’ambivalente figura di Francesco, santo nazionale ma prima frate di un ordine “minore” nell’essenza e nella dimensione mistica. Una vita battuta da molti biopic sia cinematografici che televisivi (Fratello sole, sorella luna di Franco Zeffirelli al Francesco con Raoul Bova di Michele Soavi), spesso concentrati sulle fasi umane e delle scelte di un uomo che abbandondando la via che la vita aveva pensato per lui ha, in fondo, abbandonato una via storica per intraprenderne un’altra, diversa e rivoluzionaria. Propria questa nuova via battuta dal santo non era mai stata al centro di una pellicola e Il sogno di Francesco, interpretato da Elio Germano approdato all’ennesimo (rischioso) ruolo drammatico profondo e storico, ha primariamente (e forse unicamente) il merito di raccontare una storia ai più sconosciuta. Il film non è tanto il biopic sul santo umbro, ma il racconto dell’incrinarsi di un’amicizia, del consumarsi del tradimento tra Francesco l’utopista ed Elia da Cortona il pragmatico. Quest’ultimo (interpretato da Jeremy Renier) si affannerà per l’intera esistenza, buona parte passata dietro la tonaca di Francesco, a fargli modificare la “Regola” per essere accettati più facilmente da papa Innocenzo III e fare in modo che, finalmente, Francesco e i suoi discepoli non vivano più ai margini della società.
«Il sogno di Francesco è un’avventura sentimentale e politica e queste due cose ne fanno una sola – hanno spiegato i registi – All’opposto del potere dominante, Francesco reinventa una vita libera, spogliata da ogni attaccamento materiale, che rimette il bisogno dell’altro al centro di tutto, cosa che per l’epoca costituiva una vera e propria rivoluzione. Il suo carisma, il suo talento oratorio e la sua autenticità ne attirarono al seguito personaggi di tutti i tipi: letterati, eruditi, crociati pentiti, clerici e laici e persino contadini e miserabili. Tutti questi uomini vivevano insieme. Il movimento si estese, cominciando a creare dei problemi al potere costituito. Questo insieme di rivolta mite, di profondo umanesimo e di utopia collettiva ci sembrava magnifico da raccontare».
All’insolito duo di registi Arnaud Louvet (solitamente produttore e sceneggiatore) e Reanud Fely (al secondo lungometraggio) nessuno deve aver suggerito il vecchio adagio italiano. Il sogno di Francesco infatti ha quell’andamento lento e contemplativo di un’agiografia volontaria e ragionata del santo più amato dal belpaese e non solo. È un Francesco laico quello del grande schermo francese. La coerenza artistica di chi l’ha pensato e realizzato, l’ha voluto – come è ovvio – è distante da una fedeltà storica. D’altronde è un film, non un documentario. Un Francesco laico, non devoto quindi ma all’opposto. È il Francesco in contrapposizione con l’idea di chiesa cattolica, bigotta e chiusa. Il Francesco che non le fa sconti, che l’avversa e la contesta. E in questa dimensione del Francesco laico che alcuni lo vogliono come primo uomo del dialogo tra cattolici e musulmani. Ambasciatore di pace e di fratellanza tra le nazioni. Eppure non c’è tanta vita di Francesco nel film prodotto da Aeternam, Mir Cinematografica, Entre Chien et Loup. Come la ragione di fondo della sua vicenda di santo, la missione primordiale: ‘Va e ripara la mia casa’. La chiamata affinché la Chiesa – appunto «madre Chiesa», per Francesco che le offre sincera obbedienza – sarebbe stata cambiata per non essere mai più quella. Apparizione profetica, parallela al sogno di Papa Onorio III che, in una notte di forti turbamenti, diventa cosciente di come quello ‘straccione’ d’uomo, sarà il pilastro di un nuovo ordine secolare. Ne Il sogno di Francesco ritroviamo prima il racconta di una fratellanza, enfatizzata dal racconto per capitoli ognuno col nome di un fratello e solo una dedicato a Francesco stesso. Più pervasiva invece la presenza dell’enigmatico personaggio di frate Elia, che qualcuno vuole alchimista, altri aspirante numero due di un Francesco tutt’altro che interessato a essere numero uno e, altri ancora, autore della misteriosa sepoltura del santo, grazie alla quale, per secoli, non sarà rinvenuto il suo corpo. Troppo invasiva e fuorviante, nonostante l’ottima interpretazione dell’attore.
De Il sogno di Francesco rimangono le immagini di una Assisi medioevale, non carica come in edizioni precedenti di film sul santo. La fotografia (firmata Leo Hinstin) è studiata su una dimensione intima dell’uomo Francesco, degli uomini frati, con soggettive e primi piani, in contesti quasi sempre all’aperto. La ‘pellicola’ lascia che le immagini dicano più di quanto i personaggi stessi esprimano. Così una suggestiva costellazione racconta la passione dei frati per l’esplorazione del cosmo. E così Chiara (Alba Rohrwacher), appare in un rapporto molto complice con Francesco, come qualcuno ha scritto, e tanti creduto, fino a farsene fascinare. Carne viva sono le figure e le riprese di scene che giocano d’effetto. Mentre la gioia di Francesco, dei frati, è allegrezza e leggiadria. Piuttosto che ilaritas, ovvero sentimento di pienezza per tramite di Dio. Questo aspetto è delegato invece a momenti di intensa preghiera e canto, dove la commozione arriva a trasfigurare il volto di Francesco, fino a trasformare un’Ave Maria in grido d’amore.