Dicembre 2017, si conclude la nuova miniserie di Heavy Bone, la saga rock&roll nata dalla mente del tarantino Enzo Rizzi. Rilanciato in primavera, lo zombie vomitato dalle viscere dell’inferno è tornato in fumetteria mese dopo mese, protagonista di una storia sempre più complessa che culmina nel finale pubblicato pochi giorni fa.
Cosa c’è dietro al Club 27, la serie di morti precoci che ha colpito la storia del rock? La misteriosa coincidenza che ha visto star come Jimi Hendrix, Janis Joplin, Kurt Cobain e Jim Morrison lasciare questa Terra poco prima dei trent’anni ha da sempre affascinato le nutrite schiere di fan e musicologi, alimentando leggende e complottismi. Nessuno, però, aveva mai ipotizzato una causa articolata, divertente e fuori di testa – e con indiscusso spirito trash – come Heavy Bone, un ragazzino che, per sfondare nel mondo della musica, vende le sue viscere e la sua anima al demonio.
Al personaggio principale, sempre più putrescente nelle matite barocche di Gero Grassi e Nathan Ramirez, si affiancano in questa serie anche alcuni memorabili comprimari dalle fattezze e dai nomi citazionistici. Tra questi, il tenente Klepton (il cui volto ricorda quello di un giovane Eric Clapton), che rimpiange la scomparsa della figlia Laila e il narcotrafficante Mr Brownstone, che ricorda a sua volta Rob Halford dei Judas Priest in entrambi i look che l’hanno consacrato come icona Heavy Metal. Per il resto, ogni personaggio che compare e interagisce nel fumetto cita in qualche modo una pietra miliare della storia della musica contemporanea, di cui Rizzi si conferma essere espertissimo e ricercato conoscitore. Ricorrente, in particolare, il riferimento a Alice Cooper (il cognome di Heavy Bone da umano è – appunto – Cooper), forse il più marcio, velenoso e anticonvenzionale degli idoli viventi, di cui l’autore è – non a caso – un fan sfegatato.
Tra gli aspetti più interessanti della miniserie di Rizzi, inoltre, il pregresso familiare del protagonista e i dettagli sulla notte in cui il piccolo Steven è diventato Heavy Bone: conosciamo così, il pessimo rapporto del protagonista col padre e il grande senso di colpa che nutre nei confronti della sorella Angie, spesso rievocata con la stessa flemma malinconica della voce di Mick Jagger. Anche in questo caso possiamo notare una certa assonanza con uno dei topoi principali della mitologia musicale contemporanea (e non solo); il tormento che alimenta la creazione artistica nasce spesso dal dramma familiare: dalla separazione dei genitori di Cobain che segnò la difficile adolescenza del principe del Grunge, al rapporto più che conflittuale di Morrison con i suoi parenti, il Club 27 ha sempre pagato il suo straordinario talento con un senso di abbandono, solitudine e distacco dagli affetti primordiali.
La serie si sviluppa, dunque su due piani di lettura: quello narrativo – in cui seguiamo le vicende dello zombie e il suo rapporto con le vittime, i carnefici e i cacciatori – e quello dei rimandi e delle citazioni in cui si gioca a riconoscere volti, nomi e situazioni (spesso illustrate nelle interessanti post-fazioni che chiudono ogni episodio). Alcune trovate narrative, infatti, si rifanno a aneddoti realmente raccontati dalle rock star, come “quella volta in cui Alice Cooper puntò una pistola alla testa di Elvis Presley”.
Per quanto riguarda la trama, Heavy Bone – come ogni buon rockettaro – si trova oggi a dover andare a caccia di nuovi talenti musicali, soffrendo un perpetuato digiuno di vere star. Addirittura, lo zombie fa i conti con la propria coscienza, rifiutandosi di fare altre vittime, quasi che la sua virulenza avesse estinto per sempre la fonte della buona musica. Però il richiamo di Rock & Roll (che sono anche i nomi delle due creature infernali che abitano nel torace dello zombie e che si nutrono della carne dei musicisti) non può essere frenato da nessun rimorso e la musica continua a reclamare le sue vittime. D’altra parte, l’ambiente in cui lo zombie si trova a esercitare il suo talento omicida è ricco di tentazioni e di grandi e piccoli vizi: non mancano le belle donne, il sesso libero e la droga e – come nelle migliori tradizioni action – la polizia corrotta che recita la sua nervosa e violenta controparte. Il tono del racconto non lesina contenuti espliciti, un linguaggio politicamente scorretto e un gusto assolutamente libero da pregiudizi.
L’intera storia è una metafora di quella grande energia che brucia nell’animo e nello stomaco dell’artista, che lo conduce verso un’inevitabile autodistruzione, di cui lo zombie di Rizzi è un tragicomico testimone e acceleratore, voce narrante della storia del rock che non risparmia alcun dettaglio.
Questa scrittura densa di messaggi, sottotesti e – ultimo ma non ultimo – divertimento è accompagnata da uno stile accurato di disegno, degno della migliore tradizione italiana. Grassi e Ramirez sono maestri nel rendere i volti dei personaggi riconoscibili e allo stesso tempo credibili e autonomi all’interno della storia. Traspaiono gusto e divertimento anche nel disegno, nella ricchezza di dettagli e nell’indugiare nei particolari; bella la resa delle scene splatter, interessante la il character design demoniaco non solo dello zombie, ma anche dei suoi colleghi infernali: c’è una tale bellezza nell’orrore dell’universo di Rizzi, che non può non affascinare anche la sensibilità più lontana dal genere.
Una lettura consigliata agli appassionati di buona musica e di bei fumetti.