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Fantafestival 37 – Matar a Dios, di Caye Casas e Albert Pintó

Una notte d’inverno un nano vestito di stracci si intrufola in un casolare di campagna, annuncia ai suoi abitanti di essere Dio e che all’alba la specie umana si estinguerà per sempre. Un incipit che già da solo è una lezione di sceneggiatura. E il seguito della storia non è da meno. Cosa può succedere di peggio a questo punto? A ricevere la lieta novella è una famiglia al limite del surreale, che ha scelto di riunirsi in un luogo dimenticato da Dio (o forse no?) per festeggiare il Capodanno e mettere sul piatto una serie infinita di dilemmi esistenziali. Carlos, il padrone di casa, è intento a litigare con sua moglie Ana per un messaggio ammiccante che ha ricevuto dal suo capo, mentre suo fratello Santi non riesce ad accettare la separazione dalla moglie, che l’ha abbandonato per un diciottenne, e suo padre sta ancora cercando di elaborare il lutto per la perdita dell’amore della sua vita.

Per ragioni inspiegabili Dio, nelle sembianze di un nano vagabondo, ha scelto proprio loro per vivere insieme l’ultima notte dell’umanità, e come se non bastasse ha affidato loro il compito di scegliere i nomi degli unici due che si salveranno. Considerato il fatto che la famiglia è composta da quattro persone, questa assurda richiesta genera il caos e da avvio a una serie infinita di situazioni grottesche in cui tutti si mettono alla ricerca di un valido motivo per uccidere un proprio parente. Come si fa dopo tutto a scegliere di condannare a morte un marito, una moglie, un fratello e persino un padre? Quello che Dio gli chiede di fare è inaccettabile. E se fosse Dio invece a morire?

L’ipotesi di uccidere Dio, sempre se si tratti davvero di lui, è la miccia che fa esplodere questo film straordinario, tenuto in piedi da cinque personaggi nello spazio di una casa, ma talmente ben costruito da non far pesare affatto l’unità di spazio e di tempo. Al contrario, lo spazio ristretto in cui si muovono i personaggi concentra tutta l’attenzione sulla sceneggiatura vivace, ironica e dissacrante di Caye Casas e Albert Pintó che, seguendo le orme del connazionale Álex de la Iglesia, sono riusciti a mettere in piedi un film che stempera l’orrore con la commedia in modo esemplare.

E proprio sulla scia del brillante El bar di de la Iglesia, i registi spagnoli sfruttano la tensione che deriva della catastrofe incombente e il peso della scelta di salvare o sacrificare alcuni dei presenti per sviscerare la personalità dei protagonisti, mostrandoli in tutti i loro aspetti, compresi quelli più oscuri. Nella notte più assurda della loro vita il sangue scorre a fiotti, ma passa quasi in secondo piano rispetto all’orrore dei rapporti interpersonali apparentemente pacifici, che si infiammano non appena la morte diventa un pericolo incombente. A Caye Casas e Albert Pintó il merito di aver creato una pellicola geniale, che riflette sull’uomo attraverso la lente dell’umorismo nero, e sviscera i dilemmi più grandi dell’universo, vita e morte, amore e odio, vendetta e misericordia, con un’intelligenza fuori dal comune.

 

Fantafestival 37 – El ataúd de cristal, di Haritz Zubillaga

Fasciata nel suo abito da sera di velluto verde, come Cenerentola nella sua carrozza, Amanda scivola nella limousine che la porterà all’appuntamento più importante della sua vita. Ma la sua fiaba termina ancora prima dello scoccare della mezzanotte non appena si chiudono le porte dell’auto. I finestrini si oscurano, la luce naturale verte al neon e inizia l’incubo. L’auto che avrebbe dovuto accompagnarla a ritirare il suo premio alla carriera di attrice si trasforma in una prigione mobile, impossibile da violare.

Il suo traghettatatore verso l’inferno è una voce sintetizzata che la spia da una telecamera nascosta e le ordina di soddisfare tutte le sue richieste, anche le più perverse, se non vuole andare incontro a terribili torture. Il volto del mostro ha i contorni delle sue parole taglienti, ma benchè la sua identità sia quasi impalpabile, l’odio che riversa su  Amanda è quanto mai tangibile, violento, impastato nelle lacrime e nel sangue.

Haritz Zubillaga condensa la paura nell’angusto spazio scenico della limousine, teatro dell’orrore dell’intera pellicola, e comprime il tempo ad un’unica notte in cui Amanda si trova a combattere con i fantasmi del passato e i mostri del presente, mentre corpo e anima sono ridotti a brandelli dal suo carnefice. Una scelta senza dubbio coraggiosa, tanto più che in scena c’è una sola attrice, ma è proprio questo a innalzare al massimo il potenziale di El ataúd de cristal, che immediatamente riporta alla memoria il visionario Cosmopolis David Cronenberg, in cui la tensione compressa nello spazio di una limousine cresce a dismisura in un climax di eventi surreali fino alla catarsi finale.

Ma se Cronemberg imprigiona il suo protagonista per renderlo impermeabile dal mondo e dalle sue emozioni, Zubillaga restringe lo spazio scenico per far esplodere la rabbia e i rimpianti, fino a operare una vera e propria autopsia emotiva della protagonista. Da qui parte un viaggio a ritroso nella sua carriera di attrice, che si addentra negli angoli più oscuri della sua coscienza e nei meccanismi più perversi del mondo dello spettacolo, in cui l’ossessione per i dettagli è talmente morbosa da trasformare la pellicola in un inquietante esperimento metacinematografico in cui l’orrore della realtà è onnipresente.

 

Fantafestival 37 – Almost Dead, di Giorgio Bruno

Hope Walsh si risveglia in una macchina nel bel mezzo del bosco. Ha polsi e caviglie legate, è ferita e ha perso la memoria. Attorno a lei un’orda di zombie affamati. Questo è Almost Dead riassunto in tre frasi. Un plot minimale, un’unica ambientazione e una sola protagonista in scena. Ma è proprio nella sua incredibile semplicità che questo film racchiude il suo potenziale. Dopo tutto fare un film di zombie a basso budget senza cadere nella comicità involontaria non è un’impresa semplice, ma Giorgio Bruno ce l’ha fatta, ottenendo oltretutto un risultato sbalorditivo.

In Almost Dead la tensione è palpabile dalla prima all’ultima scena, e benchè la protagonista abbia a disposizione solo un cellulare per comunicare con l’esterno e permettere alla narrazione di avanzare, la scrittura è talmente solida che non si sente la mancanza di altri protagonisti in scena. Dopo tutto illustri predecessori come Steven Knigh con Locke e Rodrigo Cortés con Buried – Sepolto hanno già provato a concentrare la narrazione attorno ad un unico personaggio dotato di un telefono, e in entrambi i casi l’esperimento è riuscito. Prova del fatto che una scrittura solida, affiancata a una buona prova recitativa, siano la chiave di un buon film e l’elemento scenico più importante, a prescindere dal budget a disposizione per raccontare una storia.

In questo caso la presenza degli zombie, se pur marginale, portava ad un livello più alto l’asticella della credibilità della rappresentazione, ma anche in questo Giorgio Bruno ha saputo creare make-up ed effetti speciali di tutto rispetto, costruendo i suoi non morti sulla cara vecchia scuola romeriana, e rendendo la loro presenza sulla scena credibile ed efficace. L’orrore dell’isolamento, la paura del contagio e la disperazione per un mondo che sta cadendo a pezzi: in Almost Dead gli elementi fondamentali dei classici horror dedicati agli zombie ci sono tutti, se pur condensati in un’unità di tempo, spazio e azione a limite del teatrale, che tuttavia funziona alla perfezione anche sul grande schermo.

Fantafestival 37 – Scarecrows, di Stuart Stone

Quando in un film horror un gruppo di ragazzi si mette in viaggio verso lande sconosciute il finale è già scritto. Se poi il gruppo è composto da un atleta con più muscoli che cervello, una vergine timorata di Dio, il suo fedelissimo fidanzato e una bionda provocante, ecco servito lo schema perfetto dell’orrore. Non solo è chiaro come finirà la loro fantastica avventura ma anche in che ordine le loro vite verranno falciate dal killer di turno sul metro della loro moralità. Dopo tutto Quella casa nel bosco di Drew Goddard ha esemplificato a chiare lettere quelli che sono i meccanismi tipici del teen slasher, eppure lo schema continua a ripetersi inesorabilmente, portando personaggi che sembrano creati con lo stampino a ripercorrere gli stessi passi di chi li ha preceduti verso un destino segnato, senza far tesoro dell’esperienza e del buon senso. Lo stesso discorso vale per i registi a capo delle loro vite che, dopo averli fatti girare in tondo, li fanno cadere sempre nelle medesime trappole. E Stuart Stone non si distingue dagli altri, cadendo maldestramente nella trappola della ricetta perfetta dello slasher, che se non può non fallire, non riesce neanche ad aggiungere nulla di nuovo alla cinematografia precedente.

Non è una sorpresa quindi che, dopo essersi furbescamente appartati lontano dalla loro auto, i quattro ragazzi si perdano in un campo di granturco e uno dopo l’altro vengano fatti prigionieri e torturati a morte da uno psicopatico sanguinario che vuole trasformarli in spaventapasseri in carne e ossa. Il rituale di trasformazione è meticoloso e cruento. Le vittime vengono picchiate brutalmente, viene cucita loro la bocca e poi vengono esposti alla voracità dei corvi che li scarnificano fino a che non muoiono tra atroci sofferenze.

Sangue e violenza sono ben bilanciati nella pellicola di Stuart Stone, ma la rappresentazione morbosa della tortura non è sufficiente a colmare una trama prevedibile al limite del didascalico e una costruzione dei personaggi basata unicamente sugli archetipi dell’horror. Scarecrows si aggiunge così alla schiera infinita di teen slasher che già intasano il genere, senza guizzi d’ingegno o trovate particolarmente originali, ricalcando pedissequamente le orme di chi l’ha preceduto.

Fantafestival 2016: I vincitori dei pipistrelli d’oro

Si è tenuta ieri nella splendida cornice de L’Isola del Cinema la cerimonia di premiazione della 36° edizione del Fantafestival diretta da Alberto Ravaglioli. La giuria di esperti del settore chiamata a decretare i vincitori dell’edizione 2016 ha visto la presenza di Marco Accordi Rickards (direttore di VIGAMUS, docente universitario, critico videoludico), Maurizio Carrassi (regista e curatore delle attività cinematografiche delle Biblioteche di Roma) e Antonello Sarno (giornalista cinematografico e curatore del programma Supercinema per Canale 5).

Ad aggiudicarsi i quattro Pipistrelli d’Oro della Mostra Internazionale del Film di Fantascienza e del Fantastico 2016 sono state le seguenti opere: My Little Sister di Maurizio e Roberto Del Piccolo come Miglior lungometraggio Italiano, Varicella di Fulvio Risuleo come Miglior cortometraggio Italiano, Testigo Íntimo di Santiago Fernández Calvete come Miglior lungometraggio straniero e per finire First Like di Alexander Rönnberg come Miglior cortometraggio straniero.

Fantafestival 2014: Intervista a Milan Todorović per Nymph

Il regista serbo Milan Todorović, giovane promessa dall’horror indipendente, in un’intervista esclusiva dopo la presentazione del suo ultimo film Nymph al Fantafestival di Roma, a cui ha preso parte anche l’attore italiano Franco Nero.

Nymph è ilsuo secondo film horror dopo Zone of the Dead. Perché ha scelto questo genere cinematografico?

In primo luogo adoro i film horror. Personalmente mi piace guardare film di questo genere. Mi piacciono anche i film d’azione però, quindi ho sempre cercato di mettere più azione possibile nei miei film. In secondo luogo, i film horror hanno un pubblico enorme in tutto il mondo. Quindi ho pensato: se devo dedicare anni ad un film, voglio che lo veda tutto il mondo. L’horror è un genere che raggiunge il pubblico più disparato, indipendentemente dal paese d’origine. Sono cresciuto guardando horror, quindi credo che sia il modo migliore per esprimere me stesso attraverso il mio lavoro.

Come è nata l’idea per Nymph? È difficile trovare idee originali in un panorama horror così florido?

Ho sempre desiderato fare un film si quell’isola: Mamula. È un’isola molto misteriosa e stimolante. quando mi è stato prposto di fare un film sulle sirene ambientato su quell’isola, ho subito capito di aver trovato la storia giusta per quello che sarebbe stato il mio prossimo film. Certamente è difficile trovare idee originali, ma si può sempre iniziare da ambientazioni horror classiche e inserire alcuni elementi che le rendano originali. Ho aggiunto delle meravigliose location soleggiate a una storia dark, così come le sirene. Dopo tutto non ci sono così tanti film sulle sirene.

La sirena potrebbe essere considerata un simbolo del potere irresistibile che la donna ha sull’uomo? Il film ha significati nascosti di questo tipo? 

In un certo senso. La sirena è bellissima e ipnotica e gli uomini non riescono a staccare lo sguardo da lei. Sono disposti a fare qualunque cosa per compiacerla, ma poi si trasforma in un mostro e li uccide. Questo è abbastanza esplicativo, no?

Il film è ambientato in Serbia ma nel cast compare un attore italiano: Franco Nero. A cosa è dovuta questa scelta? Come vi siete conosciuti? 

Non considero Franco Nero un attore italiano. È una star del cinema conosciuta in tutto il mondo! Il film è stato scritto in vista di un ospite d’eccezione. Sapevo che avrei incontrato Franco Nero al Grossmann festival in Slovenia, perché avrebbe dovuto ricevere un premio alla carriera e io facevo parte della giuria. Così ho detto allo sceneggiatore di espandere il ruolo, di dargli una parte più importante e di scriverla pensando a Franco. Lui all’inizio pensava che si sarebbe trattato di un piccolo cammeo senza significato, ma quando ha letto la sceneggiatura si è reso conto di essere il personaggio più importante del film. Lavorare con lui p stata un’esperienza fantastica. È un grande attore e un grande uomo.

Al momento sta lavorando ad un nuovo progetto? Un altro film horror?

Sto lavorando su molti fronti, a cominciare da un sequel del mio primo film are working on a sequel to my first film Wrath of the Dead. Inoltre si dice che potrebbero arrivare i finanziamenti per il sequel di Nymph. Personalmente sarei felicissimo di fare Nymph 2. Ho già parlato con Franco e anche lui vorrebbe prendere parte a questo film, così come Kristina Klebe. Sto sviluppando molti altri progetti, ma per la maggior parte vertono sul crime più che sull’horror.