Guerriere. Tre donne nella Grande Guerra

Viviamoci, di Giorgia Mazzucato

Non potete guardare “Viviamoci”, lo spettacolo-monologo di Giorgia “Gigia” Mazzucato se non siete in grado di immaginare la vostra barca personale, quella su cui navigate ogni giorno, quella con cui affrontate i flutti, quella che vi porta su spiagge meravigliose o contro scogli affilati. Non potete seguire la giovane attrice nella sua pièce se non potete colorare lo scafo con le emozioni più intense, le vele con le sensazioni più vere, il timone con le paure più reali. Perché “Viviamoci” è un viaggio tra le decine di sfumature del blu, un’immersione nella vita che inzuppa i vestiti, bagna la bocca di acqua dolce e salata, impregna le ossa di stupore e sorpresa.

Gigia Mazzucato si avventura subito oltre lo specchio, varca la soglia tra il reale e fantastico, l’uscio che la separa da un mondo che è un brodo primordiale di vita e meraviglia. Quando il pianto di gioia di una madre guerriera si spegne e diventa solo una linea dritta sul viso, sua figlia inizia a raccontare un sogno, segue un sentiero di mattoni gialli fatti di giochi di parole, di assonanze e paradossi, tesse la tela di favole comiche incrociando i fili raccolti in terra, gettati all’aria da chi non sa più cosa farsene. C’è, nel gioco della bambina, tutto il potenziale che solo lo stupore per la vita può iniettare nelle vene e l’attrice, con i suoi occhi furbi e lo strascico veneto, è in grado di inocularlo con dolcezza e bravura anche nel pubblico.

E quando il sorriso riappare sul volto della madre, un nuovo viaggio ha inizio. Il pensiero scivola lungo il cordone ombelicale della memoria, che la conduce a un utero caldo, a un ventre confortevole e mai dimenticato: quello delle origini. Perché Viviamoci è anche l’abbraccio delle proprie radici, che affondano nelle nostre ossa fino al midollo e si nutrono dei nostri ricordi e delle nostre emozioni. È vero che dalla prua della nostra barca colorata guardiamo il futuro attraverso un binocolo caleidoscopico, ma le assi della chiglia, la ruota del timone, il parapetto che ci protegge dal cadere in acqua sono costituiti di frammenti del passato, sono formati dal legno delle nostre origini.

La scena è semplice, nuda, le luci cambiano seguendo le emozioni e i personaggi interpretati, non c’è nulla di superfluo, nulla di ridondante. Giorgia “Gigia” Mazzucato ha la bravura di solcare quella scena con un piede leggero, di scivolare sulle sfumature della vita, dalla gioia alla tristezza, dalla rabbia al dolore senza calcare troppo, lasciando un’orma lieve nella sabbia e nello spettatore. Ma, come per lo spettacolo “Guerriere. Tre donne nella grande guerra”, finalista al Fringe Festival 2015 di Roma, quell’impronta è ancora lì.

Lo spettacolo “Viviamoci” sarà in scena fino al 24 gennaio sul palco del Teatro Studio Uno di Roma.

Guerriere. Tre donne nella Grande Guerra, di Giorgia Mazzuccato

Nella lista degli spettacoli più apprezzati del Roma Fringe Festival 2015 c’è “Guerriere. Tre donne nella Grande Guerra”, scritto, diretto e interpretato da Giorgia Mazzuccato. Una pièce di interesse storico che illumina una realtà rimasta in ombra per cento anni e la cui forza è dedicata a Franca Rame.

Recensione di Manuel Porretta

Quando la guerra risucchia la vita degli uomini e spopola le città, le donne si affacciano alla vita e indossano i pantaloni, si riversano nelle strade come lava, ne occupano gli interstizi, non lasciano che il vuoto le sottometta. Eva, Franca e Angela sono lapilli della stessa eruzione, scatenata dal primo conflitto mondiale, le cui cicatrici si sono estese come una ragnatela di strade a collegare morte e dolore ovunque fossero. Ognuna di esse indossa l’armatura che più le si confà, la veste come una pelle e la guarda sanguinare senza provare a fermare l’emorragia, senza fermare le lacrime o la vita che scorre attraverso di essa.

Eva è un’albergatrice che vorrebbe specchiarsi e trovare il volto di Coco Chanel o quello della regina Elena, ma che non si piega al potere e guarda fisso negli occhi di chi la vorrebbe sottomessa, il mento alto e negli occhi la sfida chi impugna il mondo. Angela ha il seno fasciato e i capelli corti, indossa l’amore per la patria al pari della divisa che l’Italia vorrebbe negarle. È una donna di trincea, ma non ha una croce rossa su sfondo bianco. L’unico rosso che risalta sulla sua armatura è il sangue dei compagni, che impregna il suo animo e macchia, fino a renderla irriconoscibile, la stima per il generale Cadorna.

Franca veste la semplicità di moglie e madre, ma la trama della sua armatura è resistente come l’acciaio, intessuta di speranza e pazienza. Fabbrica armi come l’altro milione di donne che la storia vorrebbe chiudere in casa a piangere, che sottrae alla vista per rendere i pantaloni degli uomini gli unici visibili. In ogni proiettile che scivola tra le sue dita callose, Franca mette il suo amore per Bruno, uno dei tanti mariti al fronte, e spera che riconosca il suo calore quando finirà nelle sue mani morse dal freddo. Illumina le strade, Franca, per racimolare qualche soldo, indossa una gerla di 40 chili e percorre decine di chilometri in montagna, tra i ghiacci, perché la vita deve andare avanti, e da sola non si muove.

Tocca alle donne darle la spinta, condurla e trascinarla al buio di un mondo che non le considera. Guerriere è uno spettacolo scritto, diretto e interpretato da un’unica, giovane attrice, Giorgia “Gigia” Mazzuccato, che sul suo vestito nero stampa, cuce, disegna con bravura e precisione le vite segrete di milioni di donne, fino a far dimenticare allo spettatore quell’abito neutrale e a rivelargli l’armatura di cui ognuna si è dotata, per natura o volontà. Non dimentica la grazia e l’ironia per indossare le vite di Eva, Angela e Franca, vi scivola dentro, annoda i legacci e illumina frammenti di storia sconosciuta, sepolta anch’essa tra le trincee. Il testo, supervisionato dal giornalista storico Aldo Cazzullo, attinge a documenti originali e dipinge con semplicità la vita di donne che non hanno mai voluto essere eroine, ma hanno saputo essere guerriere.