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Io, Daniel Blake, di Ken Loach

“Il mio nome è Daniel Blake sono un uomo, non un cane. E in quanto tale esigo i miei diritti. Esigo che mi trattiate con rispetto. Io, Daniel Blake sono un cittadino. Niente di più e niente di meno.”

Un messaggio chiaro, che non mira a suscitare pietà, ma solo ragionevolezza e rispetto. Questa è l’estrema richiesta di aiuto da parte di un cittadino ridotto allo stato di povertà da una burocrazia inflessibile, che lo ha intrappolato in un labirinto kafkiano di moduli da compilare, indennità negate e appelli rimandati all’infinito. Questa è la storia di Daniel Blake, un falegname di New Castle che a fine carriera è costretto a lasciare il lavoro in seguito ad una grave crisi cardiaca e non ha altra scelta che chiedere allo stato un’indennità per malattia. Da qui incomincia la sua discesa nel purgatorio del Dipartimento del lavoro e delle pensioni, dove ogni giorno migliaia di cittadini inglesi girano in tondo tra gli uffici nell’attesa di sapere se saranno salvati da un sussidio statale o condannati alla povertà.

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Daniel Blake è uno di loro, un cittadino che ha lavorato sodo per tutta la vita e ha sempre pagato le tasse a uno Stato che ora che si trova in difficoltà gli nega ciò che gli spetta di diritto e che, a causa di incredibili incongruenze burocratiche, non solo rimanda all’infinito il verdetto sulla sua richiesta di sussidio, ma lo costringe a cercare lavoro nonostante le sue precarie condizioni di salute, pena una severa sanzione. È il teatro dell’assurdo. Daniel Blake è costretto ad iscriversi alle liste di collocamento alla vigilia della pensione e ad affrontare trafile burocratiche infinite, molte delle quali legate ad internet, un universo che gli è completamente oscuro. Si sente perso, disperato, e l’unica persona che sa mostrargli solidarietà è Katie, una giovane madre di due figli piccoli che non riesce a trovare lavoro e che come lui è stretta nella morsa delle aberrazioni amministrative della Gran Bretagna di oggi. Daniel e Katie stringono un legame di amicizia speciale e cercano di aiutarsi come possono, dandosi coraggio mentre tutto sembra beffardamente complicato.

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L’attenzione verso le classi sociali più disagiate è il tratto caratteristico del cinema di Ken Loach, che rimane sempre profondamente radicato nella realtà sociale inglese e non perde occasione di fare dell’arte uno strumento di denuncia delle incongruenze politiche del suo paese. Io, Daniel Blake non fa eccezione, anzi nella sua rappresentazione realistica dello stato di povertà in cui vige chi ha perso il lavoro il regista raggiunge picchi drammatici mai sfiorati. Loach entra negli uffici di collocamento, nelle case divorate dall’umidità, e nelle sedi affollate dei banchi alimentari, abbassando l’occhio della macchina da presa all’altezza dei suoi personaggi, gli unici in grado di raccontare la realtà in tutta la sua crudeltà.

Nulla è edulcorato e nulla è romanzato nella storia di Daniel Blake, semplicemente narrato dal punto di vista di un cittadino come tanti a cui è negato il rispetto che si deve ad un essere umano. E proprio nella scelta estrema di trattare la realtà in un opera di finzione con la stessa oggettività di un documentario che Loach mostra tutta la sua grandezza, mostrando come si possa raccontare le pagine più oscure dell’attualità senza cedere al patetismo o alla rassegnazione, ma invitando alla presa di coscienza e alla reazione contro una classe dirigente che continua a tutelare gli interessi economici del paese a scapito dei suoi cittadini. Con Io, Daniel Blake Ken Loach fa invece l’operazione contraria, e mette il destino del film nelle mani degli uomini, ottenendo risultati talmente brillanti da vincere la Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes. Un esempio da seguire!