Michelle Williams

The Greatest Showman, di Michael Gracey

Un gran bel regalo di Natale da trovare sotto l’albero: The Greatest Showman di Michael Gracey ha tutte le carte in regola per conquistare il pubblico (e il botteghino) di queste feste. Cavalcando il il successo del celebratissimo La La Land, The Greatest Showman rilancia il musical degli anni duemiladieci, con il suo chiaro omaggio ad atmosfere vintage, ma con una forte connotazione contemporanea nelle musiche, nelle coreografie e nella regia.
Al centro della storia la figura di Phineas Taylor Barnum – interpretato da Hugh Jackman – il figlio di un sarto con una grande propensione verso tutto ciò che è grandioso, onirico, sensazionale. Caparbio ed entusiasta, il giovane proletario fa breccia nel cuore della coetanea Charity (che, da adulta, ha il volto di Michelle Williams) nonostante la ragazza sia di lignaggio molto più elevato. La loro storia romantica cresce e si alimenta nella distanza e nella musica, finché non arriva il giorno in cui, cilindro alla mano, Phineas chiede la mano di Charity, promettendole una vita piena di sogni, amore e felicità. Tuttavia la tragedia, nella New York del XIX secolo, è dietro l’angolo: la compagnia per cui il protagonista lavora va in bancarotta, lasciando i suoi dipendenti in mezzo alla strada. Nulla è perduto per Barnum il sognatore, che approfitta di questa apparente disfatta per spingersi al di là dei propri limiti e realizzare quello che insegue come “il più grande spettacolo del mondo”.


Supportato dalla sua bella famiglia, Barnum acquista l’American Museum che diventa presto un teatro dove si esibiscono tutti coloro che – per provenienza e, soprattutto, per aspetto fisico – vivono ai margini della società. Piccoli uomini, donne barbute, giganti e acrobati sono i protagonisti assoluti di un nuovo spettacolo che non tarderà ad attirare l’odio e l’amore del pubblico: a Barnum e ai suoi artisti serve, allora, un riscatto, che sarà trovato nel nuovo socio Phillip Carlyle (Zac Efron).
The Greatest Showman è un omaggio alla figura e alla vita dell’imprenditore americano P.T.Barnum, che nel 1842 inaugurò un nuovo modo di intendere lo spettacolo e l’intrattenimento. Re della mistificazione e della suggestione, Barnum diede un nuovo, ambizioso impulso allo showbiz che dagli Stati Uniti contagiò l’Europa e il resto del mondo. Nel film come nella Storia, Barnum mise al centro dei suoi spettacoli tutto ciò che era bizzarro, esotico e curioso: se, nella versione cinematografica, dietro a questa scelta imprenditoriale c’è un buon cuore e tanto amore per l’umanità, probabilmente nella realtà gli scopi erano ben meno poetici. Il cinema, come il teatro di Barnum, però è il regno delle belle bugie e Hugh Jackman regala al pubblico una figura fortemente motivante, elegante e positiva, una sorta di re delle pulci, la cui corte si distingue per apertura mentale e assenza di giudizio.


Con The Greatest Showman l’australiano Michael Gracey firma un’opera d’esordio piuttosto ambiziosa, soffrendo nel paragone con due pellicole a cui rimandano genere e atmosfere: se da un lato c’è il già citato La La Land (se non altro per vicinanza temporale e – in parte – tematica), dall’altro c’è il maestoso musical firmato dal suo connazionale Baz Luhrmann, Moulin Rouge!. Il film di Gracey non raggiunge né l’uno né l’altro: manca di quella sottile, elegante nota dolceamara della pellicola di Damien Chazelle e allo stesso tempo della follia e dell’ambizione di Luhrmann che rese il suo esperimento musicale una vera festa dei sensi. La regia di Gracey, al contrario, si muove incerta alternando momenti di esplosione – nei frequenti e riusciti numeri musicali – a sequenze poco creative non tanto nella tecnica quanto nel contenuto.


Tralasciando ingombranti termini di paragone, il film ha diversi elementi più che positivi: su tutti la performance e il carisma del protagonista che conferma ancora una volta il grande talento di Hugh Jackman, tanto coinvolgente nei ruoli drammatici quanto a suo agio in quelli brillanti. Insieme a lui, il cast di personaggi secondari assolve magnificamente al proprio ruolo. Su tutti spiccano gli artisti del circo di Barnum nei loro memorabili numeri collettivi in cui emergono le star Zendaya (che interpreta la trapezista Anne Wheeler) e Keala Settle (nel toccante ruolo della donna barbuta Lettie Lutz). Altra indiscussa nota di merito, le canzoni scritte da Benj Pasek e Justin Paul (autori anche di “City of Stars”, il brano portante di La La Land), esempi assolutamente funzionanti del migliore pop in circolazione.
The Greatest Showman è il film di questo Natale 2017, il perfetto cappello per un periodo di relax e buoni propositi; alle soglie di un nuovo anno, Barnum e i suoi ci accompagneranno con la loro energia fatta di sogni che si realizzano, successo e accettazione di sé, cantando e ballando sulle note di una magnifica illusione.

 

RomaFF11 – Manchester by the Sea, di Kenneth Lonergan

A Manchester by the Sea, Massachusetts, fa freddo, un freddo che entra nelle ossa e resta intrappolato nel corpo fino a congelare il cuore. Ora più che mai Lee Chandler (Casey Affleck) sente quanto questo piccolo paese al limitare dell’oceano freddo e claustrofobico, proprio come la cella frigorifera in cui riposa il corpo del fratello. Solo poco tempo prima avrebbe sfidato il mare, il vento e persino la tempesta con la sua barca da pesca sgangherata pur di andare a pesca con Joe (Kyle Chandler) e suo figlio Patrick (Lucas Hedges), ma ora la paura la congela, lo immobilizza, e gli impedisce di andare avanti con la sua vita. Joe è morto all’improvviso e a lui è stata affidata la gravosa responsabilità di fare da tutore a Patrick, ma non è questo a bloccare Lee, ma il ricordo di qualcosa di terribile che pochi anni prima è accaduto proprio lì a Manchester by the Sea e che ha distrutto per sempre la sua vita.

Ora Lee lavora come custode di una palazzina a Boston, vive da solo in una stanza ammobiliata e passa le sue giornate tra piccoli lavori da tuttofare e le serate al bar, dove non di rado alza il gomito e viene coinvolto in una rissa. La su vita scorre così nel silenzio, nella solitudine e nella soppressione del dolore nell’alcol. La natura del suo dolore e della rabbia che lo corrode dall’interno rimane però inspiegata fino a quando non torna a Manchester by the Sea, e qui la sua vita passata inizia a scorrere nella sua mente così come sullo schermo in una serie infinita di flash back, che portano di nuovo in vita il suo terribile fatal flaw. Ogni angolo della città e ogni volto amico gli ricorda chi era prima e gli mostra chi potrebbe tornare ad essere se accettasse di occuparsi di Patrick, ma il peso della responsabilità di un altro essere umano è troppo gravoso da sostenere e il cammino della redenzione scavato nel ghiaccio che avvolge la città e i suoi abitanti.

Manchester-by-the-Sea-Sundanc-2016
Manchester by the Sea è un film sull’accettazione della morte da parte di chi resta in vita, che accarezza tutte le fasi dell’elaborazione del lutto senza mai bruciare le tappe, ma prendendosi tutto il tempo necessario per sviscerare tutti gli stadi attraverso cui passa l’animo umano prima di accettare l’ineluttabilità dei fatti ed andare avanti. Ma per quanto questa possa sembrare un’operazione già alquanto ambiziosa il regista Kenneth Lonergan porta l’elaborazione del lutto su piani temporali diversi, fino a scavare nelle colpe del passato e nei traumi irrisolti che si ripercuotono sul presente. Il ritmo è lento ma scandito anche da una comicità sottile oltre che da un dolore imperante, in una costante alternanza tra commedia e dramma in cui Lonergan, noto soprattutto come sceneggiatore, mostra tutta la sua abilità nella scrittura oltre che dietro la macchina da presa, creando un affresco estremamente complesso dell’essere umano, catturato nel momento esatto in cui incontra la morte.