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I film più belli del 2015

Il 2015 è stato un anno ricco di sorprese cinematografiche, in cui le opere di pregio dei cineasti più affermati hanno fatto a gara con pellicole di grande valore originalità di autori meno noti, ma non meno promettenti. La redazione di ShakeMovies ha selezionato i film più belli, quelli da vedere e rivedere senza stancarsi mai e da custodire gelosamente nella propria videoteca.

1. Birdman, di Alejandro González Iñárritu

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2. Whiplash, di Damien Chazelle

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3. Dio esiste e vive a Bruxelles, di Jaco Van Dormael

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4. Kingsman – Secret Service, di Matthew Vaughn

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5. MadMax: Fury Road, di George Miller

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6. Inside Out, di Pete Docter

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7. Cenerentola, di Kenneth Branagh

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8. Jurassic World, di Colin Trevorrow

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9. Star Wars: Il Risveglio della Forza, di J. J. Abrams

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10. Big Eyes, di Tim Burton 

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Birdman, di Alejandro González Iñárritu

Mentre Legolas ha lasciato a casa arco e frecce per sfrecciare con la sua moto fiammante sul palcoscenico di Broadway e il perfido Loki ha smesso i panni dell’Asgardiano per indossare quelli di Colriolano nei teatri londinesi, il supereroe Birdman è ancora chiuso nel suo camerino polveroso a domandarsi se, piuttosto che salire su quel palcoscenico, non sarebbe stato più più facile rimanere sul set del suo film, ripetere le scene all’infinito, adagiarsi comodamente sugli effetti speciali ed essere osannato dalla folla in delirio per un paio di giravolte tra i grattacieli di New York. Questa è Broadway e qui si va in scena ogni giorno, portandosi addosso i mesi di prove, gli imprevisti, i cambi di programma all’ultimo minuto, gli umori degli attori e soprattutto la paura di deludere il pubblico, di inorridire i critici del New York Times e di firmare in una scena la propria condanna all’oblio. Qui e la computer grafica non è ancora arrivata e il trucco è l’unico effetto speciale possibile, fatta eccezione per qualche effetto sonoro combinato ad arte con una spruzzata di pioggia e un faretto lampeggiante, e gli attori non hanno tempo per ripetere le scene all’infinito perché il tempo dello spettacolo è unico e fluisce senza pause fino alla fine. L’errore non è concesso perché gli occhi degli spettatori sono lì, puntati dritto sul palco, e non si spengono ad intermittenza come le videocamere sul set. Per questo gli attori devono essere costantemente concentrati sulla parte e controllare ogni movimento per tutta la durata dello spettacolo, senza mai tirare il fiato, senza mai spogliarsi dei loro personaggi, sia presenti che passati.

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Riggan Thompson si è convertito dal cinema al teatro e ora, secondo le regole di quest’arte a lui sconosciuta, la sua vita è destinata a scorrere in un atto unico, senza pause e senza stacchi, in cui il corpo è sempre in scena, si dibatte sul palcoscenico, attraversa il teatro fino a raggiungere i ai camerini, esce in strada e vola sulla città, per poi ritornare sui suoi passi e ritornare ancora in scena.   La videocamera è sempre accesa su di lui e lo segue come un’ombra in tutto ciò che fa e, simulando un unico piano sequenza, lo pedina sin nella sua intimità, scruta la sua coscienza e scava tra i suoi ruoli per cercare l’uomo sotto lo strato pesante dei personaggi che nel tempo ne hanno preso il posto. Dopo una poco gloriosa carriera nel mondo dei cinefumetti, oggi Riggan va in scena per la prima volta al St. James Theatre di Broadway nei panni del protagonista disperato di Di cosa parliamo, quando parliamo d’amore?, un adattamento dell’opera di Raymond Carver, lontano anni luce dai lavori che lo hanno reso celebre agli occhi del grande pubblico e privato della benevolenza dei critici dal gusto raffinato. Ma a dispetto della sua immagine pubblica è deciso a convertire l’idolatria dei molti nell’ammirazione dei pochi, dimostrando al mondo intero la sua destrezza sul nudo palcoscenico, senza trucchi ed effetti speciali, e un pezzo della letteratura americana tra le mani.

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Il suo unico nemico nella realizzazione di questa impresa ambiziosa è l’amato-odiato Birdman, il supereroe dallo sguardo impenetrabile, che non riesce a staccare neanche per un istante la mascella impertinente e il costume di piume d’acciaio dal corpo di Riggan. Il supereroe tracotante e l’attore disperato convivono nella stessa stanza come nella stessa carne, non possono fare l’uno a meno dell’altro e cercano di annullarsi a vicenda, mentre Riggan si dibatte in questo delirio schizofrenico tra i suoi personaggi cercando di ricongiungersi con la sua umanità. L’eterna lotta tra attore e personaggio si sublima così tra le mani di Alejandro González Iñárritu, che entra violentemente nei camerini di Broadway per mostrare il conflitto tra ignoranza apparente e virtù autodichiarata, che spacca in due il mondo dello spettacolo e coinvolge in una dimensione squisitamente metanarrativa tutti coloro che ruotano intorno all’arte drammatica, dagli attori schizofrenici ai registi narcisisti, dai cacciatori di visualizzazioni ai critici d’altri tempi. La vita e lo spettacolo in Birdman seguono lo stesso binario, si incrociano sul palcoscenico e si dividono nel sogno, là dove all the world’s a stage e tutti siamo attori, più o meno consapevoli, di un dramma universale scritto da un regista che ama assistere alla sofferenza dell’uomo e ci spinge a cercare incessantemente l’approvazione degli altri e l’immortalità dell’anima, in un unico gesto memorabile che alla fine dei giochi fa cadere ogni maschera e mostra al mondo chi siamo davvero.