Celso García

Festa del Cinema di Roma 2015 – La delgada línea amarilla, di Celso García

Cinque uomini devono tracciare la linea che separa i due sensi di marcia di una strada che unisce due cittadine del Messico. Separazione e unione sintetizzano in due parole il percorso di formazione che i cinque operai si trovano ad intraprendere in questo particolare road movie. Cinque uomini solitari in necessità di denaro, cinque modi di vivere differenti, ognuno generato da percorsi di vita diversi. Per tutti il passato è un pesante fardello che soffoca il presente, ostacolando le relazioni umane: Antonio “Toño” è pieno di rimorsi per il lavoro e per la famiglia, avrebbe voluto morire in un incidente in cui sono morti i suoi colleghi, è separato e ha smesso dopo 15 anni di cercare il figlio emigrato negli States; Mario è stato in galera per furto e non sa fare altro; Gabriel guidava camion ma ha bisogno di operarsi agli occhi; Atayde, all’apparenza spensierato e fanfarone, è un ex-circense e rimpiange il suo vecchio lavoro; Pablo, l’outsider in mezzo a tanti pesci fuor d’acqua, è un ragazzetto pronto a fare qualsiasi sacrificio pur di rimediare i soldi che gli occorrono per raggiungere il fratello negli Stati Uniti. Tutti hanno smarrito in qualche modo la strada e cercano una nuova via per sollevarsi: una via di 217 km da completare in 15 giorni lavorando in squadra. Una sfida che si trova al crocevia del loro destino. Una linea che fa da guida per chi la percorre ma che diventa di fatto una guida anche per chi la realizza.

Interessante come i dialoghi siano spezzati, permeati di rimozione, di frustrazione. In ogni scambio di battute è chiara una reticenza a parlare dei propri problemi. Man mano che si lasciano indietro chilometri, però, queste barriere psicologiche di difesa crollano. La linea gialla diviene allegoria di una felicità raggiungibile. Strumento e personificazione di quest’allegoria è, a sorpresa, il più giovane del gruppo: sebbene abbia molto da imparare sul lavoro, Pablo, con le sue azioni da anima candida e con la sua voglia di leggerezza, dà lezioni di benevolenza, di lealtà, di condivisione, funge da collante per il gruppo e conquista così il centro della scena. La sua curiosità unisce. La differenza d’età, e di vedute, separa. Di nuovo questo forte contrasto da vincere. Di nuovo è il viandante più giovane quello che ha il consiglio più saggio. Con il suo walkman sempre pronto a salvarlo da un mondo dominato dalla depressione, Pablo ascolta una musica carica di speranza, lasciatagli dal fratello, una musica che lo protegge dal male di vivere, che alleggerisce ogni tensione, che guida verso un domani migliore. Contagiosa come un virus, la speranza viene trasmessa, insieme con la musica, di mano in mano e dimostra che un sorriso può essere sempre più forte di una lacrima.

Una storia magari non originalissima ma senza difetti, personaggi molto approfonditi psicologicamente e messaggi importanti, delicatamente celati nel sottotesto ed elegantemente veicolati, più che da parole, da immagini ben ponderate, che dialogano direttamente con il cuore dello spettatore.