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Quel bravo ragazzo – Intervista esclusiva allo sceneggiatore Andrea Agnello

Il 17 novembre uscirà Quel bravo ragazzo, di Enrico Lando, e la Redazione di ShakeMovies ha colto l’occasione per un’intervista in esclusiva ad Andrea Agnello, uno degli sceneggiatori del film, uno dei fiori all’occhiello del cinema italiano, professionista della scrittura cinematografica, scaturito dalla fucina del Centro Sperimentale di Cinematografia (CSC) ed eccellente firma di molti successi cinematografici e televisivi di ultima generazione: tra i film ricordiamo Ma che ci faccio qui!, di Francesco Amato, premiato con David di Donatello e Globo d’Oro; Com’è bello far l’amore, regia di Fausto Brizzi, in testa al box office per due settimane; I più grandi di tutti, regia di Carlo Virzì; Italians, Genitori & figli – Agitare bene prima dell’uso, riconosciuto di interesse culturale dal Ministero dei Beni Culturali, Manuale d’amore 2 e Manuale d’amore 3, tutti di Giovanni Veronesi e tutti campioni d’incassi; tra le serie TV: I licealiPiper, Benvenuti a tavola – Nord vs Sud, Fuoriclasse.

L’intervista esclusiva diventa una stupenda occasione per parlare anche del cinema a tutto tondo e per immaginare un futuro per il cinema italiano, che porti al raggiungimento di uno stile inconfondibile, che sappia di nuovo lasciare un segno indelebile, non sporadico, nel panorama mondiale per far esprimere sempre di più le eccellenze e le professionalità come quella di Andrea Agnello. Una storia, la sua, che è quella di tanti scrittori, filmmaker, direttori della fotografia. Una storia che vive di abnegazione e fede in una passione, quella per il cinema, che vale sempre i “rischi” lavorativi e che sa dare soddisfazioni enormi, se alimentata costantemente.

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1 – Come nasce il soggetto di Quel bravo ragazzo? Qual è il nucleo da cui è partito tutto?

Il soggetto nasce da un’idea di Ciro Zecca, un giovane ex-allievo del corso di produzione al CSC, molto bravo nel fare i “pitch”, cioè nel raccontare uno spunto con poche parole ma molto efficaci. Gli do una mano a tirare giù una paginetta di numero. Scriviamo solo l’incidente scatenante, lo spunto da cui tutta la storia prende le mosse, dopodiché lui un giorno mi chiama e mi dice che l’ha mandata in lettura alla Lotus di Marco Belardi. In cuor mio, la prima cosa che penso è che non la leggeranno mai; e invece – caso unico più che raro – ci chiamano per farci un contratto!

2 – Da fonti certe (IMDB, wikipedia) risulta: soggetto scritto da 3 persone e sceneggiatura scritta da 5. Perché? Come vi siete divisi il lavoro? com’è stato il lavoro in team? Vi siete divisi i personaggi? Quali sono stati i vostri ruoli? Tu hai scritto soggetto e sceneggiatura, ma i dialoghi?

2) Allora, il soggetto lo firmiamo in tre perché sin da subito Belardi ci ha affiancato Gianluca Ansanelli, lo sceneggiatore di fiducia di Alessandro Siani. Lui e Herbert già stavano lavorando da un po’, credo su un’altra idea. Tiriamo giù in tre una scaletta abbastanza dettagliata del film, costruendolo bene sul personaggio di Herbert, anche se effettivamente già l’idea originaria sembrava davvero cucita a misura su di lui. A questo punto passiamo in sceneggiatura e si aggiungono i contributi di Herbert e Enrico: Herbert ha fatto diverse riunioni con noi, molte battute di dialogo sono sue e ci ha dato tanti spunti esilaranti per costruire scene; Enrico è invece entrato sul progetto un po’ dopo ma ha comunque suggerito diverse cose che si sono rivelate molto efficaci. A dire il vero non c’è stata una vera divisione del lavoro, abbiamo sempre lavorato insieme, a sei, poi otto e poi dieci mani, cosa non semplice ma per un film comico spesso vitale.

3 – Sei soddisfatto del processo realizzativo di Quel bravo ragazzo? Hai avuto modo di vedere almeno in parte il film o sarà una sorpresa anche per te?

Ma sai che non ho visto ancora nemmeno una scena? Anche questo è un caso finora unico, non mi era mai capitato con gli altri film che ho sceneggiato, e sinceramente sono anche contento così: vederlo in sala sarà una sorpresa.

4 – Quel bravo ragazzo è chiaramente una commedia divertente, ma di che tipo? Del genere one shot (stacchi, ridi ridi ridi e ti dimentichi della realtà e poi torni alla realtà e ti dimentichi del film) oppure è una commedia che vedi e rivedi e non ti stanchi mai di rivedere?

Diciamo che già se Quel bravo ragazzo appartenesse al primo genere di film sarei strafelice. E poi penso che in realtà se un film ti fa ridere a crepapelle non te lo dimentichi e magari ti viene anche voglia di rivederlo dopo poco tempo. A me spesso succede così.

5 – Il lavoro di scrittura nasce libero da vincoli e viene adattato quando Herbert Ballerina viene scelto per il ruolo di protagonista di Quel bravo ragazzo o il personaggio è costruito intorno a lui fin dal principio?

L’idea è nata sicuramente libera da vincoli, io e Ciro – al momento di mandare in giro la famosa paginetta – non avevamo in mente un attore preciso, ma già nel nostro primo incontro col produttore Belardi ci è stato detto che il film avrebbe avuto Herbert per protagonista, e da lì abbiamo iniziato a ragionare pensando a lui. Ma non è stato uno sforzo né una costrizione, anzi: Herbert è veramente perfetto per questo ruolo, ed ha un umorismo che non esito a definire geniale.

6 – Quando crei i tuoi personaggi li immagini interpretati da qualcuno in particolare, magari i tuoi attori preferiti?

Sì spesso sì, mi aiuta visualizzare un volto, focalizzo la scrittura su qualcosa di concreto. Anche se a dire il vero quasi sempre in fase di sceneggiatura si sa già con buona probabilità chi saranno gli attori del film.

7 – Film preferito in assoluto?

Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola: visto decine di volte, un film unico, irripetibile secondo me. Unisce tutto: alto e basso, autoriale e popolare, e con un Nino Manfredi veramente da applauso.

8 – Film preferito tra quelli scritti da te?

Sono affezionato a tutti allo stesso modo, difficile sceglierne uno. Forse Ma che ci faccio qui! di Francesco Amato, ma solo perché tutto è cominciato da lì.

9 – Regista preferito in assoluto?

Tra i viventi, David Lynch. Tra i defunti Mario Monicelli.

10 – Regista preferito, con il quale ti sei trovato meglio a lavorare?

Tutti, fortunatamente!

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11 – Leggi la Bibbia? La domanda, a trabocchetto, in realtà riguarda simpaticamente il processo creativo ed è “crei/create una bibbia dei personaggi che poi seguite nella stesura definitiva?”

Purtroppo no: è vero che sono ateo convinto, ma mi dicono che sia imprescindibile per uno sceneggiatore.

12 – La tua formazione professionale avviene al CSC. Avrai avuto modo di conoscere anche altri professionisti in erba in quell’occasione. Avremo mai in Italia un Tarantino o un Nolan? E qualora ciò avvenisse, abbiamo qualche produttore che ne riconoscerebbe il talento?

Io mi sono diplomato in sceneggiatura al CSC nel 2005, e nel mio triennio il corso di regia ha sfornato Edoardo De Angelis [Indivisibili], Matteo Oleotto [Zoran], Claudio Giovannesi [Fiore], Francesco Amato [Cosimo e Nicole], insomma direi una bella classe di regia. Io penso francamente che il cinema italiano sia pieno di professionisti di talento, il problema sta nel dar loro fiducia, ed è un problema per lo più produttivo. Solo così potranno emergere personalità davvero innovatrici, che ripeto non mancano.

13 – In Italia si producono principalmente commedie e drammi esistenziali (“lacrime strappastoria” per dirlo alla Maccio Capatonda), trascurando generi come horror, fantascienza, western. Sono generi in cui abbiamo in passato ricevuto premi, di cui abbiamo fatto la storia, film che abbiamo insegnato a fare, a  realizzare a prescindere dal budget (spesso si dice che non se ne realizzano per gli alti costi, ma esiste The invitation che è solo il primo esempio che mi viene in mente di low budget di successo). La domanda è: nessuno scrive soggetti validi in chiave horror, sci-fi, western… o si fermano allo spoglio della sceneggiatura (si dice così, no?) da parte del settore produzione che investe solo in un prodotto che può vendere meglio alla televisione?

È vero, si producono solo commedie e drammi d’autore. Ciò è dovuto secondo me in parte a un doppio retaggio, della commedia all’italiana e del neorealismo, e – per quanto riguarda la commedia – anche e soprattutto per un dato di fatto: sarà banale dirlo, ma il pubblico al cinema ci va per ridere. Ieri sera ho visto un esordio italiano in una sala piena, storia drammaticissima eppure il pubblico come poteva rideva.

È vero anche che il cinema italiano ha anche un glorioso passato di spaghetti western e horror, ma forse non una vera tradizione, a parte Sergio Leone e Dario Argento non abbiamo sfornato maestri in nessuno dei due generi.

Di recente però qualche segnale incoraggiante verso altre strade c’è stato: il caso eclatante di Lo chiamavano Jeeg Robot, film riuscitissimo, potrebbe aprire un nuovo filone, essere un po’ l’inizio di un cinema più spettacolare ed esportabile, se vogliamo…

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14 – Scriveresti o hai scritto soggetti di generi come horror, sci-fi…?

Horror sicuramente, e credo che mi divertirei anche tantissimo, è un genere che adoro.

15 – C’è un soggetto, realizzato da altri, che avresti voluto scrivere tu?

Tra quelli recenti, trovo che Perfetti sconosciuti sia un soggetto fantastico, e la sceneggiatura un perfetto congegno a orologeria.

16 – Tra i tuoi lavori c’è qualcosa che senti avrebbe meritato più di quanto abbia ottenuto, che avresti voluto far fruttare meglio?

Come incassi sono andati tutti molto bene, quindi son più che soddisfatto!

17 – Il target di riferimento per i tuoi lavori liberi è diverso da quelli su commissione? Si scrive molto, quasi totalmente, per le “massaie”, come diceva Mike Bongiorno, che seguono la TV come fosse un’amica chiacchierona che parla del più e del meno con pathos da soap opera o alla Barbara D’urso, mentre il pubblico giovane, che dovrebbe essere il futuro dell’economia, emigra su Netflix, dove hai un’ampia varietà di generi, tra cui quelli bistrattati dai produttori cinematografici standard (De Laurentiis, Ferrero…). Che futuro si prospetta? È auspicabile un cambio di rotta? Si testa una scrittura che si avvicini al target degli “emigrati” su Netflix e Sky?

Secondo me sì, anche perché Netflix e Sky finanziano sempre più il cinema italiano, quindi credo che in breve questo gap qualitativo tra tv generalista da un lato e nuove piattaforme dall’altro si assottiglierà sempre più.

18 – Che anticipazioni puoi/vuoi fornirci riguardo i tuoi progetti cinematografici/televisivi futuri?

Sto scrivendo l’opera prima di un giovane regista appena diplomato al CSC: è una commedia on the road, che tocca però corde più intimistiche e malinconiche rispetto ai film che ho scritto di recente. Sto poi lavorando a due serie tv ma siamo ancora alle primissime battute, è presto per parlarne.

19 – Quale sceneggiatura ti ha colpito in questo anno solare. Chi pensi che vedremo lottare per l’oscar nel tuo settore?

Tra i film italiani, le sceneggiature più solide sono quelle di Perfetti sconosciuti e Lo chiamavano Jeeg Robot, film che non avrebbero affatto sfigurato nella cinquina come miglior film straniero.

20 – C’è una domanda che avresti voluto ti facessi ma non ti ho fatto?

Qual è il film che più di tutti ti ha fatto schifo tra quelli degli ultimi cinque anni? Scherzo, per fortuna non me l’hai fatta!

Grazie, Andrea! 

Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti

«… cioè… un supereroe con le scarpe di camoscio non s’è mai visto!»

Quando pensiamo ai supereroi, al loro ambiente naturale, non ci verrebbe in mente mai Roma, o meglio penseremmo per prima ad una metropoli americana, reale o verosimile che sia, o al massimo, i più geek tra noi, potrebbero pensare a Hong Kong, Tokyo o qualche altra città dotata di grattacieli da buttare giù, folle urlanti di terrore al cospetto del villain di turno, oceani immensi in cui immergere giganteschi robot. Figurarsi se un produttore italiano poteva credere in un progetto così intelligente, che supera le “barriere architettoniche” di una città monumentale come Roma e le rende plausibile ambientazione di una storia fichissima. Gabriele Mainetti non fa un azzardo, semplicemente crede nel suo progetto fantastico, in se stesso e soprattutto nelle possibilità infinite del cinema,  si auto produce e dimostra sul campo tutto il suo coraggio. Per rappresentare bene un supereroe, bisogna, in fondo, un po’ esserlo.

Tor Bella Monaca fa da sfondo alle vicende di Enzo Ceccotti [Claudio Santamaria], piccolo delinquente di borgata, che entra accidentalmente in contatto con una sostanza radioattiva. Data la sua esistenza, basata su espedienti, non passerà molto prima che scopra di aver acquisito dei superpoteri. Taciturno, solitario e chiuso in se stesso, Enzo sceglie la strada della superdelinquenza, solo gli obiettivi si fanno più facili da raggiungere. Alessia, vicina dissociata per via di un lutto, rivede nelle capacità di Enzo le caratteristiche positive del suo eroe-fissazione: Jeeg robot d’acciaio. Oltre lo strato di sporcizia e criminalità, oltre il rifiuto delle responsabilità derivate dai poteri, oltre il suo lato oscuro, più oscuro della melma che lo ha elevato al di sopra di ogni altro uomo, Enzo dovrà scegliere cosa essere: un paladino del Bene, un supercriminale o un cavaliere oscuro?

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Un superhero movie sui generis, pieno di azione e divertimento, che non sfigura di fronte ai suoi stessi modelli di riferimento, ma che sa essere romantico, nel senso originario della parola, commovente e profondo e, quindi, qualcosa di imparagonabile. Trapela una diffusa tenerezza dietro tanto fragore di lotta e macerie. Un trasporto nel narrare per immagini, che assomiglia a quello riscontrato già nei corti di Mainetti, Basette, del 2008 e Tiger boy, del 2012, in cui sradica un personaggio appartenente al contesto di animazione giapponese per innestarlo in un ambiente suburbano perché sia la scintilla che serve al protagonista per crescere e reagire ad una sorte avversa che non gli si addice. Allo stesso modo in Lo chiamavano Jeeg Robot la fragilità dei personaggi dovrà fare inesorabilmente i conti con un’invulnerabilità fortuita e la voglia o no di redenzione.

La coraggiosa operazione di Gabriele Mainetti e della sua Goon Films si basa su di un perfetto equilibrio tra la forza centrifuga, esercitata dagli elementi che il pubblico non appassionato di fumetti, anime e film di genere non può che considerare fuori dal suo contesto, e la forza centripeta dell’ambientazione romana, che riporta, invece, lo spettatore alla realtà, fornendo credibilità, concretezza, tangibilità, proprietà necessarie per partecipare emotivamente alle straordinarie vicende che si abbattono sui personaggi del film.

Dopo l’adrenalinico incipit in media res del protagonista, inseguito dalla polizia, per i vicoli del centro storico, fino al Lungotevere, si viene inesorabilmente rapiti nel crescendo emozionale di un preciso meccanismo cinematografico, senza fretta, proprio come il tema musicale principale che cresce d’intensità, di pari passo con la consapevolezza di Enzo.

«Poi organizziamo per il giorno delle tenebre, eh!»

La struttura narrativa è semplice, classica, ma non per questo banale. Una sceneggiatura magistrale, quella di Nicola Guaglianone e Menotti (anche fumettista), costruita su forti contrasti: Enzo alias Jeeg Robot, o Hiroshi, come lo chiama Alessia, e Fabio, lo “Zingaro”, sono contrapposti non solo sul campo di battaglia, ma anche per la filosofia di vita, che anche se è malavita, non è detto che debba essere senza onore. Quello che Enzo desidera per sé è passare inosservato e rimanere nell’ombra e nella sporcizia, dove è sempre stato, lontano dalle preoccupazioni, senza responsabilità, abituato a fare i conti solo con se stesso. Un outsider solitario e introverso. Tutto il contrario dello Zingaro che, protetto da un manipolo di subalterni senza diritti di opinione, vuole lasciare un segno della sua presenza nel mondo, fare “er botto”, mosso da una filosofia tutta sua, senza alcun valore, tendente all’effimero. In passato ha assaporato i suoi 15 minuti di notorietà partecipando al programma TV Buona Domenica e da allora ha sempre sperato che di nuovo i riflettori potessero illuminarlo. Di nuovo, come già notato per Creed, nell’anno de Il risveglio della forza, è dall’oscurità e dalla melma che emerge l’eroe mentre il cattivo viene rappresentato sempre alla luce del sole, come a voler dire che il Male oggi non si cela nell’ombra ma, ben visibile, si mostra senza essere riconosciuto come tale.

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Lo Zingaro che Luca Marinelli diventa sul grande schermo, è una sua personale rivisitazione del personaggio del Joker, mentalmente instabile, istrionico clown e spietato assassino, crudele e ironico. Le sue battute di spirito sono memorabili, specialmente nel duello verbale con Enzo.

«Ma se po’ sapè te chi cazzo sei? T’ha mozzicato un ragno? Un pipistrello? Sei cascato da n’artro pianeta?»

Anche la musica, scelta per caratterizzare i personaggi è studiata per sottolineare questo dualismo. Da una parte il tema musicale del personaggio di Enzo e la versione intima della sigla italiana della serie televisiva, cantata con sentimento dallo stesso Santamaria mentre scorrono i credits, dall’altra, in perfetto contraltare, il repertorio “da esibizione” dello Zingaro, costituito da alcune delle canzoni più popolari degli anni della messa in onda di Jeeg in Italia: del 1978 è Un’emozione da poco di Anna Oxa, tutte del 1982, invece, Latin lover di Gianna Nannini, Non sono una signora di Loredana Bertè e, infine, Ti stringerò di Nada, impiegata magistralmente per generare un efficace straniamento in una scena di ultraviolenza che richiama Arancia meccanica e Natural born killers.

All’astrazione della trama si contrappone, infine, la solidità degli elementi scenici, degli effetti meccanici e digitali, e la tangibilità della condizione sociale rappresentata, della fotografia che fornisce solennità ma non astrae. A questo, leggiadramente, concorrono gli espliciti elementi di significazione simbolica come il murales celebrativo di un’impresa di Enzo con la scritta xenofoba che insulta invece lo Zingaro, sempre per sottolineare visivamente il contrasto tra i due avversari, e gli elementi nascosti nel sottotesto, dove a diventare un concentrato di significati allegorici è un palloncino, emblema dell’infanzia e dell’innocenza già nel famosissimo cortometraggio Il palloncino rosso, Palma d’Oro nel 1956.

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Speriamo che il coraggio e la concretezza dimostrati da Mainetti siano d’esempio e d’orgoglio per il cinema italiano, fossilizzato in un loop di romanzi criminali e solite commedie che, alla fine, non ci portano, se non raramente, alle vette che meritiamo già solo per le ambientazioni naturali e cittadine, che il mondo intero ci invidia.

«Noi restiamo tutti con te…»