computer grafica

Fantasticherie di un passeggiatore solitario di Paolo Gaudio

«È stato un viaggio stupendo finché è durato…»

Realizzato in tecnica mista Fantasticherie di un passeggiatore solitario rappresenta l’esordio nel lungometraggio del filmmaker Paolo Gaudio che, da anni, è impegnato nella sperimentazione di ogni tecnica d’animazione a passo uno: stop motion, puppet animation, pixelation, claymation, cutout animation, computer grafica.

Jean Jacques Renou [Luca Lionello] è uno scrittore che vive nel 1876, in uno squallido e angusto seminterrato, ossessionato dal desiderio di portare a termine la scrittura di Fantasticherie di un passeggiatore solitario, un romanzo di formazione sottoforma di ricettario fantastico che, per il suo autore, ha uno scopo ben preciso. Theo [Lorenzo Monaco] è un giovane laureando in filosofia dei nostri tempi, insicuro e intrappolato tra vicende familiari opprimenti e una bizzarra passione per i libri incompiuti, tra i quali proprio quello di Renou. Totalmente rapito dal romanzo, Theo si impone l’obiettivo di realizzare la “Fantasticheria n° 23”: una delle ricette, l’ultima scritta dal poeta, che conduce in un luogo straordinario chiamato Vacuitas. La lettura di Theo e la scrittura di Renou portano, intanto, in scena la storia di un bambino smarrito in un bosco senza tempo.
Tra gli altri interpreti: Fabrizio Ferracane, Angelique Cavallari, Fabiano Lioi, Nicoletta Cefaly, Domiziano Cristopharo.

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Una fiaba sul senso di colpa e sul fallimento, sull’incompletezza e sul desiderio di controllo.
Una scrittura cinematografica che utilizza i libri incompiuti come allegoria della condizione umana.
Una sceneggiatura in cui gli eventi, per quanto fantastici, assurdi, improbabili, raccontano di uno, nessuno e centomila personaggi che generano altrettante potenziali avventure che la “compiutezza” del film necessariamente tarpa.
I tre livelli spaziotemporali della narrazione portano ad un intreccio di significazioni, di allegorie, di riflessioni filosofiche ed esistenziali che sono simili a quelle di The Fountain, un capolavoro di Darren Aronofsky poco apprezzato dal grande pubblico e che forse è stato un po’ preso sottogamba dalla critica nel 2006. Oltre alle citazioni e ai rimandi dichiarati dall’autore nei confronti del cinema fantastico e di genere e di molti maestri degli effetti speciali, in Fantasticherie di un passeggiatore solitario si nota quantomeno l’influenza della rappresentazione “concreta” dell’immaginario tipica di Michel Gondry, soprattutto nella sequenza in cui Theo vola libero sulla città.
L’universalità dei contenuti trattati porta a riflettere sui rimorsi e i rimpianti del passato che, troppo spesso, condizionano il presente, non permettendo al futuro di muoversi libero, senza catene. Il bambino della realtà animata che è costretto a portare sulle spalle l’anziano esanime è un emblema proprio del conflitto generazionale e del peso che le scelte del passato hanno sulle generazioni successive.

Fare cinema di genere in Italia già è complicato, poi, se si va a considerare il settore dell’animazione di questo tipo, ci si rende conto di quanto coraggioso sia stato Gaudio e di quanto sia stato fondamentale l’apporto del Leonardo Cruciano Workshop, il laboratorio di effetti speciali che lo ha assistito nella realizzazione del film e con il quale Smart Brands ha dato vita al nuovo centro creativo e produttivo Makinarium, già noto al pubblico per aver reso possibili e di successo le creature de Il racconto dei racconti di Matteo Garrone.

In questo caso è notevole la volontà del regista di ridurre al minimo gli interventi di computer grafica per rendere il territorio dell’immaginazione e della fantasia un possibile elemento “concreto” della quotidianità, preferendo tecniche con animatori dal vivo, rimossi digitalmente in fase di post-produzione.

La parte live action, bisogna essere sinceri, lascia un po’ a desiderare per credibilità e spessore narrativo, forse perché gli attori italiani sono poco avvezzi a recitare simulando l’interazione con personaggi virtuali, non essendo una skill particolarmente richiesta dal nostro cinema. Nonostante questo, i riconoscimenti che il film sta ottenendo nei festival internazionali testimoniano che si può competere con il resto del mondo e siamo certi che continuerà a farlo, che affronterà con successo ogni ostacolo, innalzerà i suoi limiti e passerà oltre la sua incompiutezza per compiere grandi imprese. Non è solo un augurio, questo, ma un’estrapolazione dati alla mano: mentre aspettiamo il prossimo lavoro ispirato dalla fervida immaginazione di Lovecraft, il primo tentativo coraggioso di Paolo Gaudio conquista il Grand Prix du Festival de La Samain du Cinéma Fantastique di Nizza, il Best World Film del Boston Science Fiction Film Festival, l’Audience Award del Fantastic Cinema di Little Rock, il Premio Mario Bava per la migliore opera prima al Fantafestival di Roma, i premi per Miglior Film e Premio Speciale Antonio Margheriti al TOHorror Film Fest di Torino.

Dopo aver girato numerosi corti, Gaudio firma un’opera prima di genere fantastico carica di visioni surreali, che trascina il pubblico in un’avventura a più livelli che è anche un viaggio all’interno di noi stessi, eroi intrappolati in un mondo difficile che obbliga a riflettere, perché ogni scelta ha una conseguenza che può cambiare il nostro futuro.

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Se i personaggi del film, colpiti chi più chi meno da circostanze dolorose e traumatiche, sono ossessionati dalla vacuitas, nell’accezione di spazio vuoto, che può essere anche privazione e assenza, il film spinge, invece, verso il significato meno conosciuto della parola latina che rimanda ad un senso di libertà che nasce dalla mancanza di tutti quei pesi, quelle paure, che non permettono di volare.

«È questa la libertà! Essere liberi significa non credere alla paura dei grandi»