Dwayne Johnson

Skyscraper, di Rawson Marshall Thurber

Estate. Tempo di sole, spiagge, magari squali… Troppo ovvio, e la Universal figurati se non ne è a conoscenza! Quindi perché non cercare i brividi e l’adrenalina equivalenti nel nuovo film di Rawson Marshall Thurber: Skyscraper?

Will Sawyer [Dwayne “the Rock” Johnson] è un ex agente FBI che, dopo aver perso parzialmente una gamba in un negoziato con ostaggi finito malissimo, si è costruito una nuova vita: ha sposato il medico chirurgo che l’ha salvato [Neve Campbell], ha due splendidi bambini che adora e una piccola compagnia privata che si occupa di sicurezza. Il suo nuovo lavoro lo porterà a Hong Kong, nel grattacielo più alto del mondo [the Pearl], in qualità di ispettore alla sicurezza e da quel momento niente sarà più lo stesso. Quando un delinquente senza scrupoli saboterà la torre per ricattarne il proprietario, Sawyer sarà in cima alla lista dei sospetti per la polizia… perciò di chi potrà fidarsi per salvare la sua famiglia bloccata nell’edificio? Su cosa potrà fare affidamento per entrare in una trappola di acciaio e cristallo e uscirne vivo insieme a chi ama? Sul fatto che «conosce l’edificio meglio dell’architetto che lo ha progettato»? Andiamo, siamo seri. Sulla sua preparazione militare? Beh, sì, ma ancora non ci siamo. Muscoli, ragazzi, era ovvio: parliamo di the Rock!

«Il Pearl è l’edificio più alto e più sofisticato del mondo! Lei ha costruito una città verticale! Ma così facendo lo ha esposto ad ogni sfida alla sicurezza che possa venirmi in mente»

Chi bazzica il genere disaster movie, condito con un pizzico di azione di grana grossa, sa che non deve aspettarsi grandi sorprese dalla trama. Quello su cui invece il regista può lavorare è la forma che il contenuto assumerà. Nel caso di Skyscraper non si bada a spese e gli effetti speciali sono davvero mozzafiato: le vicine di poltrona sono letteralmente saltate sui sedili come gatti di fronte ad un cetriolo (ma poi si sarà scoperto perché?) quando salti, scalate e sospensioni nel vuoto le hanno sorprese, e bisogna ammettere che spesso ne avevano ben donde.

«Sono solo un po’ nervoso»

Non è Natale, come invece accade in Die Hard – Trappola di cristallo, e il personaggio di Johnson, per quanto massiccio, per quanto calzante, non ha né la spavalderia né la battuta pronta che hanno reso il John McClane di Bruce Willis qualcosa di inarrivabile. Neanche lontanamente paragonabili.

Skyscraper si vede, ma non si rivede, è un film da arena estiva a prezzo ridotto, non vale certo un biglietto intero, magari insieme alla famiglia e the Rock vincerà pure ma non convince in queste parti drammatiche, scritte più per fungere da collante fra un gesto eroico e un salto nel vuoto. Eppure qualcosa di diverso si sarebbe potuto fare, vedere per credere The foreigner, con un Jackie Chan che picchia tutti come al solito ma lo fa con un personaggio fortemente caratterizzato, distrutto nel profondo dell’animo da una vita sfortunata e costellata di lutti.

Sarebbe stato interessante parlare di risvolti filosofico-religiosi con la solita tracotanza umana, ὕβϱις (hybris) se piace nominarla in greco, di puntare a conquistare un cielo che è prerogativa esclusiva delle sole divinità. Nessuna sottotrama, nessun messaggio implicito. Nemmeno riguardo uno scimmione che volle sfidare il drago, signore del cielo…

Citazione scena finale de La signora di Shanghai (guarda un po’ che caso…) modernizzata sostituendo i famosissimi specchi con una miriade di LCD che permettono la duplicazione infinita dei personaggi e un caleidiscopio di illusioni, ma anche questa trovata, purtroppo, è esclusivamente a scopo spettacolare, priva di una qualsiasi motivazione o di una funzione che elevi la scena e con essa l’intero film.

Skyscraper è un’americanata molto spettacolare punto, girata quasi interamente a Vancouver, e costata circa 125 milioni di dollari. Gli effetti visivi del film sono curati dalla Industrial Light & Magic, utilizzando anche la tecnologia Imax per un maggior coinvolgimento nell’azione.

Oltre a Dwayne “The Rock” Johnson [Jumanji – Benvenuti nella giungla, Doom, Il Re Scorpione, Rampage – Furia animale] e Neve Campbell [Scream, Sex crimes, The company] fanno parte del cast Noah Taylor [La fabbrica di cioccolato, Predestination], Roland Møller [Land of Mine – Sotto la sabbia, Atomica bionda, L’uomo sul treno – The Commuter] e l’interessantissima attrice-modella taiwanese e australiana Hannah Quinlivan [S.M.A.R.T. Chase].

 

Baywatch, di Seth Gordon

Spiagge assolate, corpi statuari e un’abbondante dose di trash. In poche parole, ecco quello che ci si deve aspettare da “Baywatch”, ultimo prodotto di casa Paramount. Nelle sale italiane dal 1 giugno, “Baywatch” riprende – grosso modo – situazioni e personaggi della nota serie Tv che dal 1989 al 2001 ha fatto sognare generazioni di spettatori (uomini, per lo più), alla ricerca di belle bagnine bionde che corrono al rallentatore sulla battigia.

Il film di Seth Gordon si apre con un’improbabile sequenza di salvataggio, messo in piedi dal super bagnino Mitch Buchanan interpretato da Dwayne Johnson, che dà subito sfoggio di quello che sarà il suo personaggio. Sin dal primo momento il film pone lo spettatore davanti a una scelta: ridere dell’esagerazione assoluta del racconto o sbuffare davanti all’ennesimo blockbuster confezionato su un brand di facile richiamo.

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La pellicola segue una trama piuttosto pretestuosa, che sembra avere il solo scopo di mettere in fila quei cinque volti noti dello star system americano, per mostrare al pubblico i loro bei corpi oliati. Siamo a Emerald Beach, dove il bagnino Buchanan deve fare i conti con un nuovo traffico di stupefacenti, le cui dosi sono tutte perfettamente e inverosimilmente imbustate, con tanto di logo per renderle riconoscibili e rintracciabili. Allo stesso tempo, però, si avvicina un giorno importante per la categoria dei salvatori dell’oceano: le selezioni per le nuove reclute dei Baywatch. In questa giornata campale, decine e decine di giovani aspiranti Mitch Buchanan si prodigano in prove ai limiti del possibile pur di arrivare a indossare il mitico costumino rosso e entrare in squadra.

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In questa occasione, facciamo la conoscenza con Matt Brody – uno Zack Efron che ha conservato, più o meno, il faccino d’angelo dei tempi di High School Musical montandolo, però, su un fisico da culturista ai limiti dell’imbarazzo. Matt è un ex campione olimpico, condannato ai servizi sociali per cattiva condotta (per aver bevuto e vomitato in piscina): arrogante e sfacciato, Efron guadagna il ruolo di co-protagonista insieme a Johnson, mettendo in piedi un teatrino godibile all’inizio, estenuante e banale fino alla fine. Tra i due, che continuano a battibeccare al ritmo di plurime variazioni sullo stesso tema, le belle bagnine messe insieme sulla base di una certa par condicio cromatica: la bionda Kelly Rohrbach, la bruna Alexandra Daddario e l’esotica Ilfenesh Hadera. A chiudere il cast principale, Jon Bass – Ronnie, che si fa carico del cliché del nerd dal grande cervello e dalla grande sfiga – e la cattivissima e bellissima Victoria Leeds, dal volto perfetto di Priyanka Chopra.

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Dopo un primo atto straripante di gag e allusioni meta-cinematografiche in cui i personaggi sembrano essere consapevoli di far parte di un reboot caricaturale di una serie cult, la storia prende la (strana) piega di un’indagine poliziesca. Dosando rallenty da cinema d’azione e una colonna sonora da beach party, i sei bagnini più fighi d’America si atteggiano a detective, lasciando la spiaggia per il patinato mondo dello spionaggio. Tra esplosioni, scazzottate, abiti provocanti e salvataggi improbabili, la storia si trascina verso il finale, per il sollievo dei muscoli di Dwayne Johnson e del pubblico. Di positivo, c’è che in Baywatch nessuno si prende sul serio, compresi gli storici interpreti della serie – David Hasselhoff e Pamela Anderson – che si prestano a dei cammei piuttosto simpatici. Altra nota positiva, per chi apprezza la commedia demenziale, la raffica di battute e di belle donne, uno dei pochi motivi per cui qualcuno potrebbe uscire soddisfatto dalla sala.

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Nessuno si aspettava un film intellettuale, questo è certo, ma anche il trash è un’arte e,come tale, richiede un certo sforzo. Qui, non si brilla neanche per comicità di serie B, dal momento che le gag migliori hanno quasi sempre qualcosa di già visto (la scena dei genitali di Ronnie incastrati nella sdraio è tale e quale all’incipit di “Tutti pazzi per Mary”, vero capolavoro del genere). Il trash funziona quando le sue battute diventano patrimonio collettivo della comunità di spettatori, che le ripetono all’infinito ridacchiando sotto i baffi: ci sono forti dubbi sul fatto che qualcuno ricorderà la verve comica di  Dwayne Johnson o i tempi comici di Zack Efron, o – tanto meno – quello che si sono detti in 116 minuti di film.