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White Bird, di Gregg Araki in DVD

Una donna dalla vita apparentemente perfetta, con un marito premuroso e una figlia di diciassette anni che sta per andare al college. Ha tutto ciò che dovrebbe avere una buona moglie nell’immaginario classico borghese, la bellezza composta e la capacità di non far mai mancare il cibo a tavola. Un giorno però esce e non fa più ritorno, e la normalità diventa orrore.

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Kat, sua figlia, non si da pace, e cerca in tutti i modi di scoprire perché sua madre l’ha abbandonata senza preavviso, se qualcuno le ha fatto del male o semplicemente ha deciso di cambiare vita. Ricostruendo a ritroso gli ultimi giorni della madre, cerca di cogliere i suoi malesseri e i comportamenti più bizzarri, ma nulla. Il caso resta irrisolto e la scomparsa della mamma perfetta resta sepolta sotto la neve della provincia americana.

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Ma cosa si nasconde dietro la perfezione? White Bird di Gregg Araki prova a scavare a fondo dietro l’apparenza, mescolando la realtà ordinaria con delle visioni straordinarie, ma ciò nonostante rimane sulla superficie. Il thriller fa solo capolino nel dramma familiare e passa in secondo piano rispetto alla storyline principale, che si concentra su Kat e la sua educazione sentimentale nel mezzo della bufera che ha travolto la sua famiglia.

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REGIA: Gregg Araki INTERPRETI:  Christopher Meloni, Shailene Woodley, Eva Green, Shiloh Fernandez, Gabourey Sidibe TITOLO ORIGINALE: White Bird GENERE: Drammatico  DURATA: 87′ ORIGINE: Francia, USA, 2014 LINGUE: Italiano 5.1 Dolby Digital, Inglese 5.1 Dolby Digital, Italiano 5.1 DTS  SOTTOTITOLI: Italiano EXTRA: Trailer DISTRIBUZIONE: Koch Media

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L’edizione in DVD di White Bird firmata Koch Media offre un prodotto di altissima qualità visiva e narrativa, perfettamente curato in ogni dettaglio, con particolare attenzione verso le sfumature cromatiche del film, che il regista Gregg Araki ha usato per bilanciare nell’ambiente lo stato d’animo dei personaggi. I colori freddi, talvolta glaciali, si alternano a quelli caldi, in un’armonia di sfumature che da sola basta a dare valore a un film che altrimenti sarebbe passato inosservato. Anche le protagoniste femminili Eva Green e Shailene Woodley, che qui esplodono in tutta la loro bellezza, contribuiscono a caratterizzare il film con un forte elemento sensuale, mantenendo anche sul piccolo schermo i tratti eterei, quasi ultraterreni, che le caratterizzano.

Miss Peregrine – La Casa dei Ragazzi Speciali, di Tim Burton

“Mi ero appena rassegnato a un’esistenza noiosa quando iniziarono a succedere cose straordinarie”

Il più grande errore che si possa fare quando si giudica un film è associare il regista che lo ha realizzato a uno specifico codice estetico, fatto di tavolozze cromatiche standard e dinamiche narrative che assecondano la stessa sensibilità, per poi rimanere delusi se tradisce il disegno ideale della pellicola che il nostro immaginario ci aveva suggerito. E Tim Burton è uno dei registi a cui più spesso viene cucito addosso uno stile preciso, senza considerare che da quello stile si è spogliato da oltre un decennio e, nel bene o nel male, si è evoluto nella sua poetica cinematografica, conservando gelosamente solo alcuni frammenti di quello che lo caratterizzava. Quindi per apprezzare al meglio Miss Peregrine – La Casa dei Ragazzi Speciali è necessario sgombrare la mente da tutto ciò che si crede di sapere su Tim Burton, e lasciarsi trasportare in una dimensione in cui il tempo gira in tondo e la ragione è sospesa, perché qui il limite tra realtà e fantasia è invisibile come i mostri che si confondono tra la i mortali.

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Ma chi sono i veri mostri? I ragazzi speciali, che si distinguono dagli altri per i loro poteri eccezionali, sono considerati mostri o freaks dalla società, e per questo sono costretti a vivere isolati dal mondo, sotto la tutela delle Ymbrine, che hanno il potere di trasformarsi un uccelli e di proteggere i ragazzi speciali imbrigliando le loro vite in anelli temporali, in cui il tempo è circolare e il male non può toccarli. Nella finestra di tempo in cui sono destinati a vivere per sempre, i ragazzi sono liberi di usare i loro poteri, che vanno dalla capacità di controllare l’aria e il fuoco, a una forza straordinaria, al potere di proiettare i sogni, fino a quello di riportare in vita i morti. Tuttavia però una minaccia incombe sul loro mondo perfetto e c’è solo una persona in grado di salvarli: Jacob, un ragazzo solo all’apparenza ordinario, ma che nasconde un grande potere.

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Jacob vive in Florida con i suoi genitori e a prima vista sembra un’adolescente come tanti, anzi addirittura imbranato e senza qualità. L’unica persona che crede nelle sue potenzialità e suo nonno Abe, che per tutta l’infanzia lo aveva affascinato con gli straordinari racconti dei suoi viaggi attorno al mondo, dei mondi incredibili che aveva scoperto, e dei suoi amici, dei ragazzi diversi da tutti gli altri, speciali in un certo senso, che vivevano insieme in una grande dimora su un’isoletta del Galles, sotto la supervisione di Miss Peregrine, una donna che fumava la pipa e che di tanto in tanto si trasformava in uccello. Jacob all’inizio era stregato da queste storie, fino al punto da credere che fossero reali, ma crescendo era giunto alla conclusione che non potevano che essere frutto della fantasia di suo nonno, sebbene avesse visto numerose volte le foto sbiadite di questi ragazzi dai poteri straordinari. Quando suo nonno Abe muore in circostanze misteriose il primo posto in cui Jacob va a frugare in cerca di risposte è proprio il Galles, là dove la storia aveva avuto inizio.

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Soltanto là, tra le mura della casa dove anni prima suo nonno aveva trovato rifugio, vagando tra le quelle stanze abbandonate e rovistando tra i bauli polverosi, Jacob potrà stabilire se i racconti di suo nonno erano solo invenzioni buone a turbare il sonno o se una verità inquietante si nasconde dietro quelle mura. E da questa fantasia oscura nasce Miss Peregrine – La Casa dei Ragazzi Speciali che, prima ancora di essere un film, era il romanzo di Ransom Riggs, a cui Tim Burton si è ispirato, tuffandosi senza riserve in un mondo immaginario che sembrava creato apposta per lui. I freaks, i non morti, l’incubo, ogni riga del romanzo Riggs sembra forgiata nel suo cinema, e probabilmente nessun altro regista sarebbe stato in grado di mettere in scena questa storia meglio di Tim Burton, combinando nelle giuste dosi luce e oscurità, leggerezza e orrore. E chi pensa che Tim Burton non abbia espresso al meglio se stesso è in errore, perché Miss Peregrine è pieno di citazioni alla sua cinematografia precedente, che si integrano perfettamente con la narrazione di Riggs, fino a creare un film bilanciato nei toni, che inquieta ma non troppo.

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Sin City 3D – Una donna per cui uccidere

Benvenuti nella città del peccato, dove l’aria è pesante di alcol e polvere da sparo, e dove la vita vale meno di niente. I vicoli della città vecchia sono il regno delle prostitute, che difendono il loro territorio armate fino ai denti, mentre i locali di infima categoria sono il luogo in cui la feccia in circolazione si ritrova per giocare d’azzardo, mentre si consuma gli occhi sui corpi sinuosi delle ballerine seminude. Nancy Callahan era la più bella, amava ballare ed era famosa per la sua danza fluida e sensuale, ma ora ha perso la testa. Hartigan, l’unico uomo che abbia mai amato, si è tolto la vita a causa del Senatore Roark e del suo figlio deforme, il bastardo giallo, e ora il suo fantasma non trova pace. La segue ovunque per vegliare sulla sua coscienza infranta e contenere la fame di vendetta che le sarebbe letale. Il Senatore merita di pagare per tutto il male che ha procurato alla città, ma la sua testa non alla portata del mirino di Nancy. Uno stuolo di scagnozzi spietati non lo abbandona neanche per un istante, ed è pronto a versare sangue innocente ad un solo cenno dell’uomo più potente di Sin City e Nancy non ha il coraggio di premere il grilletto. La pazzia la consuma dall’interno, mentre l’alcol e l’insonnia fanno il resto, frantumandole la mente e lasciando sempre più spazio a una fantasia di morte.

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Nella città del peccato non esiste giustizia per i torti subiti, e il coraggio non basta a scalare le vette di una società corrotta e marcia dall’interno, che si nutre dei cadaveri di chi, per sua sfortuna, la attraversa anche solo per una notte. Una delle tante vittime della città maledetta è Johnny, un baldanzoso giocatore di poker, che osa sfidare il Senatore al tavolo da gioco, con al seguito la sua ballerina portafortuna dalla pelle di porcellana e le labbra carminio. La partita a scacchi con la morte ha inizio. Le tenebre lo inseguono per le strade della città, si nascondono dietro ogni angolo e puniscono il suo peccato di hýbris verso un uomo accentratore e la sua città inconquistabile, che protegge gelosamente il suo squallido microcosmo e non conosce altra lingua se non quella del sangue.

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Chiunque sia entrato almeno una volta a Sin City ne ha succhiato voracemente il veleno e si è trasformato in una delle sue creature. In un posto come questo, anche l’anima più pura si vende al diavolo in cambio di potere e di protezione e mette in gioco tutte le armi che possiede per restare in vita. La bellezza è la dannazione di Ava Lord, una creatura più simile a una dea che a una donna, che fa il bagno al sorgere della luna e fa risplendere il suo corpo nelle luci argentee della notte. Il suo corpo è la sua arma più potente, con le curve perfette del seno e gli occhi verdi, che incantano gli uomini come fanno le sirene con i marinai, li incatenano e li assoggettano a ogni suo volere. Ava è una donna per cui qualunque uomo ucciderebbe, con il miraggio di possederla anche solo per una notte. Dwight Mccarthy è la sua marionetta, un uomo distrutto dall’amore per un mostro da cui non riesce a liberarsi. Sono passati quattro anni da quando Ava lo ha lasciato per l’uomo più ricco di Sin City, e l’alcol e la rabbia incontrollabile hanno tenuto a bada i suoi mostri interiori per un po’, ma quando lei riappare nella sua vita, il grigio lascia il posto al verde tagliente dei suoi occhi, l’amor proprio si annulla e Dwight risale sulla sua giostra mortale, tanto affascinante quanto pericolosa.

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Il sangue scorre a fiumi e fa da contrappunto al bianco e nero in cui è immerso l’intero universo di Sin City. Questo è il suo tratto distintivo: una notte perpetua in cui le morti si susseguono instancabilmente, intervallate solo dal calore delle labbra rubino delle femme fatale che tengono la città in pugno. Sono passati nove anni da quando per la prima volta questi personaggi sono usciti dalle pagine della graphic novel di Frank Miller per raccontare le tragiche storie sul grande schermo, e ora raccolgono le ceneri di ciò che erano. Vite brevi, spezzate prematuramente o segnate dalla violenza, che ora sono giunte al punto massimo di decadimento. Nancy ha perso la grazia e la lucidità e barcolla sul palcoscenico in preda alle allucinazioni meditando vendetta, Dwight vaga come un burattino per i vicoli della città in cerca di un luogo in cui trovare la pace, e Ava, che potrebbe avere il mondo intero ai suoi piedi, svende il suo splendido corpo a chiunque le posi gli addosso, scambiando una notte di sesso in un motel per un giorno in più di vita. Sin City cade a pezzi come i suoi personaggi. Le loro storie sono consumate come i loro corpi, e non hanno abbastanza vigore per balzare fuori dallo schermo, rimanendo a stagnare su una scena in decomposizione. E se il 3D di Rodriguez arrotonda le forme e trascina di peso nell’universo marcio di Sin City, fino a farne percepire il fetore, la sceneggiatura intrappola la scena in un passato troppo lontano per potersi ricongiungere con il presente, e l’impianto visivo, che accentua la dimensione cinematografica della storia,  allo stesso tempo la allontana dall’esperimento cross-mediale che era il tratto caratteristico di Sin City, trasformandola in una cupa evocazione dei fantasmi del passato, che tornano incessantemente a raccontare la loro storia per trovare un senso al loro tragico destino.

Robert Rodriguez e Frank Miller presentano Sin City 3D – Una donna per cui uccidere

Dal fumetto al cinema, Sin City 3D – Una donna per cui uccidere è stato presentato in anteprima a Roma da Frank Miller, l’autore della graphic novel che ha ispirato il film, e il regista Robert Rodriguez, che hanno svelato i segreti di questo straordinario adattamento.

Quando Frank Miller ha scritto e disegnato Sin City non avrebbe mai immaginato di vedere il suo lavoro trasposto sul grande schermo, ma l’incontro con Robert Rodriguez e con la sua immaginazione visionaria ha fatto balzare i personaggi di china fuori dalle pagine della graphic novel, e gli ha conferito tridimensionalità con la tecnica del green screening. L’universo grafico di Miller ha preso vita e ha reso possibile l’inimmaginabile senza snaturare la storia e la tecnica di Miller. “Sin City è il Sin City di Miller – ha detto Rodriguez – e la mia intenzione era rimanere il più possibile fedele alla storia, perché la graphic novel ha già in sé una storia completa e profonda, e volevo che diventasse un film, non un semplice adattamento”.

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Ed è proprio la fusione tra il fumetto e il film, tra l’immagine statica e l’immagine in movimento, che hanno reso Sin City un’esperimento cinematografico unico nel suo genere. “Spesso mi chiedono perché non lavoro a Hollywood – ha ammesso Miller –  ma con Rodriguez ho capito che le mie opere potevano essere adattate per il cinema senza passare per il tritacarne di Hollywood, che rende gli adattamenti simili gli uni agli altri e li appiattisce. I film migliori sono quelli più vicini al materiale di partenza, e anche se è difficile mantenere l’integrità dell’originale, bisogna rimanete fedeli alla storia, sempre”.

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L’universo di Sin City ormai  inestricabile dall’immaginario cinematografico, al punto che  l’immagine dei personaggi sul grande schermo e la fisicità degli attori sono diventati d’ispirazione per il lavoro di Miller. “Quando ho creato il personaggio di Marv – ha dichiarato Miller – sono partito dall’immagine di un “Conan con addosso un trench”, un barbaro in un contesto metropolitano, ma oggi pensare al personaggio di Marv senza pensare a Mickey Rourke per me sarebbe impossibile”.

L’uso del 3D ha portato il disegno ad un livello superiore, scomponendo l’immagine su una serie infinita di quinte teatrali che portano in primo piano gli elementi che caratterizzano la scena, da un particolare sul corpo dei protagonisti ad uno sullo sfondo. Robert Rodriguez ha spiegato: “Il 3D aiuta tantissimo la narrazione perché l’universo di Miller è astratto, e il 3D è in grado di trasformare un puntino bianco in un fiocco di neve.  Il 3D aiuta a concentrarsi sugli elementi fondamentali della storia” e Frank Miller ha aggiunto: “La storia è tutto sia per il cinema che per la TV. Di sicuro il 3D aiuta gli occhi a focalizzare l’attenzione e a concentrarsi su ciò che serve, ma non bisogna mai dimenticare l’importanza della storia”.