The nice guys, di Shane Black
«Ma… Ha nominato il nome di Dio invano?»
«No! Mi è tornato utile!»
Shane Black, dopo Iron man 3, torna a dirigere un genere a lui caro e congeniale. In questo effervescente buddy movie che contamina il noir con la commedia, la strana coppia di inetti detective, formata dal violento ex poliziotto Jackson Healy [Russel Crowe] e dall’inconcludente investigatore privato Holland March [Ryan Gosling], si ritrovano a dover gestire le loro divergenze ed unire le forze per sbrogliare un caso molto più grande di loro.
Dopo gli esplosivi 48 ore, Arma letale, L’ultimo boyscout, Black propone con successo, fuori concorso a Cannes, una nuova coppia mal assortita di outsider, di antieroi, che tutto vorrebbero fuorché complicarsi la vita, già di per sé mal messa, con un lavoro complicato e pericoloso. Come esterna spontaneamente il regista, fondamentale è stato il lavoro di Gosling e Crowe che, come esterna spontaneamente il regista e sceneggiatore, «sono entrambi attori di massimo livello che hanno saputo infondere la vita nei loro personaggi; e la storia non è solo una commedia o un film d’azione, ma una perfetta combinazione di entrambi».
«I giorni delle signore e dei gentiluomini è finito».
Healy è più pragmatico e spartano: è «cresciuto da irlandese a Riverdale nel Bronx» e ha un passato mai dimenticato nella polizia, che gli ha fornito un’etica di base la quale, però, si scontra con un bisogno irrefrenabile di sfogare la violenza repressa e generata da vicende non espresse esplicitamente in questo film. March è diventato prematuramente vedovo, con progetti di famiglia e di casa rimasti miseramente incompiuti; questo lo spinge a cercare costantemente scorciatoie, immerso in un loop depressivo in cui si alternano fasi di cinica lucidità, quando deve cogliere occasioni per spillare soldi facili ad ingenui clienti, e stati di oblio dovuti all’eccesso di alcool nel sangue. Il personaggio di Gosling sarebbe un perdente irrecuperabile su tutta la linea, se non fosse per sua figlia Holly, una tredicenne cresciuta in fretta, con uno spiccato senso della giustizia, una perspicacia probabilmente, derivata sicuramente dai cromosomi materni, e una simpatica attitudine ad ignorare le regole paterne.
«Questione di genetica!»
Holly è interpretata dal talento australiano Angourie Rice, che già aveva conquistato il pubblico di Cannes come coprotagonista nel dramma di ambientazione apocalittica These final hours e che vedremo in Jasper Jones (regia di Rachel Perkins), adattamento cinematografico del romanzo di Craig Silvey. Per interpretare al meglio i ruoli di padre e figlia, i due attori hanno trascorso parecchio tempo insieme, e l’alchimia che è derivata da questo metodo la si evince palesemente sul grande schermo.
The nice guys è un noir con molti elementi da commedia rocambolesca, un buon poliziesco dalla storia non convenzionale, leggermente surreale, nella quale si muovono personaggi esasperati eppure credibilissimi, familiari oserei dire. Healy e March sono, alla luce dei fatti, due idioti che si completano come in un’unione ben riuscita, e dire che Healy non perde occasione di rendere palese, con battute sarcastiche, che odia il matrimonio, il perché lo scopriremo in un probabile sequel.
«Vomitiamo e poi ci sbarazziamo del corpo».
Gosling coglie appieno l’essenza stessa del film: «La sceneggiatura – scritta a quattro mani da Anthony Bagarozzi [Death note] e dallo stesso Black – non si prende troppo sul serio… i personaggi sì; è proprio questo che li rende ridicoli».
Fotografata creativamente da un Philippe Rousselot [Animali fantastici e dove trovarli, Big fish, Charlie e la fabbrica di cioccolato] che ci regala un bell’incipit con ripresa aerea della città partendo da dietro la famosa insegna di Hollywood, la Los Angeles degli anni ’70, è ricostruita egregiamente dallo scenografo Richard Bridgland [Priest, Rock’n’Rolla] e dalla costumista Kym Barrett [collaboratrice fissa dei fratelli Wachowski]. Con l’aggiunta di una colonna sonora molto colorita e variegata, in tono con il resta dell’ambientazione, che evoca i party fuori di testa nel bel mezzo del boom del cinema a luci rosse. I compositori John Ottman e David Buckley radunano pezzi di storia della musica come Bee Gees, Kiss, America, Kool & the Gang, Al Green e addirittura portando fisicamente sulla scena gli Earth, Wind & Fire, una vera chicca per gli appassionati.
The nice guys è spettacolare e divertente fino alle lacrime, sin dal prologo.
Non perdetevi l’inizio!
Hardcore!, di Ilya Naishuller
In una Mosca colma di pericoli, Henry è un cyborg che tenta di fuggire da Akan (Danila Kozlovsky) e dai suoi scagnozzi interessati a sfruttare la tecnologia che permette gli permette di vivere. La sua è una corsa contro il tempo per cercare di salvare sua moglie Estelle (Haley Bennett), bella e geniale dottoressa. L’“uomo”, pur non ricordando nulla del suo passato umano, decide di fidarsi ciecamente delle persone che incontra lungo il suo cammino, incluso il folle Jimmy (Sharlto Copley), e vota la sua completa esistenza alla realizzazione di un progetto di salvezza. Una pellicola d’azione come tante tranne che per le riprese, effettuate esclusivamente in prima persona con tre GoPro.
Hardcore! offre in molte parti delle semplici esibizioni di parkour in ambiente urbano, per poi deflagrare improvvisamente in avvincenti scene d’azione che mostrano grande inventiva ma anche un eccessivo compiacimento nella messa in scena (sottolineato dall’uso estremo della colonna sonora che, nel bene o nel male, riesce a fungere da efficace collante sugli strappi frequenti della sceneggiatura). Se da un lato, poi, riesce grazie alla visione in soggettiva a tenere incollato lo spettatore allo schermo, dall’altro il ritmo dei 95 minuti di visione risulteranno graditi più ai numerosi gamers che sicuramente affolleranno le sale che non a uno spettatore medio.
E il problema di Hardcore! risiede proprio nella sua anima “games”: la pellicola è infatti palesemente destinata al pubblico cresciuto a pane e Call of Duty che amerà ritrovarsi in prima persona al centro dell’azione; i veri amanti del cinema action patiranno l’eccessivo uso delle riprese soggettive che rendono la visione difficile a chiunque non abbia una sana dose di games alle spalle. Una buona fetta di pubblico si ritroverà a dover seguire in maniera convulsa le scene indubbiamente eccellenti a livello tecnico ma eccessivamente caotiche e veloci e chi scrive, in prima persona, ha dovuto fare i conti con uno stato perenne di malessere dovuto alla chinetosi.
Che proprio questo sia il segno di una nuova era in cui la godibilità di una pellicola si misura in capacità di cerare straniamento dal mondo esterno e introiettamento in una sensazione provata da altri?
Rispondere a questa domanda significa riflettere profondamente sul concetto di arte e di cinema e di cosa connoti un prodotto artistico rispetto a una mera produzione tecnologica. Dal momento che non credo che questi siano stati gli interrogativi che hanno mosso le azioni del giovani regista, già noto per la sua esperienza con il videoclip musicale Bad Motherfucker (2 milioni di visualizzazioni su YouTube in pochissimo tempo) di cui Hardcore! rappresenta un’espansione in lungometraggio, il merito che va riconosciuto a Naishuller è quello di aver cercato tecnicamente di riversare sul grande schermo un’esperienza differente rispetto a quelle classiche, affrontando limiti tecnici e persino culturali tipici del genere. Il regista russo ha infatti usato un approccio opposto a quello che seguono gli usuali film ispirati ai videogiochi (e approdati in sala con scarsi risultati), sfruttandone le potenzialità e le suggestioni, senza partire da un unico soggetto ed evitando di piegarne le potenzialità alle logiche più commerciali del mercato.
Nulla da dire, infine, sul cast che vede brillare su tutti il giovane Danila Kozlovsky nel ruolo di Akan: l’attore riesce a portare al personaggio quel pizzico di ironica follia che incanta e stupisce. Ottima prova anche per Sharlto Cooper (già visto sul grande schermo in District 9 ed Elysium di Neil Blomkamp): il suo Jimmy diverte e rende il film godibile; insignificante, invece, Haley Bennett (Padri e figlie, Scrivimi una canzone) nel ruolo di Estelle, un personaggio decisamente scialbo che non porta nulla di nuovo alla pellicola.
Il fumetto di Lo chiamavano Jeeg Robot
Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti, sarà al cinema dal 25 febbraio.
Intanto, per ingannare l’attesa, Lucky Red e La Gazzetta dello Sport presentano il fumetto basato sul film, disponibile in edicola da sabato 20 febbraio.
Scritto e curato da Roberto Recchioni [Dylan Dog, Orfani] e disegnato da Giorgio Pontrelli [Dylan Dog, Batman, legend of the dark knight] e Stefano Simeone [Orfani, Semplice, Ogni piccolo pezzo], questo interessante prodotto creativo che unisce le due arti, cinema e fumetto, generando qualcosa di completamente autonomo e parallelo, senza rischio di spoiler. Un sequel della pellicola che però è una storia a sè stante, che presenta dei rimandi ma non svela particolari fondamentali. Il consiglio da fanatici scrupolosi è di leggerlo, comunque, solo dopo aver visto il film, così da non rischiare nulla.
Sinossi del film: Enzo Ceccotti, piccolo delinquente di borgata, entra accidentalmente in contatto con una sostanza radioattiva. Data la sua esistenza, basata su espedienti, non passerà molto prima che scopra di aver acquisito dei superpoteri. Oltre lo strato di sporcizia e criminalità, oltre il rifiuto delle responsabilità derivate dai poteri, oltre il suo lato oscuro, più oscuro della melma che lo ha elevato al di sopra di ogni altro uomo, Enzo dovrà scegliere cosa essere: un paladino del Bene, un supercriminale o un cavaliere oscuro?
Un albo tutto a colori, al prezzo di 2,50 euro in aggiunta al costo del quotidiano, che sarà disponibile in quattro diverse copertine da collezione, come si addice ai migliori supereroi, realizzate dai fenomenali
Zerocalcare [La profezia dell’armadillo, Un polpo alla gola]
Leo Ortolani [Rat-Man]
Giacomo Bevilacqua [A Panda piace…]
e dallo stesso Roberto Recchioni.
«Lo chiamavano Jeeg Robot unisce Gomorra con Chronicle, è ambientato in un contesto di bassa criminalità romana, con questo tipo che acquista poteri straordinari… Ha dimostrato che anche per noi italiani è possibile fare un bel film di supereroi». – [ Leo Ortolani ] –