Robert Downey Jr

Spider-Man Homecoming, di Jon Watts

Cosa significa essere un supereroe? Basta incappare per puro caso in un super potere, fabbricarsi un costume di ultima generazione e lanciarsi a capofitto nella lotta al crimine? Oppure vuol dire unire al coraggio il senso di responsabilità, allenare con pazienza il corpo e lo spirito alle grandi battaglie partendo da quelle più piccole? Spider-Man Homecoming di Jon Watts è un vero e proprio manuale sull’argomento, un racconto filmico di formazione che ragiona su cosa vuol dire essere un supereroe, seguendo passo dopo passo le gesta del giovane Peter Parker (Tom Holland), passando dall’esaltazione allo sconforto, dalle cadute clamorose ai successi inosservati, fino al raggiungimento della piena consapevolezza dei suoi poteri.


Come in ogni viaggio dell’eroe non poteva mancare un mentore, che questa volta veste i panni di un ingessatissimo Tony Stark (Robert Downey Jr.) che non perde di vista il suo “bimbo-ragno” neanche per un secondo e non si lascia sfuggire ogni occasione per dimostrargli la differenza tra un vero eroe e un aspirante tale. Dopo averlo coinvolto in un’epica battaglia con gli Avengers in Capitan America: Civil War, Tony Stark lo relega infatti al ruolo dell’amichevole ‘Spider-Man di quartiere’, che ha come unica preoccupazione quella di aiutare i gatti a scendere dagli alberi, assistere le vecchiette nell’attraversare la strada e fermare i ladruncoli. Ma se a Peter questa sembra quasi una punizione immeritata, per il suo mentore non è altro che un percorso di apprendimento necessario affinché diventi consapevole delle sue nuove potenzialità.

Dopo tutto Peter Parker nell’adattamento cinematografico di Jon Watts è un quindicenne insicuro, alle prese con i primi palpiti del cuore e con le responsabilità che i super poteri portano con sé, ed è giusto che impari ad affrontare i problemi più piccoli prima di impugnare armi super tecnologiche e affrontare spaventosi nemici venuti dallo spazio. Assai diverso era invece il Peter della trilogia di Sam Raimi, in cui il più maturo Tobey Maguire interpretava uno studente universitario impacciato, ma consapevole della sua missione nel mondo, e disposto a sacrificare quanto aveva di più caro al mondo pur di fare giustizia. Allo stesso modo il patinato The Amazing Spider-Man diretto da Marc Webb ha presentato un Peter adolescente e spavaldo, estremamente diverso dal suo personaggio nei classici Marvel.

Finalmente Jon Watts riporta a casa Spider-Man, che è più bambino che uomo, ma di sicuro più vicino alle sue origini, e in perfetta sintonia con l’universo cinematografico Marvel, in cui ha già fatto capolino con la sua apparizione in Captain America: Civil War. Dopo tutto Spider-Man non ha certo bisogno di presentazioni, ed è per questo che Jon Watts ha completamente superato la fase in cui Peter Parker acquisisce i suoi poteri e si fa carico delle sue responsabilità in seguito alla morte dello zio Ben, per presentare l’eroe in medias res, nel bel mezzo delle sue battaglie. Il presente basta a raccontare chi è il nuovo Spider-Man, e il modo in cui affronta amici e nemici dicono di lui molto di più di qualunque preambolo.

Peter è un adolescente introverso, profondamente impregnato dalla cultura geek contemporanea, e sicuramente più abile con i Lego che con le ragazze, ma rispetto a tutti i suoi coetanei ha ricevuto in  dono il potere di cambiare le cose, di combattere i cattivi faccia a faccia e di far parte dello straordinario mondo dei supereroi che tanto ama. Lui può vivere il sogno di tutti i suoi coetanei, volare con Iron Man e imbracciare lo scudo di Capitan America, e la sola idea di far parte degli Avengers lo scombussola al punto da fargli perdere il contatto con la realtà. A riportarlo con piedi e ragnatele per terra è un pericolo reale, una minaccia che non viene da altri pianeti ma dal centro di New York e sta seminando il terrore in città. Si tratta dell’Avvoltoio (Michael Keaton), un onesto padre di famiglia trasformatosi in criminale dopo essere rimasto senza lavoro a causa di Tony Stark e della sua azienda multimilionaria. Il suo piano è quello di colpire il nemico dritto al cuore, distruggere il suo impero con le sue stesse armi, create dalla combinazione di tecnologia umana e reperti alieni.

La battaglia tra il bene e il male è aperta, anche all’interno della stessa personalità. Perché uno dei pregi di Spider-Man Homecoming è proprio quello di non trasformare buoni e cattivi in archetipi, ma di giocare con i personaggi mostrando luci e ombre di ognuno. In questa incredibile operazione narrativa l’Avvoltoio diventa uno dei cattivi più sfaccettati e meglio riusciti di Spider-Man aggiungendo un plus valore a un lungometraggio già curato in ogni dettaglio, vibrante nell’azione e ponderato nella narrazione. Spider-Man torna a casa nella maniera migliore possibile ed entra a pieno titolo nell’universo cinematografico Marvel come uno dei supereroi più brillanti degli ultimi anni, destinato a crescere ancora e a vivere straordinarie avventure al fianco dei mitici Avengers.

The Judge, di David Dobkin

Il ritorno alla provincia ed il rapporto difficoltoso padre-figlio sono temi che innegabilmente piacciono molto al cinema americano. The Judge si inserisce senza nascondersi troppo in entrambi i filoni utilizzando due grandi attori quali Robert Downey Jr e Robert Duvall, per raccontare una storia che, pur non spiccando per originalità, ha come punto di forza, oltre ad i suoi interpreti, una regia da manuale che mischia inquadrature canoniche a qualche piacevole vezzo stilistico, rivelando grande attenzione per i dettagli. Emblematica la carrellata iniziale di oggetti che mette in chiaro col minimo sforzo le caratterizzazioni di tutti i membri della famiglia Palmer: una videocamera, una mazza da baseball, un articolo di giornale polveroso e una pianta di ortensie lilla.

JUDGE, THE
La sceneggiatura è caratterizzata dal plot legal-drama che vede come protagonista il brillante avvocato metropolitano Herny Palmer, in lite da anni con il padre Joseph, giudice del piccolo paese dell’Indiana in cui è nato. La morte improvvisa della madre lo costringe a tornare nell’entroterra americano e qui il dramma familiare si intreccia con all’accusa di omicidio che ricade sull’anziano padre, apparentemente colpevole di aver investito con l’auto un uomo la notte seguente ai funerali della moglie. La presentazione rimane comunque la parte migliore della pellicola ed è tenuta in piedi dal solito Downey Jr, che con il suo personaggio sopra le righe ricalca più o meno tutte le ultime figure da lui interpretate, da Sherlock Holmes a Tony Stark, conquistando facilmente la simpatia dello spettatore.

Judge-shakemovies (2)

Quando la trama però entra nel vivo cominciano i problemi. La scoperta della malattia terminale che affligge il giudice Palmer e tutto il processo di riavvicinamento tra i protagonisti si muove su binari fin troppo prevedibili e melensi. Duvall ce la metta tutta per commuovere lo spettatore, ma la sua prestazione viene annacquata da una serie di momenti ridondanti, che avrebbero giovato di qualche sforbiciata nelle due ore e mezza di durata. Sintomatica anche la ripetizione della bella “Holocene” di Bon Iver, colonna sonora delle scene più intense utilizzata in più di un occasione.
Oltre alla monotonia, non mancano poi i luoghi comuni tutti fedeli al moderno american style: dalla bandiera che inneggia alla nazione, alle ex fidanzate ancora innamorate, ai fratelli giocatori di baseball, fino alle bambine perfette che non fanno altro che sorridere. Di certo si tratta di un esempio di cinema con poche sbavature nella sua confezione e che mira alle lacrime di un grande pubblico, ma per mancanza di coraggio e di inventiva difficilmente rimarrà impresso nella nostra memoria.

Marco Nicoli