supereroi

Airboy, di James Robinson e Greg Hinkle

“Airboy. Un progetto che ha deliziato alcuni e fatto infuriare altri. Un’opera sicuramente provocatoria e – spero – divertente. Ma quello che davvero mi auguro è che sia, anche se opportunamente filtrata e deformata, sincera.
[James Robinson]

Il britannico James Dale Robinson, in qualità di sceneggiatore noto semplicemente come James Robinson (Manchester, 1º aprile 1963), ha consegnato alla storia un graphic novel d’autore fresco, veloce, che diverte e si diverte a dissacrare miti cartacei e la sua stessa figura di scrittore di successo. Robinson, infatti, è stato premiato con l’Eisner Award 1997, nella categoria “Miglior storia a puntate”, per la saga contenuta nei numeri dal 20 al 23 del suo Starman, finora la sua opera di maggior pregio, in cui ha rivitalizzato un personaggio della Golden Age del fumetto americano, caduto nell’oblio degli anni ‘50, come molti suoi colleghi anche di maggior fama, rendendolo un successo di critica e pubblico.

Un milione di anni fa, nell’attesa che una delle due grandi case editrici di fumetti americane, la Marvel Comics e la DC Comics, mi ingaggiassero come autore, scrivevo graphic novel e miniserie piuttosto bizzarre per piccoli editori. Qualcuno che abbia familiarità con i miei lavori ricorda per caso Illegal Alien, Blue Beard, 67 Seconds o la mia prima opera pubblicata, London’s Dark? Non mi ero allontanato consapevolmente da questo tipo di cose, che definirei personali e sperimentali, eppure erano passati anni dall’ultima volta in cui avevo anche soltanto pensato a qualcosa del genere. Anni? Se ci rifletto bene, credo fossero decenni. Volevo togliermi di dosso un po’ di quella ruggine creativa che avevo accumulato e Airboy mi sembrava l’occasione giusta. Volevo superare i confini tradizionali di questo genere di storie. Volevo turbare e provocare, comunicare le paure e le insicurezze che avevo dentro, le meschinità tra colleghi, l’angosciante terrore che la mia prossima idea potrebbe essere l’ultima. Volevo mettermi a nudo. E volevo farlo con un umorismo incentrato il più possibile su di me.

ShakeMoviesStandard04

Airboy è un aviatore, il protagonista di una celebre serie a fumetti ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale e appartenente, sempre, alla Golden Age. Un personaggio in guerra perenne contro il nazismo e declinato attraverso avventure che si dipanano tra cielo e terra, affiancato da uno squadrone di assi dell’aria. Il presupposto, però, che innesca la trama dell’Airboy di James Robinson (storia) e Greg Hinkle (disegni), è che il copyright del personaggio in questione non è stato rivendicato da nessuno alla scadenza. Così, come in un crossover tra realtà tangibile e un multiverso fatto di matita e china, un James Robinson riluttante e depresso viene assunto da Eric Stephenson di Image Comics [casa editrice della versione originale] per forgiare per Airboy un reboot come solo lui sa fare, un probabile trionfo come quello di Starman o Hawkman. Quello che ne nasce è una straordinaria avventura metafisica, metafumettistica farcita di humour ed elementi autobiografici anche intimisti, che vede Robinson coinvolgere Hinkle in stravizi e festini a base di sesso, droga, poco rock e molto rolla&sniffa nell’attesa di avere l’ispirazione giusta. Ma con Airboy non si scherza! Un personaggio integerrimo e incorruttibile come lui non può lasciare le mirabolanti peripezie del suo squadrone in mano a due debosciati pusillanimi. La sua bussola morale risulterà intaccata dalla nostra realtà depravata e superficiale? Come ottenere attenzione e rispetto dai suoi due increduli nuovi autori? Quale realtà avrà la meglio sull’altra?

AIRBOY è uno dei fumetti Image Comics più sorprendenti, geniali e divertenti degli ultimi anni. Un delirio assurdamente lucido di Robinson, che Hinkle fa volteggiare ad alta quota con il suo stile da indipendente e che Saldapress orgogliosamente pubblica in Italia in un volume brossurato di 120 pagine totalmente a colori e senza censure di alcun tipo, al prezzo di 14,90€. I primi quattro numeri sensazionali capitoli di Airboy sono impreziositi da contenuti extra di notevole interesse: la prefazione di James Robinson – che introduce in maniera puntuale quanto necessaria il lettore all’interno dell’opera ancora prima di aver letto il primo balloon –, gli studi sui personaggi, pagine della sceneggiatura originale, storyboard e making of del processo di realizzazione di alcune delle tavole più belle. Lecito aspettarsi un giorno, speriamo non troppo lontano, una deluxe edition cartonata.

Tutti quelli che leggono Airboy a un certo punto mi chiedono: «E allora? Tutte quelle cose sono successe veramente? Quanto c’è di vero?». E la mia risposta è sempre la stessa: «Tutto e niente. Decidete voi». Sono immensamente orgoglioso di questo lavoro. Lo considero tra i migliori tra quelli che ho scritto durante tutto l’arco della mia carriera. Credo fermamente, però, che qualsiasi sforzo artistico funzioni meglio quando nessuno lo spiega. Io ho finito, quindi, adesso tocca a voi. Grazie
[James Robinson]

ShakeMoviesStandard01

Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti

«… cioè… un supereroe con le scarpe di camoscio non s’è mai visto!»

Quando pensiamo ai supereroi, al loro ambiente naturale, non ci verrebbe in mente mai Roma, o meglio penseremmo per prima ad una metropoli americana, reale o verosimile che sia, o al massimo, i più geek tra noi, potrebbero pensare a Hong Kong, Tokyo o qualche altra città dotata di grattacieli da buttare giù, folle urlanti di terrore al cospetto del villain di turno, oceani immensi in cui immergere giganteschi robot. Figurarsi se un produttore italiano poteva credere in un progetto così intelligente, che supera le “barriere architettoniche” di una città monumentale come Roma e le rende plausibile ambientazione di una storia fichissima. Gabriele Mainetti non fa un azzardo, semplicemente crede nel suo progetto fantastico, in se stesso e soprattutto nelle possibilità infinite del cinema,  si auto produce e dimostra sul campo tutto il suo coraggio. Per rappresentare bene un supereroe, bisogna, in fondo, un po’ esserlo.

Tor Bella Monaca fa da sfondo alle vicende di Enzo Ceccotti [Claudio Santamaria], piccolo delinquente di borgata, che entra accidentalmente in contatto con una sostanza radioattiva. Data la sua esistenza, basata su espedienti, non passerà molto prima che scopra di aver acquisito dei superpoteri. Taciturno, solitario e chiuso in se stesso, Enzo sceglie la strada della superdelinquenza, solo gli obiettivi si fanno più facili da raggiungere. Alessia, vicina dissociata per via di un lutto, rivede nelle capacità di Enzo le caratteristiche positive del suo eroe-fissazione: Jeeg robot d’acciaio. Oltre lo strato di sporcizia e criminalità, oltre il rifiuto delle responsabilità derivate dai poteri, oltre il suo lato oscuro, più oscuro della melma che lo ha elevato al di sopra di ogni altro uomo, Enzo dovrà scegliere cosa essere: un paladino del Bene, un supercriminale o un cavaliere oscuro?

ShakeMoviesStandard5

Un superhero movie sui generis, pieno di azione e divertimento, che non sfigura di fronte ai suoi stessi modelli di riferimento, ma che sa essere romantico, nel senso originario della parola, commovente e profondo e, quindi, qualcosa di imparagonabile. Trapela una diffusa tenerezza dietro tanto fragore di lotta e macerie. Un trasporto nel narrare per immagini, che assomiglia a quello riscontrato già nei corti di Mainetti, Basette, del 2008 e Tiger boy, del 2012, in cui sradica un personaggio appartenente al contesto di animazione giapponese per innestarlo in un ambiente suburbano perché sia la scintilla che serve al protagonista per crescere e reagire ad una sorte avversa che non gli si addice. Allo stesso modo in Lo chiamavano Jeeg Robot la fragilità dei personaggi dovrà fare inesorabilmente i conti con un’invulnerabilità fortuita e la voglia o no di redenzione.

La coraggiosa operazione di Gabriele Mainetti e della sua Goon Films si basa su di un perfetto equilibrio tra la forza centrifuga, esercitata dagli elementi che il pubblico non appassionato di fumetti, anime e film di genere non può che considerare fuori dal suo contesto, e la forza centripeta dell’ambientazione romana, che riporta, invece, lo spettatore alla realtà, fornendo credibilità, concretezza, tangibilità, proprietà necessarie per partecipare emotivamente alle straordinarie vicende che si abbattono sui personaggi del film.

Dopo l’adrenalinico incipit in media res del protagonista, inseguito dalla polizia, per i vicoli del centro storico, fino al Lungotevere, si viene inesorabilmente rapiti nel crescendo emozionale di un preciso meccanismo cinematografico, senza fretta, proprio come il tema musicale principale che cresce d’intensità, di pari passo con la consapevolezza di Enzo.

«Poi organizziamo per il giorno delle tenebre, eh!»

La struttura narrativa è semplice, classica, ma non per questo banale. Una sceneggiatura magistrale, quella di Nicola Guaglianone e Menotti (anche fumettista), costruita su forti contrasti: Enzo alias Jeeg Robot, o Hiroshi, come lo chiama Alessia, e Fabio, lo “Zingaro”, sono contrapposti non solo sul campo di battaglia, ma anche per la filosofia di vita, che anche se è malavita, non è detto che debba essere senza onore. Quello che Enzo desidera per sé è passare inosservato e rimanere nell’ombra e nella sporcizia, dove è sempre stato, lontano dalle preoccupazioni, senza responsabilità, abituato a fare i conti solo con se stesso. Un outsider solitario e introverso. Tutto il contrario dello Zingaro che, protetto da un manipolo di subalterni senza diritti di opinione, vuole lasciare un segno della sua presenza nel mondo, fare “er botto”, mosso da una filosofia tutta sua, senza alcun valore, tendente all’effimero. In passato ha assaporato i suoi 15 minuti di notorietà partecipando al programma TV Buona Domenica e da allora ha sempre sperato che di nuovo i riflettori potessero illuminarlo. Di nuovo, come già notato per Creed, nell’anno de Il risveglio della forza, è dall’oscurità e dalla melma che emerge l’eroe mentre il cattivo viene rappresentato sempre alla luce del sole, come a voler dire che il Male oggi non si cela nell’ombra ma, ben visibile, si mostra senza essere riconosciuto come tale.

ShakeMoviesStandard1

Lo Zingaro che Luca Marinelli diventa sul grande schermo, è una sua personale rivisitazione del personaggio del Joker, mentalmente instabile, istrionico clown e spietato assassino, crudele e ironico. Le sue battute di spirito sono memorabili, specialmente nel duello verbale con Enzo.

«Ma se po’ sapè te chi cazzo sei? T’ha mozzicato un ragno? Un pipistrello? Sei cascato da n’artro pianeta?»

Anche la musica, scelta per caratterizzare i personaggi è studiata per sottolineare questo dualismo. Da una parte il tema musicale del personaggio di Enzo e la versione intima della sigla italiana della serie televisiva, cantata con sentimento dallo stesso Santamaria mentre scorrono i credits, dall’altra, in perfetto contraltare, il repertorio “da esibizione” dello Zingaro, costituito da alcune delle canzoni più popolari degli anni della messa in onda di Jeeg in Italia: del 1978 è Un’emozione da poco di Anna Oxa, tutte del 1982, invece, Latin lover di Gianna Nannini, Non sono una signora di Loredana Bertè e, infine, Ti stringerò di Nada, impiegata magistralmente per generare un efficace straniamento in una scena di ultraviolenza che richiama Arancia meccanica e Natural born killers.

All’astrazione della trama si contrappone, infine, la solidità degli elementi scenici, degli effetti meccanici e digitali, e la tangibilità della condizione sociale rappresentata, della fotografia che fornisce solennità ma non astrae. A questo, leggiadramente, concorrono gli espliciti elementi di significazione simbolica come il murales celebrativo di un’impresa di Enzo con la scritta xenofoba che insulta invece lo Zingaro, sempre per sottolineare visivamente il contrasto tra i due avversari, e gli elementi nascosti nel sottotesto, dove a diventare un concentrato di significati allegorici è un palloncino, emblema dell’infanzia e dell’innocenza già nel famosissimo cortometraggio Il palloncino rosso, Palma d’Oro nel 1956.

ShakeMoviesStandard2

Speriamo che il coraggio e la concretezza dimostrati da Mainetti siano d’esempio e d’orgoglio per il cinema italiano, fossilizzato in un loop di romanzi criminali e solite commedie che, alla fine, non ci portano, se non raramente, alle vette che meritiamo già solo per le ambientazioni naturali e cittadine, che il mondo intero ci invidia.

«Noi restiamo tutti con te…»